Bach a Mi.To.

Albrecht-Durer-The-Large-Passion-6.-The-CrucifixionLe due superstiti Passioni di Bach sono tra i vertici assoluti non solo della musica occidentale, ma della stessa storia ideale e culturale della nostra civiltà. Entrambe rappresentano il punto di partenza e di arrivo del genio dell’uomo che – attraverso la trasfigurazione artistica – indaga i significati ultimi della sua esistenza al mondo, della sua condizione di solitudine e della tensione ad una moralità superiore. Le due Passioni (secondo Giovanni e secondo Matteo), rappresentano – in questo percorso di fatica – i diversi aspetti della medesima domanda che trova nell’aspirazione all’infinito il suo estremo orizzonte. Tuttavia se una soltanto è la ragione della ricerca che sottendono, diversissimo è lo sviluppo che offrono, non solo nella struttura musicale o nelle dimensioni, ma anche – soprattutto – nell’approccio e nel significato. Infatti se la Passione secondo Matteo rappresenta l’epica della tensione metafisica dell’uomo, volto a guardare oltre il cielo stellato nella ricerca di quei significati che governano la moralità della sua esistenza, attraverso la raffigurazione drammatica del sacrificio e della redenzione; la Passione secondo Giovanni – in una dimensione più raccolta e tragica – ci racconta il senso del dolore e della profonda solitudine dell’uomo. Se la dimensione della Passione secondo Matteo è smisurata nel rapportarsi all’infinito in un’architettura grandiosa che si traduce in cosmogonia e teologia, la Passione secondo Giovanni è essenzialmente laica nel soffermarsi sulla cognizione della sofferenza: il dio che si è fatto uomo diventa “solo” un uomo che muore circondato dal dolore di una “turba” che incarna il senso del distacco, del lutto, della morte che avremo tutto. La Passione secondo Matteo, invece, rappresenta il ponte verso un mondo superiore in cui il dolore, il lutto e la morte, sono passaggi di redenzione attraverso la purificazione del dolore. Bach realizza con le sue due opere la più completa raffigurazione della complessità dell’anima dell’uomo: divisa tra cielo e terra, tra dolore e beatitudine, tra rinuncia e desiderio. Tra amore per l’altro e amore di Dio. C’è un punto nella Passione secondo Giovanni, il Nr. 28, in cui al Coro sono assegnati questi versi: “O Mensch, mache Richtigkeit, Gott und Menschen liebe, Stirb darauf ohn alles Leid, und dich nicht bertrübe!” ossia “O uomo, pratica la giustizia, ama Dio e gli uomini, poi muori senza rimpianti, e non affliggerti!”. In queste parole è la dimensione umana, laica, terrena della Passione secondo Giovanni: la salvezza non è intesa in senso metafisico, ma è il premio ad una vita onesta che sconta la morte col dolore del distacco, e con la fede in una speranza. Nella Passione secondo Matteo, invece, non c’è spazio per la sofferenza della solitudine, per la lacrima della madre che vede il figlio crocifisso a due pezzi di legno, ma rivela quella che Alberto Basso – grandissimo studioso Bach e autore del fondamentale saggio/biografia “Frau Musika” – chiama “spinta verso l’assoluto” in quel tumulto dei sensi che “si sprigionano da quella massa sonora così equilibrata eppure così vibrante, così squadrata e chiara eppure così colma di avventure, così ben regolata sul cammino ultimo di Gesù e irradiante pietà, eppure così attenta alla rappresentazione di un evento tragico che è al centro della storia – della nostra storia di inquieti viandanti – e nel quale una religione ha depositato il mistero della redenzione”.
Molto bene, dunque, ha fatto Mi.To. ad eseguire i due capolavori a breve distanza l’uno dall’altro. E altrettanto bene l’aver eseguito per prima la Passione secondo Giovanni. Il doppio appuntamento si è confermato uno degli eventi centrali della rassegna e uno dei maggiori risultati artistici di quest’anno. La lettura dei grandi lavori bachiani è stata affidata all’Akademie für Alte Musik Berlin, allo strepitoso RIAS Kammerchor e alla discussa bacchetta di René Jacobs (che con le suddette compagini ha ormai una frequentazione di oltre 25 anni). Premetto che sono rimasto stupito dal direttore: non amo particolarmente Jacobs, soprattutto nelle ultime registrazioni (quel Mozart “ricostruito” in senso barocco e sovraccaricato di orpelli con interventi più che discutibili sulla struttura musicale sino al frantumarla in un delirante accumulo di effetti schizofrenici), ma in Bach il rigore e la precisione mostravano la dedizione del musicista, libera dai condizionamenti del cattivo gusto nel trovare – ad ogni costo – soluzioni “strane” per il solo gusto di andar contro corrente. Il Bach di Jacobs è concentrato, severo, raccolto, leggero nel cesellare i preziosismi della partitura, teso nell’arco narrativo che non conosce cali di attenzione o frammentarietà (troppo spesso le Passioni sono state vittima di interpretazioni che le riducevano ad una più o meno lunga sequela di corali e recitativi, ciascuno isolato e chiuso e senza alcuna continuità). E’ stato poi attentissimo ad enfatizzare le differenze tra i due lavori (con diverse distribuzioni di forze strumentali e vocali, persin nella disposizione degli elementi) imponendo un ritmo incalzante, ma non affrettato, funzionale alla narrazione drammatica e mai compiaciuto. Sabato 19 e lunedì 21, ho finalmente apprezzato il Jacobs concertatore di voci, a cui nulla sfugge di mano e che gestisce il coro con i suoi contrappunti e canoni, come se fosse uno strumento nelle sue mani. Grande merito va al RIAS Kammerchor che si conferma una delle migliori compagini in attività (e lo testimonia una storia artistica che affonda le radici nel 1948). Contraltare al lussureggiante e duttile complesso corale, era l’Akademie fur Alte Musik di Berlino, dal suono più misurato e controllato, forse in debito di fantasia, ma di precisione esemplare (anche nell’intonazione sempre curata, a differenza di altre compagini barocchiste). Splendidi i tanti inserti solisti con menzione speciale per gli oboi, il violino e la viola da gamba. I due cast hanno riservato luci e ombre: sicuramente efficace nella resa liederistica del recitativo che funge da tessuto connettivo dei numeri musicali, l’Evangelista (in entrambe le Passioni) di Werner Gura a cui forse manca un po’ di autorevolezza, ma che benissimo rappresenta l’uomo narratore e protagonista del dramma della redenzione. Altrettanto efficaci i bassi Andrè Schuen e Arttu Kataja (i due Cristo). Disastroso invece Konstantin Wolff (basso nelle arie di entrambi i lavori): vocalità disordinata e difficoltosa. Sunhae Im (soprano in entrambe) pur non essendo mai particolarmente gradevole, dal vivo è assai meglio che nelle troppe incisioni. Discreta Sophie Harmsen (mezzo nella S. Giovanni), ma ottima Kristina Hammerstrom nella S. Matteo che ha eseguito una concentratissima e toccante “Erbarme dich”. Discreto il tenore Sebastian Kolhepp. Alla fine grandi applausi e la sensazione di due splendide serate di musica. Si offre l’ascolto dell’evoluzione esecutiva di questi due immensi capolavori.

Gli ascolti.

Johannes-Passion:

1) Fritz Lehmann (Vienna 1955):
Immagine anteprima YouTube

2) Eugen Jochum (Monaco 1960):
Immagine anteprima YouTube

3) Hermann Scherchen (Vienna 1962):
Immagine anteprima YouTube
Immagine anteprima YouTube

4) Frans Brüggen (Amsterdam 1993):
Immagine anteprima YouTube

5) Masaaki Suzuki (Tokio 2000):
Immagine anteprima YouTube

6) Jos van Veldhoven (Utrecht 2004):
Immagine anteprima YouTube

Bonus: “Herr, unser Herrscher, dessen Ruhm” – arr. R. Schumann – Max Hermann (2006)
Immagine anteprima YouTube

Matthäus-Passion:

1) Willem Mengelberg (Amsterdam 1939):
Immagine anteprima YouTube

2) Wilhelm Furtwängler (Vienna 1954):
Immagine anteprima YouTube

3) Karl Richter (Monaco 1971)
Immagine anteprima YouTube

4) Philippe Herreweghe (Gent 1984)
Immagine anteprima YouTube

5) John Eliot Gardiner (Londra 1988):
Immagine anteprima YouTube

6) Peter Dijkstra (Monaco 2013):
Immagine anteprima YouTube

Bonus: versione di F. Mendelssohn, Lipsia 1841 (Chritoph Spering 2002):
Immagine anteprima YouTube
Immagine anteprima YouTube

4 pensieri su “Bach a Mi.To.

Lascia un commento