Attila a Bologna: seconda stazione… con karaoke finale.

Red_ShoesParte male e finisce peggio la terza rappresentazione di Attila (seconda recita del primo cast dopo la première di sabato). Dapprima il teatro annuncia che l’opera avrà inizio con una decina di minuti di ritardo (senza specificarne la ragione), poi precisa che il baritono Simone Piazzola canterà malgrado un’indisposizione. A metà del secondo atto, dopo l’aria di Ezio, Piazzola appare in effetti piuttosto provato (fatica a reggersi in piedi e deve appoggiarsi a Ildebrando d’Arcangelo – ma la circostanza avrebbe potuto essere scambiata per una trovata di regia, volta a enfatizzare la tregua fra Attila e il generale romano), finché al terzo atto, dopo la romanza di Foresto, il sipario cala improvvisamente. Recita sospesa per diversi minuti, finché il direttore non compare al proscenio annunciando che il baritono non è in grado di continuare… ma l’opera proseguirà! Assistiamo quindi al bellissimo terzetto “Te sol, te sol quest’anima” e al susseguente quartetto finale nell’assenza di uno dei solisti, un po’ come avvenne, svariati anni fa, in occasione di una recita di Puritani (con la medesima bacchetta) in cui Celso Albelo, indisposto, letteralmente scappò di scena a metà del ripristinato terzetto del primo atto, che si concluse quindi con il mirabile effetto karaoke udito ieri sera. E oggi come allora, nessuno ha pensato bene, alle prime avvisaglie dell’indisposizione di Piazzola, di allertare il baritono previsto per il secondo cast, allo scopo di avere pronto in quinta un sostituto che potesse in qualunque momento subentrare al collega indisposto. Sottovalutazione del problema? Eccessiva fiducia nelle capacità di ripresa del cantante? Cialtroneria? Probabilmente una mescolanza di tutti questi ingredienti, il cui risultato è però sempre il medesimo: al pubblico si può offrire con la massima serenità qualunque cosa, anche la parodia involontaria del finale del celebre film “Scarpette rosse”, perché la qualità del prodotto sarà sempre magnificata dai soliti aedi e approvata, o almeno tollerata, dalla maggior parte degli spettatori. E anzi dovremo forse leggere che l’assenza del baritono ha permesso di cogliere ancora meglio le finezze dell’orchestrazione verdiana, finezze ovviamente esaltate dalla direzione di Michele Mariotti, che (rubo un’espressione a Donzelli) unisce l’eleganza di Abbado senior al vigore del giovane Muti. E pazienza se pagine come il preludio, l’introduzione alla romanza di Odabella, la tempesta e l’alba sulle paludi adriatiche, le celebrazioni al campo di Attila hanno tutte gli stessi colori e il medesimo (limitato) impatto, se l’accompagnamento alle arie solistiche risulta meccanico e regolarmente pesante (anche e soprattutto in presenza di solisti che sono tutt’altro che dei pesi massimi dal punto di vista vocale), se non c’è la capacità di respirare assieme ai cantanti (specie a quelli più bisognosi di un sostegno in questo senso – penso a Fabio Sartori e alla sua difficoltosa cavatina di sortita), di moderare impeti assolutamente deleteri (la puntatura al sol che D’Arcangelo inserisce prima della cabaletta del duetto con Ezio, e che è un urlo incontrollato, o ancora le frequenti “sbandate” del coro, specie nel prologo), insomma, come si diceva un tempo, di concertare l’opera, anziché limitarsi a muovere la bacchetta (anche quando in orchestra si esibiscono i soli – attacco del “fuggente nuvolo”). In un simile contesto, ai cantanti non rimarrebbe che brillare di luce propria, se ne fossero in grado. Ci prova l’infortunato Piazzola, che non ha in acuto la necessaria sicurezza (gli riesce bene, peraltro, il sol del recitativo che precede l’aria) e si arrabatta con suoni un poco nasali, ma tenta comunque di mantenere una decente linea di canto, sfoggiando piani che funzionerebbero meglio, se fossero adeguatamente sostenuti (ma comprendiamo la difficoltà di cantare in non perfette condizioni di salute – anche se certi vezzi c’erano, in buona parte, anche nella recita radiotrasmessa). Ci prova anche D’Arcangelo, che se non altro non bituma la voce a imitare improbabili modelli, ma resta un cantante di limitata ampiezza, con una voce priva di espansione nella sala, roca e ballante al grave, senza punta in acuto, per conseguenza privo di quello slancio, di quell’autorevolezza che sfoggiava, in questa parte, anche un belcantista come Samuel Ramey. Neppure ci provano, invece, gli amorosi: Maria José Siri, al pari della sua omologa del secondo cast, alterna stridori e pianini senescenti (quando non li combina, come alla chiusa della romanza), spiana e semplifica dove può (da capo della cabaletta della sortita), grida con poca voce ai concertati (complimenti a chi, addetti ai lavori in primis, sembra averla scambiata, agenda alla mano, per la reincarnazione di Leyla Gencer); Fabio Sartori, voluminoso di voce quanto di complessione fisica, emette suoni schiacciati e rochi sul passaggio superiore, non ha squillo alla sortita e al duetto con Odabella, stona copiosamente nella romanza.

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10 pensieri su “Attila a Bologna: seconda stazione… con karaoke finale.

  1. Pazzesco! Ma a Bologna non conoscono il concetto di “secondo”? Una cosa ridicola, al di fuori di ogni buon gusto, se vogliamo parlare dal punto di vista artistico, opposta al concetto di buona fede contrattuale nell’adempimento delle obbligazioni contratte con il pubblico, se vogliamo passare al punto di vista giuridico.
    A Napoli anni fa un giudice di pace condannò a la FICG a risarcire a dei tifosi della squadra di calcio locale il c.d. danno esistenziale derivato dal fatto che il Napoli era non più in A ma in una serie inferiore (la sentenza – mi pare – fu poi, giustamente, ribaltata in cassazione). A questo punto gli spettatori dell’Attila felsinero dovrebbero chiedere al Comunale il risarcimento del danno esistenziale, e della prestazione incompleta rispetto a quella contrattualmente promessa!
    Ho visto che la Siri dovrebbe essere Tosca a febbraio a Torino. Non mi era piaciuta come Amelia nel Simone, troppo deboluccia, da far sembrare, quanto a peso vocale, la Ricciarelli e la Freni (per parlare di 2 note Amelie) due soprani drammatici (cone la differenza che loro sapevano cantare…). Ho già mal di stomaco al solo pensarci e sono tentato di cedere il mio biglietto ad altri….

  2. La differenza tra l’allestimento di un’opera e un cabaret improvvisato si fa sempre più labile… tanto a nessuno si chiede il conto degli errori, il pubblico deve pagare e applaudire altrimenti è pure becero e ignorante.
    Ho sentito la registrazione della prima e concordo sull’esito assai modesto dello spettacolo con un Attila sottodimensionato, ma non disdicevole rispetto agli altri, un baritono che nel panorama odierno spicca per alcune qualità che si spera non sperperi in un lustro, ma Verdi gli sta largo, tenore pessimo e soprano anche (non basta certo arrivare alla fine dalla cavatina killer ancora vivi per essere un’Odabella passabile).

  3. A Torino si sono appena concluse le recite della “Piccola Volpe Astuta” : un allestimento di eccellente livello che il pubblico ha applaudito con calore . Mi ha fatto tra l’altro piacere constatare la presenza di giovani , nell’ultima recita davvero molti. Un titolo importante ( decisamente più di Attila, a mio avviso una delle pochissime opere che riesce nell’ardua impresa di essere “meno bella” di Giovanna D’Arco ) . Scrivo questo per ricordare che non sempre e non necessariamente le cose – anche ai tempi d’oggi – vanno storte. Chi non c’era ha perso qualcosa.

    • Mi accodo a questo intervento fuori tema di Gianmario! Le cose non sempre vanno storte!
      Qui si sono passate due tre settimane a discutere di Rigoletto e Attila… Nonostante tutto l’amore che ho per il melodramma italiano della prima metà dell’Ottocento e nonostante la gioia con cui leggo e ascolto gli interventi che si pubblicano qui c’è molta opera diversa lì fuori che aspetta di essere raccontata. L’ultima esperienza bellissima è stata al Malibran di Venezia in cui stanno ancora dando due opere da camera di Hazon e Wolf-Ferrari: le parti richiedono certamente meno sforzi ai cantanti ma almeno non sono uscito scontento dal teatro (come sarebbe sicuramente successo a Bologna). Andate, che stanno anche svendendo i biglietti tanto il teatro era e immagino sarà semi-vuoto!

      https://www.youtube.com/watch?v=HJg_i7nRQwY

  4. Ninia, vedo che siamo d’accordo.
    Se un direttore vale, la recita si porta a termine.
    Se un direttore è costruito a tavolino, questi sono i risultati. I direttori di un tempo, chiamavansi Mario Rossi,
    Gabriele Ferro, Carlo Franci, Tullio Serafin, GF Masini.
    Lamberto Gardelli,Nello Santi, Massimo de Bernart,
    Marcello Viotti, solo per restare in ambito di quest’opera
    non avrebbero fatto una così magra figura. Prosit.

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