Franco Fagioli, controtenore, diretto da Georg Petrou alla testa di Armonia Atenea. Programma:
Rossini : Demetrio e Polibio, sinfonia
« Pien di contento in Seno », « Perdon ti chiedo Padre », airs extraits de Demetrio e Polibio
N. Mantsaros Ulisse agli Elisi, sinfonia (Corfou, 1816, Edition critique pour le laboratoire de musiques grecques / Université Ionienne)
Rossini «Mura felici… Elena oh tu che chiamo», air extrait de La Donna del lago
Introduction, thème et variations pour clarinette (soliste Spiros Mourikis)
« Oh sospirato lido… Dolci d’amor parole», air extrait de Tancredi
Torvaldo e Dorliska, ouverture
«Eccomi a fine in Babilonia… Ah, quel giorno», air extrait de Semiramide
Bis: 12 Coro, scena e cavatina Nel misero tuo stato – La pietà che in sen serbate (Eduardo)
Al Théâtre des Champs-Élysées il 4 novembre scorso ho assistito a questo recital quasi esclusivamente rossiniano dal programma assai interessante e ghiotto per ogni amante del genio di Pesaro. La serata è stata all’insegna di una sostanziale equivalenza tra pagine canore e pagine orchestrali, probabilmente per consentire al controtenore il respiro e il riposo necessari per non soccombere.
Georg Petrou ha guidato con piglio sicuro e buone scelte di tempi il complesso Armonia Atenea, una compagine di una quarantina di elementi con strumenti d’epoca. Il suono di quest’orchestra, solitamente avvezza un repertorio seicentesco e settecentesco, è stato nel complesso pulito, leggero, brillante e ricco di dettagli, ma spesso eccessivamente secco e avaro di morbidezza e abbandono; qualche svista di troppo dei fiati nei passi più esposti e del primo violino nell’aria del Tancredi ha disturbato un’esecuzione improntata a una generale gradevolezza seppur a tratti un filo anemica per Rossini. L’esito più soddisfacente è stato raggiunto nella sinfonia del Torvaldo e Dorliska che prima d’ora non mi aveva mai realmente colpito più di tanto: l’esecuzione è stata trascinante e vincente si è rivelata la scelta del direttore di ricercare un suono più corposo. Se pallida e meccanica è stata la Sinfonia del Demetrio e Polibio, interessante è stata, di contro, la sinfonia dai caratteri rossiniani di Mantsaros, non certamente un capolavoro, ma piacevole e di buona fattura. Ancora più curiosa la lunga pagina di variazioni dalla Donna del Lago per clarinetto solista: l’orchestra ha ben accompagnato il clarinettista Spiros Mourikis alle prese con una scrittura di delirante difficoltà a partire dalla cabaletta Ah quante lacrime di Malcom; per il solista, che mi è parso raffreddato, non tutto è stato perfetto, ma la difficoltà estrema di questi virtuosismi gli ha comunque fruttato l’apprezzamento del pubblico.
Veniamo ora al controtenore Fagioli, accompagnato ottimamente e con cura “millimetrica” da Petrou, assieme al quale l’argentino ha inciso un recital rossiniano uscito da qualche settimana che sta mietendo critiche entusiaste (questo cd verrà prossimamente recensito dal collega Duprez). Vi è, innanzi tutto, una premessa semplice e limpida da farsi: affidare a un falsettista il repertorio rossiniano è un falso storico vergognoso che va contro ogni decenza filologica e onestà intellettuale: siamo di fronte a un fenomeno di costume che mano a mano si sta appropriando di qualsiasi repertorio facendosi beffa di secoli di musica e decine di compositori. A questo punto per Orsini, Niklausse, Komponist, Oktavian e molti altri personaggi non è che questione di tempo, il passo successivo sarà interpretare direttamente Angelina, Isabella, Adalgisa, etc., tanto la faccia tosta travestita da filologia sembra costituire una giustificazione valida per qualsiasi capriccio o mostruoso esperimento. Chiarita la posizione sull’operazione, passiamo all’esecuzione.
In tutta sincerità devo riconoscere che Franco Fagioli ha fornito una prestazione accettabile e non certo peggiore delle cantanti che affrontano attualmente questo repertorio. L’interpretazione è stata molto misurata, smorfie e gesti ridotti al minimo per risparmiare energie e perché a Rossini, per ora, è tributato un rispetto maggiore di quello riservato a Händel, Porpora, Vinci, Vivaldi etc. La dizione in questo frangente è stata molto curata (solitamente la pessima dizione è un difetto comune ai falsettisti) e le intenzioni erano senza dubbio apprezzabili, come pure alcuni tentativi di sfumare e differenziare il canto nella prima parte della serata quando il cantante era ancora fresco; va però specificato che queste intenzioni non si concretizzano quasi mai vocalmente poiché difettavano l’ampiezza necessaria e il reale canto sul fiato che rendono possibili le dinamiche (a maggior ragione dal vivo e in un teatro non piccolo). Fagioli ha un punto di forza che colpisce l’ascoltatore: è una specie di Nilsson dei controtenori in quanto dotato di un volume notevole, di molto superiore ai colleghi/rivali; di fatto, suona come un qualsiasi cantante medio di oggi. Il cantante ha altresì una fonazione disomogenea e lascia percepire chiaramente nel suo canto alcuni modelli: nei centri e nel fraseggio, quello delle sezioni patetiche e lente in particolare, Cecilia Bartoli (la quale dal vivo è meno sonora di Fagioli), mentre i gravi sono prodotti, credo con intento volutamente testosteronico, in modo grottesco e volgare a imitazione della Valentini-Terrani ormai stracca. La voce non è, pertanto, omogenea e solo i centri possono vantare un timbro apprezzabile e una certa morbidezza, mentre gli acuti, seppur facili, tendono ad assottigliarsi e sbiancarsi. La coloratura è abbastanza precisa, seppur realizzata mediante famigerati colpi di glottide, come è ormai regola, che la rendono meccanica e inespressiva. Il legato e la morbidezza, possibili solo nei centri, sono rovinati da un suo certo modo censurabile di spalancare la bocca e strascicare i suoni.
Sinteticamente. Nella prima parte del concerto molto meglio le due arie dal Demetrio (la prima sarebbe poi diventata poi Beviam, tocchiamo a gara nella Gazza) rispetto a Mura Felici, laddove il confronto col passato più o meno recente è impietoso, complice anche la tessitura bassissima che ha messo in seria difficoltà il cantante impossibilitato a coniugare le due emissioni differenti per gravi e centri. Appannata l’esecuzione della splendida aria alternativa dal Tancredi per cui il confronto resta la tuttora inarrivabile e inscalfibile Marilyn Horne, mentre piglio convinto e battagliero hanno caratterizzato la cavatina di Arsace (in vista del prossimo debutto nel titolo). Il bis, rara pagina dall’altrettanto raro Eduardo e Cristina, è stato abbastanza convincente seppur coronato da un tentativo mal riuscito – ed evitabile – di sopracuto al termine della cabaletta. Il teatro per un quarto vuoto ha accolto Fagioli, invero piuttosto simpatico nel modo di porsi, con successo sempre crescente fino al trionfo conclusivo.
Nell’ascolto live i difetti di Franco Fagioli risultano meno evidenti rispetto all’ascolto in cd e mi sento di affermare che Fagioli è attualmente il miglior esponente della sua categoria e, va ribadito, non peggiore della stragrande maggioranza della concorrenza mezzosopranile che a Rossini rende così poco onore di questi tempi. Detto ciò, il buon canto resta altra cosa, mancano la naturalezza, l’omogeneità, un timbro non artefatto, l’ampiezza per poter sfumare, rinforzare, assottigliare, etc. Senza scomodare la Horne, la Dupuy, la Valentini, basta l’ascolto di cantanti molto meno straordinarie e paradigmatiche per mettere a tacere tutti coloro che si piccano, oggi, di interpretare questo Rossini.
Ciao a tutti. E’ un po’ che non scrivo ma vi seguo e leggo sempre!
Per avallare questa patacca “filologica” (ricordo che siamo nel 2016 e non nel 1916, e che studiosi – quali la Caraci Vela – hanno più volte detto che “esecuzione filologica” non voglia dire proprio niente), nel video promozionale della casa discografica (vedi https://www.youtube.com/watch?v=ap3x9d8iLt8) Fagioli cita l’unico castrato per cui Rossini scrisse un ruolo, ossia Giovanni Battista Velluti, Arsace nell’opera “Aureliano in Palmira”, rappresentata nel 1813 per la prima volta. È evidente che Fagioli si dimentica (o non sa) che Velluti, “l’ultimo dei grandi castrati”, si è ritirato dalle scene intorno al 1833 (come mi ricorda il caro Megacle87) e che l’ultima opera di Rossini fu “Guglielmo Tell”, rappresentato nel 1829 per la prima volta.
Quindi, se Rossini avesse voluto scrivere per un castrato (che non è un controtenore), avrebbe potuto farlo benissimo lungo tutta la sua carriera operistica. Rossini non scrisse altri ruoli per castrato non perché non ce n’erano più (come dice il bugiardo Fagioli) ma per altri motivi di convenienza.
Non capisco cosa ci fosse di male nel dire “Voglio fare un CD su Rossini perché mi piace”, invece di inventarsi motivi assurdi e fasulli per avallare un qualcosa che non è mai esistito.
Attendo la recensione del prode Duprez! Un saluto a tutti
Sicuramente qualche screzio tra i due ci fu. Gran parte dell’attività teatrale di Velluti consisteva in opere scritte per lui – potremmo definirle “opere di baule” – che portava per i teatri italiani ed europei (Traiano in Dacia, Carlo Magno e Quinto Fabio di Nicolini, Tebaldo e Isolina di Morlacchi, Il Crociato in Egitto di Meyerbeer). Aureliano – che ebbe diverse riprese negli anni successivi – non lo tenne in repertorio.
Forse alla mancanza di nuove collaborazioni contribuì anche la distanza: le nuove opere per Velluti dopo Aureliano andarono in scena quasi tutte a Venezia, mentre Rossini si trovava altrove. E quando Rossini si trovò a Venezia, fu Velluti ad essere altrove.
Aggiungo che, da recenti ricerche di Megacle87, Rossini scrisse per Velluti anche la cantata “Il vero omaggio” (ruolo di Alceo), commissionata da Metternich in occasione del Congresso di Verona nel 1822 ed eseguita al Teatro Filarmonico. Non si sa se Rossini e Velluti rimasero in buoni rapporti, forse solo rapporti “istituzionali”, tenendo inoltre conto del fatto che Velluti non mantenne l’Aureliano in repertorio, forse ripreso a Londra quindici anni dopo.
Non conosco le ricerche di Megacle , ma di questa cantata per Velluti scrive già nel 1993 Ortkemper in ” Angeli controvoglia”
Confermo, si è sempre saputo di questa cantata negli studi su Rossini, ma rimane in ombra, un lavoro secondario con musica in gran parte riciclata. Tra l’altro la fondazione Rossini ne ha pubblicato l’edizione critica
Secondo Stendhal nell’Aureliano in Palmira Velluti snaturo’ l’opera con le sue “infiorettature” e cio’ irrito’ Rossini che decise di annotare in partitura fioriture e abbellimenti.. Ma sara’ vero ?
Molti dubitano, Massimo. E io pure dubito!
Molti aneddoti di Stendhal sono del tutto inattendibili; egli non era a Milano al tempo dell’Aureliano, e la diceria su Rossini che scrive per esteso gli abbellimenti è smentita da numerosi studi sulla prassi esecutiva e dall’uso di Rossini stesso di fornire abbellimenti ad alcuni cantanti.
Will Crutchfield, unico musicologo – a quanto mi risulti – che sta approfondendo la figura di Velluti, ne parla in questo saggio liberamente consultabile:
https://www.academia.edu/19971965/G.B._Velluti_e_lo_sviluppo_della_melodia_romantica
Su questo saggio penso che la Grisi abbia qualcosa da dire
Sì abbiamo letto le cazzate olimpiche di crutchfield. Ne riparleremo prestissimo e molto approfonditamente. Diciamo però che crutchfield si è fatto ben intortare dagli aneddoti ed ha preso partito per velluti non meno dei partigiani del tempo.
Grazie per queste cronache da Parigi. Essendo lontano da Francia al momento, posso seguire l’attualità lirica deprimente della mia capitale attraverso orecchi informati, perché, sapete, stampa e forum francesi…Ho anche ascoltato il cd, qualche aria, non sono masochista. Ho trovato Fagioli ignobile come al solito. Tra tutte queste imposture, penso che sia quella che mi fa veramente stare male. La sintesi tra vizzi tipici dei falsettisti e caricatura della peggiore Podles o Bartoli (si, è possibile) è semplicemente indigesta. Poco importa quel che canta, è sempre orrendo ai miei orecchi. Sono molto sorpreso del miglioramento della dizione che di solito è una vera porcheria. Anche della riduzione dei gesti e smorfie, guardare la sua postura di bocca mentre canta certamente non aiuta la mia ripulsione per lui…
Hors-sujet, ma avete visto la recente Ermione, sempre al TCE? Ho letto e sentito commenti estatici (ma, ribadisco, stampa o forum francesi…), non ci credo granché. La Meade sarebbe stata fantastica. Per quel che conosco di lei, io ne dubbio, et pas qu’un peu!
Grazie dell’apprezzamento Caterina
Concordo in generale su quanto scrivi su Fagioli, che in quest’occasione è stato, inaspettatamente, misurato e contenuto rispetto al solito. Inoltre l’ascolto live è stato, paradossalmente, migliore del cd che è proprio osceno.
Ermione arriverà L’ho vista ed è in cantiere, verrà pubblicata prossimamente. Come anticipazione posso dire che la Meade, che è cantante dal rendimento MOLTO alterno, è stata la migliore della serata e ha offerto davvero una buona prova, oltre le aspettative considerato il ruolo.
ricordo che i francesi ritengono la grande CALLAS quella che si esibì nel 1963-’65 in Francia.
E oggi la Jaho, la Gens, la Kermes, la Genaux etc. 😀
Sicuramente…Ma non generalazziamo, alcuni di noi anche ritengono la grande Callas quella che si esibi in 52 a Firenze nei panni di una certa Armida!
E dire che trent’anni prima di quest’Ermione, Parigi applaudiva la Cuberli, Blake e Merritt nella Donna…