A distanza di quasi vent’anni possiamo confrontare la direzione di von Karajan nel don Carlos e, almeno nel caso di uno dei quattro esecutori, anche la sua “regia vocale” perché mai Mirella Freni con altro direttore o sua sponte ha sfoggiato tanta varietà di colori ed intenzioni interpretative come nel ruolo di Elisabetta sotto la guida del maestro austriaco. Ciò nonostante la Freni non è Elisabetta di Valois perché la voce non quella del soprano Falcon o centrale. Preciso che mai la Freni sarà la Valois anche nella fase finale della carriera allorchè disponeva e sfoggiava ragguardevole ampiezza in zona centrale. Basta sentire l’attacco :non una nota brutta neppure nel registro grave quando scende al do 3 (che nel prosieguo sarebbe stata una nota in poco aperta), ma si ha l’impressione, nonostante il volume negli acuti (il si bem di “mio” è un’ottima nota, ma non realizza l’indicazione in spartito “grandioso”), di una prudenza e cautela dettate dalla chiara cognizione di disporre di una voce sotto dimensionata per personaggio ed orchestrale. Basta vedere come la Freni amministri le frasette “Carlo qui verrà etc” dove non si sente un suono brutto o “spoggiato”, ma dove parimenti sono estranee l’ampiezza e la regalità di Elisabetta o l’ipostasi del dolore lacerante di chi (Gencer) faccia di necessità virtù. Nessuna forcella (di tradizione, perché lo spartito dice solo “piano” sul fa di FRA che è una minima) sul Francia o al più un mezzo accenno, certo è detta con un suggestivo piano, come tutta la frase seguente, ma il peso vocale e soprattutto timbro ed accento sono quelle dei ricordi di un’ottima Mimì sul letto di morte, nessuna tragicità ne “L’addio da me ascoltò” e tanto meno ne “e questa eternità un giorno sol durò” che scende sino al re grave. Nella ripetizione identica alla prima strofe Elisabetta compita il dolore, poche esecuzioni sono superiori vocalmente, tante la superano e non poco sotto quella dell’interpretazione, ma il timbro regale sono altro ad onta del canto di altissima scuola e il gioco di colori e di dinamica restano quelli di una rifinita Mimì ed il conclusivo “reca al piè del Signore” suona aperto e sordo. Qualche anno dopo la Freni in Scala sempre nei panni di Elisabetta dopo scroscianti applausi alla fine dell’aria si beccò un “bravina”. Azzeccatissimo.
Certo quando entra il figliastro innamorato (Josè Carreras) e si confronta con tanta matrigna il bravina è riduttivo perché il tenore catalano una volta sfoggiato il timbro aureo (in natura) ma senza scansione e senza accento (vedi “sulla terra fiamminga” dove la frase sul passaggio porta la voce ad un si bem e mette in gravi difficoltà l’incolto Carreras, che prende fiato abusivamente e non realizza l’indicazione con entusiasmo) abbiamo davanti un canto che, non può essere nè epico nè scultoreo come irrinunciabile per il tenore del grand-opera, perché carenti preparazione tecnica, gusto e idee di fraseggio. Quando arrivano “i fior del paradiso” la Freni lo dice da grande Mimì e cara grazia che Karajan pratichi un macroscopico taglio che risparmia a Carreras la frase “Vago sogno m’arrise” ed alla Freni slancio grandioso sulla frase (che era eseguita in Scala) “Si l’eroismo è questo” risparmiando alla Freni un passo che appartiene ad una vocalità che le è estranea, ma anche “le donna han per gli eroi “cantato bene come è ben cantato il “ma lassù” sono eseguiti in maniera assolutamente estranea al clima del drammone storico, popolato di personaggi aulici, solenni, statuari e togati. La dinamica di Elisabetta proposta dalla Freni sotto la regia di Karajan è ragguardevole, ma la varietà di colori del lacerto della Russ o del live di Anita Cerquetti hanno un significato di dolore e dello strazio, che competono alla sovranità come noi la vediamo con il filtro ottocentesco. Quanto è spontaneo da un lato assume nella Freni il significato del non si può far di più e diversamente. Anche Carreras ad un livello tecnico assai più basso replica con un bell’attacco “indietro” e una faticosa salita al la acuto pure un poco afono perché provare a cantare piano solo in grazia di natura sopra il passaggio è mission impossible.
Vent’anni circa prima le cose andavano meglio nel rapporto fra esigenze di spartito e scelta di cantanti. Per esemplificare: mai nessuno avrebbe pensato di proporre, ufficialmente in nome del lirismo, in realtà per legge inesorata di mercato o di agenzia la parte di Elisabetta a Rosanna Carteri.Tanto meno la Carteri, che era un soprano assai simile per peso e colore e volume alla Freni, l’avrebbe accettata. Tanto per avere chiari certi concetti base. Sena Jurinac non era neppure lei un soprano drammatico cantava il Wagner lirico, Strauss lirico, Mozart, cantava benissimo con un gusto misurato, interpretazioni sempre calibrate e pur non essendo italiana, ma signora Bruscantini una dizione scolpita e perfetta. A parte Elisabetta di Valois e Desdemona ebbe rapporti saltuari con Verdi, anche se invito ad ascoltare il “suo pace mio Dio”. Era anche una bellissima donna e si dice molto apprezzata dal maestro Karajan. Ho il sospetto che la parte fosse stata poco preparata o provata perché la Jurinac canta, more solito benissimo, ma incorre in errore di testo o di articolazione dello stesso, che non le erano propri. Dico subito che è introdotta con un’orchestra solenne ampia e nel contempo dolente, che restituisce magistralmente il momento scenico e psicologico del personaggio e, infatti, il soprano croato attacca con piglio tragico e controllo del suono l’incipit dell’aria. Anche se alla chiusa emette qualche suono un poco aperto “ripaso profando” la salita al di si bem di “ piange in cielo” fa sentire suoni immascheratissimi ed al tempo stesso dolci, paradisiaci, che giustamente spettano alla regina ed all’anima semplice ed innamorata. E’ un po’ fisso il si bem “di pianto MIO”, ma fiato e suono sono al servizio dell’interprete, che alle frasi “Carlo qui verrà” senza essere solenne non è certo una grisette, ma sbaglia parole e scansione. Rispetta la tradizionale messa di voce di “Francia” con un altro suono purissimo e paradisiaco ripetuto su Fontainbleau e sbaglia le parole, che precedono la ripetizione dell’incipit. Chi volesse sentire come si fa a scendere quando per natura non si dispone delle note gravi deve sentire la discesa di Sena Jurinac al “conoscesti del mondo” e “riposo profondo” oltre tutto Karajan, che stacca un tempo un poco più sostenuto di quello che farà con Mirella Freni, riesce a rendere più agevole la simulazione di drammaticità e tragicità. Gli acuti della Jurinac, poi, sono penetranti e squillanti salvo un si bem in chiusa attaccato scoperto ed un poco spinto
Versione tagliata per il duetto conclusivo, come Karajan continuerà a proporre (e non capisco perché) dal vivo. Fernandi è un poco nasale nelle frasi iniziali, ma l’idea dello squillo imposto al personaggio gli è ben chiaro e lo rende facilmente anche perché il colore orchestrale è bellissimo caldo e dolente come pure l’accento di Sena Jurinac alla frase “le donne han per gli eroi” cui segue un tenerissimo e sfumata attacco di “ma lassù..” che senza svenevolezze connota la tragedia del distacco fra i due mancati amanti anche se il la nat di “sospirato ben” è cantato forte la prima volta ed alla ripetizione durante l’unisono suona piuttosto fisso e fa venire meno il clima di triste addio cui, forse, è un poco estraneo anche Fernandi, che a differenza di Carreras, però, canta. E sarà uno degli ultimi!
La Jurinac è ottima nei centri ma il settore acuto è emesso alla maniera tedesca… alcuni sono proprio sgradevoli. Ma almeno è una regina, la Freni no.
non trovo che la jurinac emetta sempre gli acuti alla tedesca. Basta sentirla in manon, butterfly e nell’aria della forza. Qui però forse per il peso della parte tende a suoni fissi. se ascolti l’esecuzione del 1968 i suoni fissi non ci sono o quasi.
Parlo di questo ascolto. Le note centrali sono in un modo, gli acuti in un altro. Salendo perde di pienezza e di bellezza di suono, cambia proprio l’emissione.
dalla lettura del tuo intervento dovrei ritenere che la Jurinac canti circa in questo modo
http://www.youtube.com/watch?v=y4AunoESWAs
quindi ritieni ottimo il centro della Rysanek? …
per nulla ritengo la rysanek una pessima cantante con un po’ di dote naturale al centro nulla più!!! ma leggendo quello che scrivi della jurinac io lo avrei scritto per la leonie, magari un po’ meno sfasciata che in questa aria di gioconda!
ho detto solo che la Jurinac non riesce a mantenere negli acuti la stessa qualità dei centri.
Per carità la Jurinac è una grande (e si sente!), ha una grande eloquenza, ma gli acuti qui sono davvero fastidiosi e abbruttiscono la performace! La Freni non avrà lo stesso allure, ma disegna una grandissima regina, più dolente e dimessa, inoltre, non si può che ammirare il suo canto e il fraseggio. Personalmente mi è piaciuta moltissimo
Mah, non vedo altro di interessante nella Freni eccetto gli acuti.
ma ovvio che ti deve piacere! E’ una cantante che rispetto ad altre cantanti più in parte presenta maggiore personalità e originalità di timbro. Poi era di un’omogeneità unica e sarebbe stato un delitto se non avesse sdoganato anche Elisabetta dalla retorica delle “voci verdiane”.
Gia, perché essere verdiani quando si canta verdi?
banalità di chi non si sa divertire. Meglio le sfide
Bella copiatura da Giudici! Alla retorica verdiana la Freni sostituisce quella della primadonna buffa di mezzo carattere: Adina di Valois.
non ho capito il tuo intervento sono andato a controllare pagg 1620 e 1624 del libro di Giudici ma non trovo alcun nesso. Discreta la battuta “Adina di Valois” ma sarebbe bella anche “Elisabetta del non precisato villaggio dei paesi baschi”: chi ha voglia di godere del talento altrui piuttosto che correre dietro all’Elisabetta Azzurra metterà sempre avanti una Freni o una Meier a ogni altra pur fondata considerazione
povera Freni, metterla nello stesso mazzo con la Meier significa farle offesa ben peggiore che negarle lo status di voce verdiana.
il quale status di voce verdiana ossia la mancanza dello stesso è un limite se canti Elisabetta di Valois, ma se stai nel tuo orto di Adina, Margherita, Manon non è affatto un limite. Anzi.
ho ritenuto di citare la Meier in relazione a tutta la m. che le é piovuta addosso nei giorni scorsi e dopo averla riascoltata nei suoi primi due trionfi nel ruolo di Kundry (Fenice e Scala 1991). Peraltro se si tiene conto che il valore di un cantante non lo stabilisce un Mancini, un Donzelli o un Albertoemme ma il riscontro del pubblico in un apprezzabile lasso di tempo, Meier e Freni possono effettivamente considerarsi sullo stesso piano seppure siano state eroine in diversi repertori e non credo che la Freni (persona assai scaltra e intelligente) si senta offesa dal paragone.-
Tu la verità la chiami m..? E poi, scusa, che credi di fare tu? ..la tua m invece sta per..?
Alberto io non credo che il valore di un cantante lo faccia il riscontro del pubblico. Almeno non OGGI.
la Freni non era certo la voce verdiana da Elisabetta di Valois ma qui ne da una lettura del personaggio interessante e a mio avviso convincente; funziona molto di più qui che in altro Verdi dove invece non è mai riuscita a convincermi.
Certamente soprano d’altro repertorio ma se un soprano volesse fare un incursione in un repertorio più pesante, vorrei sempre che fosse fatto con la musicalità, l’intelligenza e la tecnica di una Freni.
Sottoscrivo e condivido, anche se a me piace moltissimo la sua Amelia del Boccanegra.
assolutamente d’accordo, non era una perdiana, ma almeno ha sempre cantato bene
Aureliano, Enrico, Rox, aderisco al 100 per cento.
Mi associo a voi quattro
Beh… Poi ascoltate ka Scotto…