Un mese di Ugonotti.

Il prossimo 13 novembre a Berlino verranno riproposti gli Ugonotti. La ripresa assume rilevanza perché Berlino è la patria ( ed anche  l’estrema dimora) di Meyerbeer anche se altre furono le patrie musicali del berlinese. Parlo dell’Italia e più in dettaglio dei teatri del Nord e soprattutto Parigi dove Meyerbeer mandò in scena i suoi grand-opéra e gli opéra comique. Ugonotti non sono il primo lavoro del genere, non sono neppure il lavoro più riuscito di Meyerbeer eppure sono il titolo che è maggiormente sopravvissuto di questo complesso non solo scenicamente e musicalmente, ma anche concettualmente genere melodrammatico. E’ ovvio che la complessità del genere ammette molte e diverse chiavi di lettura. Tutte valide, tutte parziali data la complessità del genere e del lavoro. Mi spiego il genere è la felice e straordinaria, nel vero senso del termine fusione e sintesi fra la tragedie francese e l’opera italiana, sulla monumentalità francese (non disdegnata neppure dall’opera italiana vedi titoli come Semiramide, Crociato in Egitto e pure Anna Bolena) si innesta la grande vocalità italiana quella che, anche obtorto collo, era ritenuta il paradigma del canto e della vocalità, ma può anche essere considerata come una rappresentazione teatrale e scenica di proporzioni e respiro mai viste e mai più ripetuta, che trasforma il melodramma una sorta di tableau vivant et chantant ancora il grand-opéra è il precedente insigne dell’operismo wagneriano con quella particolare concentrazione di aspetto drammaturgico e musicale. Questo in soldoni e per proporre all’ascoltatore  chiavi di lettura di un titolo, siano Ugonotti, Ebrea o persino Vespri siciliani. Con riferimento agli Ugonotti  poi dobbiamo anche chiederci il motivo della loro sopravvivenza superiore agli altri titoli di Meyerbeer e forse anche di altri autori. Credo che la risposta risieda  nel fatto che Ugonotti più di ogni altro titolo celebra il mito del tenore e dell’eroe romantico. Raoul de Nangis come Gualtiero del Pirata ed Edgardo di Lucia rappresenta il prototipo di eroe del melodramma romantico che grazie alla vocalità tenorile infiammerà i pubblici almeno per un settantennio. I maggiori tenori da Duprez a Lauri Volpi sentivano il bisogno per essere grandi tenori da dramma di cappa e spada indossare i panni del giovane protestante saldo e pugnace nella fede e nell’amore. Il personaggio era talmente tipicizzato che dalle iconografie di Duprez o Mario sino alle fotografie di de Reszke, Ershov e Lauri Volpi abito, capigliatura e baffi sono sempre identici. E poi gli Ugonotti erano l’opera delle “sette stelle” perché nonostante la preponderanza del tenore i protagonisti sono altri sei  cantanti e una tale richiesta drammaturgica e vocale consentiva per compagnie, che stazionavano una stagione in un teatro, di poter esibire per una sera tutte le voci scritturate per la stagione medesima. Oggi un simile ragionamento è difficile da comprendere e da spendere, ma in un epoca in cui l’opera non andava in scena con le sovvenzioni dello stato, ma con il rischio di impresa dell’impresario, il far successo, il riempire il teatro erano ragioni di sopravvivenza e, quindi, proporre gli Ugonotti era un modo certo e sicuro per avere successo e buono non ultimo far cassetta.

Naturalmente quelli della Grisi hanno per Ugonotti una sorta di venerazione per quello che il titolo rappresenta non solo nella storia dell’opera, ma soprattutto in quella della vocalità. Lo abbiamo dimostrato sin dai nostri albori pubblicando le riflessioni preziose ed esaurienti di Vivian Lyff sulla storia delle registrazioni di passi del titolo. Oggi in attesa della epifania o secondo alcuni della parusia del nuovo Nourrit proporremo ogni giorno per oltre un mese registrazioni (spesso frammenti) dei passi più significativi del capolavoro meyerbeeriano. Nessuna presunzione di completezza, ma l’omaggio davanti ad un monumento della storia e della cultura.

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5 pensieri su “Un mese di Ugonotti.

    • Oltre alle recite di Lauri-Volpi e poi quelle scaligere con Corelli, Sutherland, Simionato, Cossotto, Ghiaurov, forse l’ultima è quella con Morino-Ricciarelli primi anni 90… ma certamente qualcun altro sarà più informato di me 😀

      • Si, dimenticavo Sutherland-Corelli 1962 (anche se l’ho ascoltata varie volte) ma Ricciarelli primi anni 90 mi manca…
        In realtà scrivevo l’informazione sul teatro la Fenice con la speranza che qualcuno del teatro ci legga ed entro il 2026 (oppure nel 2026) rimetta in cartellone l’opera – anche alla luce del fatto che nell’ultimo decennio hanno messo in scena almeno due opere di Meyerbeer. Perché non continuare?

  1. Se non erro, dopo l’edizione scaligera diretta da Gavazzeni, vi fu un’esecuzione a Novara per la riapertura del Teatro Coccia (era stata a suo tempo l’opera di inaugurazione del Coccia con la direzione di Toscanini), mi pare forse nel 1991 con Ricciarelli, Morino e Ghiuselev, poi, qualche anno fa, un’esecuzione a Martina Franca al festival della Valle d’Itria, diretta – credo – da Palumbo.

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