Mahler Chamber Orchestra e Mitsuko Uchida a Treviso (21/02/2017).

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Per inquadrare al meglio il concerto che Mitsuko Uchida e la Mahler Chamber Orchestra hanno offerto la scorsa settimana al Teatro Comunale di Treviso occorre partire dalla fine, ovvero dal bis: l’Andante cantabile dalla Sonata K 330, che la pianista ha distillato, con asciutta delicatezza, nel silenzio dell’orchestra. La Uchida si è in altre parole proposta come solista, certamente di rilievo, ma non tale da offuscare le prime parti dell’orchestra: il suo “dirigere al pianoforte” è stato, semmai, un entrare in perfetta sintonia con una formazione da camera che conosce, per valore dei singoli e compattezza dell’assieme, ben pochi termini di paragone. Di qui, verosimilmente, la scelta di proporre un fuoriprogramma esclusivamente pianistico e di lasciare all’autogoverno dell’orchestra (o, se si vuole, del primo violino) l’onere dell’esecuzione del “Divertimento” Sz 113 di Bartok, opera che, lungi dall’infrangere l’atmosfera brillante creata dai Concerti K 414 e 503, strettamente si apparenta alle composizioni mozartiane, per la personalissima metamorfosi cui il compositore magiaro sottopone le forme classiche, coniugando il rigore formale e la freschezza dell’inventiva melodica e ritmica a un progredire della tensione (soprattutto nel secondo movimento) che apre inquietanti squarci contemporanei (siamo agli albori del secondo conflitto mondiale), senza che la sapiente intelaiatura debba, per questo, venire meno o risultare indebolita. Del resto, anche nelle pagine settecentesche il suono risulta limpido e privo di melensaggini, il ritmo scattante benché tutt’altro che forsennato, e se nei movimenti cantabili si avverte una certa assenza di abbandono, quasi una resistenza al fascino della melodia (per timore di rendere questa musica eccessivamente “romantica”?), nei passaggi brillanti trionfa un virtuosismo che non è mero sfoggio di bravura tecnica (benché ci sia, in ottime dosi, anche quella), ma è soprattutto capacità di calibrare perfettamente gli interventi dei singoli, creando una rete di echi e reminiscenze timbriche, capace di rendere piena giustizia alla scrittura mozartiana. Serate del genere, lontane da ogni forma di clamore pubblicitario e vacuo protagonismo, benedette unicamente dai calorosi applausi del pubblico, sembrano, a queste latitudini, trovare il loro ambiente ideale nei teatri di provincia, in ogni senso distanti dalle grandi istituzioni, spesso mera vetrina di un passato impietosamente remoto.

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