Confesso di aver avuto non poche difficoltà nell’ascoltare questo recente prodotto discografico che molto scalpore ha suscitato nella critica e nel pubblico: salutato perlopiù come nuovo paradigma di canto rossiniano e come precedente vincolante da cui non poter più prescindere nelle sorti magnifiche e progressive del nostro mondo musicale adulto e libero da certi pregiudizi d’antan, è per me, invece, preoccupante derivazione dell’uso disinvolto delle fonti (pur con la foglia di fico di una fantafilologia presuntiva a confondere la realtà storica con folkloristiche elucubrazioni) e avvisaglia di quel che ci potrà riservare il futuro nella corsa forsennata al “farlo strano”, strizzando l’occhio alle mode del momento e proseguendo nella ipotetica barocchizzazione (nel senso di ba-rock) del repertorio classico. Il “Rossini” di Franco Fagioli si inserisce dunque nell’onda lunga di questa spettacolarizzazione bislacca – e dai tratti terribilmente “pop” – che si propone di reindirizzare il gusto recente attraverso la rimozione del sapere informato, a favore di una realtà virtuale in cui il confine tra il lecito e l’arbitrario viene continuamente travalicato, nello stesso segno del crossover postbarocchista della Bartoli e derivati (come la Kermes: altra “eroina” di questi strani tempi). Ma procediamo con ordine e partiamo da Rossini. Nella voce di Contralto, a cui l’album di Fagioli è dedicato, risiede l’ubi consistam della vocalità rossiniana: lo snodo fondamentale della sua scrittura, la “norma a cui subordinare voci e strumenti”, la corda su cui lavorare per non perdere grazia. Tutto il Rossini italiano è orientato all’esplicazione di questo canone estetico (forse il nucleo più vero del formalismo rossiniano): che abbandonerà gradualmente solo nei lavori composti o rielaborati per il pubblico francese, disinteressato a questa particolare vocalità. Il Contralto rossiniano è dunque più di un semplice registro, ma è il fondamento d’una visione estetico musicale non realistica e non naturalistica: sia che il contralto fosse impiegato per vestire caratteri femminili o maschili en travesti. La sua scrittura vocale si definisce in una precisa gamma di estensione che – fatte salve alcune eccezioni – si ripete nell’intero corpus operistico (segnatamente per i titoli italiani) e si sviluppa in stilemi ben individuati: virtuosismo concentrato nelle roulades in ascesa verso gli estremi acuti (raggiunti solo in volata) e di ritorno verso le zone più gravi, sbalzi in discesa, agilità martellata e fortemente accentata, centro dedicato alla vocalità più spianata e patetica in cui emerge il tono vellutato e sonoro, evitando pichettati e scale cromatiche ascendenti. Una scrittura, dunque, che si orienta perfettamente verso la voce di vero contralto e che è profondamente diversa – nel carattere e nei melismi – rispetto alla letteratura dei castrati (così come evidente dalla semplice lettura del precedente repertorio barocco italianizzante: Haendel soprattutto). Il fatto che Rossini si dichiarasse nostalgico della voce degli “evirati cantori”, deve essere considerato in relazione all’esplicita inattualità ideologica e sistemica del compositore che si pone nei confronti dei suoi contemporanei in modo ambiguo: moderno, ma alternativo agli sviluppi della modernità – reazionario, ma verso un passato immaginato e idealizzato. Nulla autorizza a ritenere – pure in un gioco di fanta storia – che Rossini scrivesse per Contralto immaginando i castrati (senza contare che l’unica volta che si trovò ad avere a che fare con vero castrato, il rapporto fu più che problematico, aldilà delle leggende postume sull’esuberanza di Velluti, proprio per una incompatibilità di fondo del vecchio con il nuovo). Il disco di Fagioli prescinde da tutte queste considerazioni e confeziona un prodotto che si basa su di un sillogismo illogico che prescinde dalle fonti musicologiche e confonde la finzione rossiniana (provocatoria e inattuale) con una precisa scelta estetica e attraverso l’uso fantascientifico della filologia propone un monstrum: se è vero che il controtenore è oggi l’interprete deputato all’esecuzione dei ruoli scritti per castrato, e se del pari è vero che Rossini – nei ruoli en travesti – ricalca quel repertorio a cui guardava con vera nostalgia, allora nulla vieta di far eseguire quei ruoli (scritti per donna, ma immaginati per castrato) a moderni falsettisti, realizzando così la verace volontà d’autore che “finalmente” vedrebbe esaudito il suo più profondo sentimento. E per dare all’operazione una credibilità maggiore si affida l’accompagnamento ad ensemble e direttori specializzati nel barocco e, verosimilmente, garanti della correttezza musicologica dell’uso delle fonti. Siamo alla fantafilologia! Il punto di non ritorno che sostituisce la correttezza dello studio delle fonti – frutto di fatica e impegno nello scardinare tradizioni fuorvianti – con una versione aggiornata e molto più glamour di quegli stessi arbitrii che si volevano scardinare: perché non c’è molta differenza – pratica ed ideologica- tra un Tancredi interpretato da un falsettista ed un Giulio Cesare trascritto per baritono! E allora come giudicare questo prodotto? Con un non giudizio: Fagioli che canta Rossini è come Vasco Rossi che canta Mozart! Quello che si sente – aldilà dei giudizi sull’interprete – è carente e mostra tutte le difficoltà di una scrittura pensata per un’altra voce e un altro sesso: le agilità di forza sono compromesse, la pienezza del centro (norma fondamentale della vocalità contraltile nell’estetica rossiniana) è inesistente e comporta l’enfatizzazione degli estremi acuti e gravi (quella “luna nel pozzo” che per Rossini scardina tutti gli equilibri formali), l’accentazione è necessariamente meno serrata e martellante per via dell’artificiosità dell’emissione…e via dicendo. Un prodotto inutile dunque, talvolta grottesco. Ma temo che presto dovremo fare i conti anche in teatro con operazioni del genere, legittimate – purtroppo – dall’apprezzamento del pubblico. La fantafilologia al potere, con buona pace di Rossini e degli sforzi fatti nell’ultimo secolo per riscoprirne integralmente il lavoro.
8 pensieri su “Tra “luna” e “pozzo”: Franco Fagioli canta Rossini”
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Tutto vero. Ma comunque sia meglio Fagioli (che ho ascoltato a Martina Franca) della Barcellona ..
.😂
Il prossimo passo sarà un Cd di Rihanna o Adele come Violetta. Tranquilli, la DG non si fará sfuggire l’ occasione
Salve a tutte e a tutti, mi chiamo Antonio e sono un suonatore dilettante, assiduo frequentatore del Corriere. Prendo spunto dall’articolo per qualche considerazione:
A volte si fa musica (o almeno si cerca di farla) inventando cose nuove, consapevoli del fatto che la composizione potrebbe non piacere o passare inosservata. Spesso si eseguono invece, con maggior o minor cura e sensibilità, cose già fatte. Altre volte si prende la scorciatoia e si reinterpretano i brani fino a stravolgerli: pratica antichissima, emblema della nostra cultura postmodernista e consumistica. Riguardo alla musica classica, quest’esigenza di reinterpretare è sfociata, appunto, nel cross-over (autentica robaccia) o, ad un livello ovviamente più raffinato, in interpretazioni accattivanti, sovente giustificate da pretese filologiche. Come diceva Wagner nei Maestri Cantori, dobbiamo rispettare i maestri perché è grazie a loro che si tramanda l’arte del canto. Saluto cordialmente gli autori e i fruitori di questo sito, divenuto per me un punto di riferimento per il suo alto valore didattico e divulgativo.
I falsettisti non dovrebbero nemmeno esistere se non per eseguire ciò che fu scritto per loro….non certo il repertorio dei castrati. Quanto a Rossini, archivio’ lucidamente il castrato non come voce ma proprio come scuola di canto. Lo fece lucidamente e cpnsciamente, al di là della questione Velluti, posto che Velluti non era proprio in grado di cantare come Rossini voleva cantassero i suoi travesti. Rossini archivia lo stile dei castrati , il genere languido e patetico, l estrema varietà di accento che sapevano trovare nei passi spianato, nella melodia semplice. Rossini porto il fuoco, la vis, la potenza, un altro genere di acrobazia estranee al mondo dei castrati e per questo fu solo contro l intera tradizione ed il mondo in cui era nato come musicista.
Complimenti a Duprez per aver analizzato con acribia questa operazione antistorica e antifilologica, mettendola al giusto posto.
Aspetto ora qualche dissertazione sul Mozart di Currentzis di cui ho ascoltato le Nozze che (incredibile) mi sono persino piaciute, eccezion fatta per una Kermes che riporta la Contessa a un periodo antidiluviano di svenevolezze tedesche anni Cinquanta, per giunta con un canto davvero discutibile (diciamo così).
ben venga questa recensione! sarebbe l’ora di debellare la prepotenza volgare di questi falsi del falso, che navigano invece a gonfie vele profittando di direttori compiacenti ed etichette diaboliche: con questo “falsettista”, ad esempio, si ascolta, un’imitazione ripulita del modo in cui la Bartoli, imitando falsettisti di generazioni
precedenti, ha riproposto il finto stile barocco valido per tutto spacciato per vero, storpiando perdipiù la propria voce naturale
grazie della solidarietà. talvolta ci sentiamo don Chisciotte in questa lotta contro falsità storiche e filogiche perché per motivi commerciali e non artistici si propagandano opinioni totalmente antistoriche. la prova più esauriente di questo fenomeno è un testo intitolato ermafroditi armoniche (se non sbaglio) dove si inneggia alle voci gravi femminili con il cd buco o scalino. e ciò contro letteratura e manualistica che nell’omogeneità, nella perfetta saldatura fra i registri.
non lo conoscevo, ho letto la nota di presentazione. Se ho ben capito lo scopo del volume sarebbe quello di evidenziare una categoria canora a sé, occupata da contralti particolarmente viriloidi che lasciavano, o avrebbero potuto lasciare? libero il registro “di petto” in modo che oggi sarebbe inaccettabile?