Il convento di San Giusto, il convento del grand-opéra. Dodicesima e ultima puntata: Harteros/Kaufmann vs. Poplavskaya/Villazón.

don-carlo-verdi-villazon-poplavskayaLa nostra rassegna conventuale si conclude con una coppia, o sarebbe meglio dire un’accoppiata, davvero male assortita. Male assortita, almeno, se si ha in mente che cosa sia l’ultimo atto del Don Carlo e quali risorse vocali e interpretative richieda ai convocati esecutori. In Marina Poplavskaya e Rolando Villazon abbiamo due autentici divi del canto moderno, di quelli che per fama e pedigree dovrebbero costituire il non plus ultra dell’arte vocale. La registrazione in house, testimonianza al solito preziosa, perché esclude il lavoro di missaggio e ricomposizione ex post, restituisce invece due stanchi, provati imitatori rispettivamente dei pianini di Montserrat Caballé e della genericità distribuita a colpi di strozza, spacciata per partecipazione emotiva, di Placido Domingo. Ascoltare una voce di puro soprano lirico, al massimo da Puccini (ma meglio sarebbe da Massenet), priva di sostegno in prima ottava (che risulta la parte migliore della voce, non foss’altro perché si sente poco e male), acida e sovente stonata al centro, regolarmente fissa in acuto, alle prese con la scrittura di Elisabetta, in cui elegia e grandeur inesorabilmente si fondono, è un’esperienza che ci sentiamo di raccomandare a chi non l’avesse ancora provato. Anche per verificare con le proprie orecchie la scienza e la preparazione della critica che, al pari del pubblico londinese, scioglie autentici inni alla signora Poplavskaya, ultimamente più rinomata per i forfait che per l’esito delle sue performance. Impossibile citare tutti i momenti “topici” di un’interpretazione (pour ainsi dire) che andrebbe invece chiosata battuta dopo battuta, ma frasi come “vêr voi schiude il pensiero i vanni” e “i ruscelli, i fonti, i boschi, i fior”, affette da dizione impastata e suoni al tempo stesso chiocci e fibrosi, rendono alla perfezione (sempre pour ainsi dire) lo stato dell’arte vocale ai tempi dei cyberdivi. Naturalmente a questa claudicante regina di Spagna non viene risparmiata la sezione del duetto, tradizionalmente omessa, “Sì, l’eroismo è questo”, così la Poplavskaya può arrivare all’apogeo del “Ma lassù ci vedremo in un mondo migliore” completamente stravolta dalla fatica, perdendo definitivamente di vista l’intonazione e abbondando in suoni vetrosi, per i quali le unghie sulla lavagna sono un’immagine certo evocativa, ma ancora distante dalla realtà. Basti dire che l’acuto conclusivo è di gran lunga la nota più a fuoco. Quanto a Villazon, basta il “sublime eccelso avel, qual mai ne ottenne un re” per comprendere come il cantante non distingua fra l’Infante e il Nemorino già ebbro dell’elisir di Dulcamara: stessi suoni spampanati, contrazioni di gola, dinamica impostata su un costante mezzoforte, con singhiozzi in luogo di smorzature. Il resto va di conseguenza, e ripetiamo, merita l’ascolto e un’attenta meditazione. Davanti a siffatti amorosi, il Filippo di Ferruccio Furlanetto sembra in primo luogo un cantante, e poi un grande interprete verdiano.

 

Ultimo ascolto quello della coppia Harteros-Kaufmann, che imperversa nei teatri tedeschi in ogni titolo verdiano come fossero il duo Pertile/Arangi-Lombardi della Scala di Toscanini o quello Tucker/Price del Met anni ’60.

Se, come sempre dovessimo darci ad una attenta disamina ripeteremmo quanto abbiamo detto molte altre volte che si trattasse di Trovatore, Forza o don Carlos e, quindi, non posso che per sommi capi ricordare i difetti dei due cantanti, che, inesorata, la scrittura vocale verdiana esalta. Lei è si è no un soprano da Boheme (lo erano anche la Freni o Renata Scotto, ma c’erano altre doti tecniche, altre risorse d’accento altre guide in buca) e quindi quando deve scendere emette suoni opachi ed indietro a partire dal “conoscesti del mondo” o dal “riposo profondo”, quando deve squillare e salire è fissa e forse stonata “se ancor si piange”  oppure “i fior del paradiso a lui sorrideranno”e se poi deve scandire ed accentare “si l’eroismo è questo” è abulica ed inetta oltre che in difficoltà vocali. Aggiungo che confrontata con il partner è una cantante, che si ingegna e si inventa un canto che se non è professionale ne è una imitazione, perché lui crede di essere Mackie Messer dell’opera da tre soldi e di condire il pubblico con l’aria da bel tenebroso. Sbagliato il canto e sbagliata l’idea del personaggio perché tutto può essere l’infante di Spagna meno che “un bel tenebroso” e non perché nella realtà storica fosse in pratica un handicappato psichico, ma perché Verdi  e prima di lui Schiller avevano ben altra idea del personaggio. Se proprio nel dramma c’è un bel tenebroso questi è Rodrigo, che in fondo piace ed attrae tutti. Inquisitore escluso.

Siccome la fama del bel Jonas è di essere un interprete ho per una volta provato a tralasciare il fallimentare aspetto vocale e provato a concentrarmi sul dire. è un’operazione difficile perchè nel canto operistico a mio parere non si può dire se non si sa cantare, ma era un tentativo che mi sono “imposto”. Ascoltato per più volte il duetto mi sono chiesto se rispondessero all’eroico innamorato grasi gridate e ghermite con la voce a partire dall’iniziale “si forte esser voglio” o il sulla terra fiamminga dove il tono è quello di un Canio di paese che insultala la moglie troia prima di ammazzarla o il senso di soffocamento che provoca il “vago sogno d’arrise” sia all’inizio che verso al conclusione dove Kaufmann vocifera con una voce bitumata come chi “sia dietro a tirare il fiato” (per dirla alla milanese). Tralasciamo che non si capisca una parola, limite grave sempre e insormontabile per chi venga spacciato per un fine dicitore, raffinato  interprete. Come sono una svarione del preteso interprete gridare e vociferare “al mio sen ti stringo” , il successivo “tu piangi” che dovrebbero essere alitati come un canto d’amore. Ed anche la replica alla locomotiveggiante  Elisabetta , che compita “ma lassù” non è canto d’amore perché i suoni soffocati simil orgasmo, farfugiati e non in regola con l’intonazione di “ma lassù” , il gridolino “il sospirato ben” pertengono all’interpretazione di altra forma di spettacolo (si badi spettacolo, non arte) che non c’entra nulla con l’opera. Sarà l’arte totale? Mi permetto di dubitare e già penso, per sollevarmi lo spirito, al prossimo convento. Blasfemo e sacrilego, ma cantato….

 

Gli ascolti

Verdi – Don Carlo

Atto V

Tu che le vanità…E’ dessa! Un detto, un sol…Sì, per sempre!

Marina Poplavskaya, Rolando Villazon (con Ferruccio Furlanetto, Eric Halfvarson e Robert Lloyd, dir. Antonio Pappano – 2008)

Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube

28 pensieri su “Il convento di San Giusto, il convento del grand-opéra. Dodicesima e ultima puntata: Harteros/Kaufmann vs. Poplavskaya/Villazón.

    • Immagino di si. Primo perché sia per motivi anagrafici che geografici qui da noi pochi conoscono il rumore di una Trabant, specie se ingolfata. Secondo perché la Harteros ha voce decisamente bella. Piuttosto Kaufmann può ricordare ai più maligni un Ducati sbiellato.

  1. Ma questi ascolti sono stati scelti perchè siamo vicino ad Halloween e si cerca di spaventarci tutti per fare lo scherzetto senza dolcetto? Attenzione perchè il prolungato ascolto di K. e di V. può portare a gravi problemi al fegato, allo stomaco ed all’intestino, nonchè al pancreas ed alla cistifellea…. Me lo ricordo pure io l’orrido Don Carlo monacense di qualche anno fa, in cui l’unico che dava l’impressione di sapere un po’ cosa significasse cantare era un René Pape non certo al meglio della forma (e questo la dice lunga…). perciò evito l’ascolto. L’altra perla (nera, da lunedì de “La barcaccia”) tenorile è un imitar de’ imitator di Domingo.
    Infine – lo chieggo a Donzelli – il “prossimo convento” del Grand-Opéra “blasfemo e sacrilego, ma cantato”, non potrebbe forse essere quello “ove un asilo del Signore alle figlie Rosalia consacrò”? Lì sì che si potrebbero sentire cosette interessanti… come quelle di questo simpatico diavolone abruzzese:
    http://www.youtube.com/watch?v=ZCk22EVqDK4

      • se si legge la sua autobiografia non ne risparmia a nessuno a partire da quel basso che aveva la voce per Mozart, a Mocchi (che definisce un delinquente, mentre grande stima per la Carelli) sino al regime di cui fu vittima…. poi ogni tanto si a prendere la mano perché quando dice che per fregarlo in scala gli chiesero di prepararsi per Semiramide e Roberto il diavolo non si rende conto che chi glielo chiese (Serafin) sapeva bene che li era il solo in grado di fare questi titoli

        • Concordo: lettura molto gustosa e ricchissima di aneddoti storici (lo schiaffo di Mocchi a Mascagni, per esempio). Tuttavia, i giudizi di chiunque vanno sempre ponderati, mai accettati acriticamente. D’altra parte sfondo una porta aperta in questa sede. Ciao Domenico e un grazie sentito (in questo caso, non per “questi” ascolti, ma) per il tuo/vostro quotidiano “lavoro”, impagabile per i vociomani come me.
          MB

        • Ho scritto abruzzese perchè mi pareva fosse nato a L’Aquila. Interessante la notizia di una sua autobiografia. Potrei averne gli estremi bibliografici? E’ ancora rintracciabile o riedita recentemente? Se nello scrivere aveva solo un 10% della potenza che aveva nel cantare, dovrebbe essere certo una lettura interessante e divertente.
          Domanda cattivella: cosa potrebbe mai scrivere il kau in una sua ipotetica autobiografia? Forse raccontare di quanto faceva il Lohengrin sulla Sacra Collina in mezzo ai topolini grigi e rosa? Peraltro (sigh!) il kau come Lohengrin – per quel pochissimo che riuscii a sentirlo – mi parve persin meno peggio di chi arrivò dopo di lui in quel ruolo in quell’allestimento e che quest’anno l’illuminata dirigenza scaligera si pregia proporre al pubblico ambrosiano come Florestano… Ma se costui già aveva voce troppo flebile per Lohengrin, cosa potrà mai fare in Florestano? Io, per mio conto, preferisco tenermi stretti Roswaenge, Windgassen e Vickers.

          • Rispondo a Don Carlo, scusandomi, se ce n’è bisogno, per l’off topic…

            E’ un “errore” comune, che dipende dalla sua intima frequentazione con l’Abruzzo (prima come sindaco di un piccolo borgo; poi, nella seconda parte della sua vita, con L’Aquila, dove si risposò con una ragazza molto più giovane di una nota famiglia).

            Ti lascio la referenza richiesta: “Nazzareno De Angelis, ossia L’opera vista dal basso” a cura di Roberto Manilla (Lucca : Libreria musicale italiana, 2003). Non potrei dirti però quanto sia facile reperirlo.
            E’ un libro scritto con la stessa generosità della sua opulentissima voce: tuttavia non è rifinito (è, per la precisione, una collezione -postuma- di vari suoi scritti di epoche diverse; per cui appare contraddittorio, in alcuni punti. Ma, direi, molto interessante comunque).

            Ciao, MB

    • ogni tanto, carissima lily, la minestra liofilizzata serve per apprezzare il brodo buoni fatto con due tagli di manzo, cappone e anche un po’ di vitello !!!!!!
      prometto per domani un grande ascolto…….

  2. Pappano dirige con una lentezza esasperante e con poca maestosità, un brano che non può esser una nenia, quanto alla harterios sembra una bimba che tenta di fare i compiti. Ma Santo Iddio è una scena drammatica, (pappano lo sa?) e poi i piani, non sono di contemplazione, ma solo un pensiero che la tormenta. Da questa esecuzione si comprende la grande ammirazione degli inglesi….

  3. Scusate la confusione: si trattava della Poplaskaya, ma sempre Pappano era. Poi, all’arrivo di Villazon mi sono rifiutato di proseguire, perché un Don Carlo così arruffato me lo aspetterei in una operetta. Villazon è eternamente ingolfato di suo con la voglia di esser tenore eroico, ma a malapena potrebbe fare il corifeo.Stop

    • E pensare che, ai tempi, criticavamo Carreras!!! In confronto a questi, il buon José era un mostro di bravura tecnica e capacità interpretative, che se li mangiava letteralmente 2 così, nonostante tutti i noti difettucci… Ciò a prescindere dal fatto che come bellezza di timbro non c’è nemmeno da fare il paragone. Carreras aveva una voce bella, Kau no. Anche Vickers non aveva un timbro baciato da Dio, ma sapeva cantare (cfr. quanto scritto in questa stessa rubrica qualche puntata fa), e cantava sul serio, non latrava, non muggiva, non grugniva, non squittiva, né nitriva, né abbaiava (cose che mi pare sentire fare, involontariamente, da certe “voci” attuali….) Villanzon è inascoltabile, tecnicamente persin peggiore di Kaufmann. Per rifarci le orecchie sentiamoci un Don Carlo con delle vere voci, di quelle di una volta:
      http://www.youtube.com/watch?v=M8DtWPyt6Hk

      • Una delle mie edizioni preferite di Don Carlo è proprio quella postata qui sopra: mi sono innamorato di Antonietta Stella proprio grazie a quella registrazione. Filippeschi mi piace molto e anche la Nicolai, Christoff e Gobbi non li amo, ma avercene. La Stella è forse la mia Elisabetta preferita nel complesso (soprattutto perché non ha gli acuti stiracchiati come Caniglia, Cerquetti e Tebaldi, altre voci magnifiche che hanno affrontato il ruolo) :)

        • ciao ninia!
          anche a me piace molto Antonietta stella. Non ho mai capito perché, invece, la generazione di ascoltatori precedente la mia la ritenga una cantante mediocre. Anche recentemente Gualerzi celebrando la Cerquetti non ha perso occasione per dire che la Stella neppure lontanamente poteva competere con una Cerquetti una Callas o una Tebaldi, come ha dire ha fatto carriera, ma valeva poco.
          Allora Antonietta Stella non aveva il timbro della Cerquetti ( e chi lo aveva Giannina Russ cinquant’anni prima e la Flagstad e poi….) non aveva le doti di virtuosa della Callas e neppure certe sue uscite intepretative, ma … ma poi c’era ben poco da criticare anche in confronto alla Tebaldi. Francamente non riesco a capire, forse non ebbe la curiosità di avventurarsi in repertori diversi , ma con quel mezzo quando canti il tardo Verdi e parecchi titoli del Verismo e di Puccini hai lavoro sicuro ad altissimo livello 365 giorni l’anno.
          Per smentire le dicerie ti posto la Stella quale duchessa Elena dei Vespri. Non solo avercene, ma bravissima
          [youtube]http://www.youtube.com/watch?v=FhLaOHWqhOo[/youtube]

          • Concordo. Il Trovatore ed il Ballo in Maschera che si trovano sul tubo assieme a Bergonzi io li trovo bellissimi. Ed a me piace molto anche la Tosca con Tucker diretta da Mitropoulos, mentre invece confesso il Don Carlo non è la sua interpretazione che preferisco (ma io conosco solo quell’edizione che avevate postato qualche mese fa, quella con Picchi). A casa mia, peraltro, sia i miei nonni sia mio zio (che penso siano di quella generazione che dice Donzelli) hanno sempre amato molto la Stella.

          • Donzelli scusa ma mi era sfuggita la risposta: il post sulla mia adorata Edita mi aveva distratto temoXD Mi fa piacere di non essere l’unico che apprezza davvero molto questa cantante. Anch’io ho sentito che ha detto Gualerzi in Barcaccia e l’ho trovato piuttosto scorretto in questa sua uscita, piuttosto opinabile. Gli ascolti stanno a dimostrare il valore della nostra Antonietta: Don Carlo, Trovatore, Vespri, Ballo in Maschera, Aida, Tosca, Butterfly,… per citare solo quelli che conosco. Grazie per l’ascolto davvero eccellente! Poi si critica lei e si lodano ciofeche incredibili… Volevo chiedere un parere sulla Aida alla Scala con Di Stefano… forse in alcuni punti spingono un po’(soprattutto lui), ma l’ascolto mi ha dato davvero i brividi quando l’ho scoperto pochi giorni. Che passione che ci mettono, per non parlare della dizione eccellente, merce sempre più rara! Oggi crollerebbe il teatro per una rappresentazione del genere… Altra domanda: cosa diceva Celletti della Stella? E’ da anni che mi informo di melodramma e lo sento e vedo citare spessissimo da tutti (alcuni in positivo, altri no) e mi piacerebbe leggere i suoi libri… il punto è che sono letterlamente introvabili a quanto ho visto. Sono riuscito ad ordinare Le Grandi Voci che sto attendendo con ansia. Forse ho trovato il modo di trovare la grana della voce, invece non ho alcuna speranza di trovare il teatro d’opera in disco 1950-1987 purtroppo :( Qualcuno ha suggerimenti o consigli?

          • ciao ninia
            allora la aida scaligera del 1956 per anni venne guardata un po’ così e i motivi sono scontati. La Stella non era né la Tebaldi né la Caniglia (per parlare dei due paradigmi di voce d’oro all’italiana) idem la Simionato, che i loggionisti non solo per la statura chiamavano la Simionatina siccome sino ad allora le Amneris erano state oltre alla Stignani la Nicolai e la Barbieri e poi di Stefano che credeva di poter fare il tenore spinto quando aveva fatto a pezzi per il vezzo di cantare aperto una organizzazione vocale di tenore lirico di qualità eccezionale (anche se per parte mia di Stefano non mi è mai piaciuto neppure quello del 1947, ma qui gioca il gusto personale e il trovare sempre il di Stefano del 1955, diciamo).
            Questo allora ed anche sino agli anni ’80. Poi se penso che ci hanno spacciato per Aida la Ricciarelli e persino vocette come la Gallardo -Domas e tralasciamo certi Radames, che dovrebbero fare il messo e non oso pensare a che cosa spacceranno per sublime Radames quando Kaufmann canterà il ruolo a Roma quell’Aida ha una sua professionalità, dignità e sicurezza soprattutto per quanto riguarda la protagonista. Certo che la Stella per il gusto del tempo era un po’ leggera come Aida, oggi le farebbero cantare Turandot o Senta, forse non era personalissima nel fraseggio, ma cantava eccome.
            Quanto a Celletti sul teatro dell’opera in disco parla poco o nulla della Stella ed anche questo credo sia da capire. Celletti visse in prima persona ed attivamente la rinascita del bel canto e pertanto era assai più disposto a perdonare le manchevolezze di un’Aida come la Gencer o la Caballè innome di un fraseggio sfumato di un gioco di colori molto pronunciato piuttosto che la relativa (bada relativa) piattezza e tradizionalità di una Stella, che incarnava il soprano spinto come se ne erano sentiti (da parte di Celletti, beato lui!) tanti. Con quel senno del poi, che non serve a nulla, ed anzi alimenta sogni ed incubi una Stella allenata al bel canto, obbligata -mi si passi il termine- a Bolene, Stuarde, Borgia etc avrebbe fatto la sua splendida figura accanto alla Gencer o alla Scotto nelle prime sortite fuori del repertorio – quello suo- del lirico leggero.
            ciao a presto!

          • Ninia, secondo me per i libri di Celletti dovresti provare, con un po di pazienza, nelle Biblioteche. Io li’ qualcosa ho trovato.

  4. il sig.kau-kau inizia i suoi acuti (si fa per dire) con un raschiamento di gola tipico di chi vuol muggire.Mentre Villazon è già ingolfato nel tentativo di preparare la gola ad emettere dei suoni. A chi piace questo
    il tempo attuale fornisce ogni delizia da pascoli alpini.

  5. Per parlare di un tenore né cane né ruttatore, non so se qualcuno ha sentito oggi, a “La barcaccia” su Radio 3, la trasmissione di frammenti di un Elisir d’amore del 1954 con Tito Schipa. Uno Schipa ormai vecchio, oramai un po’ affaticato, con qualche difettuccio veniale, ma che sapeva ancora veramente cantare e cantare come si deve. Difatti grandi ovazioni sopo la lacrima e bis. Pronuncia limpidissima, non una parola che si perdeva, il vero canto sul fiato. Non starò certo dicendo cose nuove, perchè per chi ama la lirica simili considerazioni su Schipa sono ovviamente solo ovvietà. Ma sentire Schipa ad ora di pranzo era una gioia per le orecchie ed aiutava a star meglio, metre altri ascolti, invece, sono tutt’altro che propizi ad una buona digestione. Saltando di palo in frasca; durante la stessa trasmissione Michele Suozzo ricordava – abbastanza inorridito – un recente Gugliemo Tell di Monaco di Baviera, con le solite c…..e registiche, in cui l’opera iniziava non con la celebre sinfonia, ma con Leutoldo che strozza il “vil ministro del governatore” (ma non lo doveva accopparre con l’ascia? almeno in questo Vick era più fedel al libretto!) e poi la sinfonia era posta fra il primo ed ils econdo atto, un po’ come usavasi in illo tempore in terre tedesche con quella della Forza del destino, secondo – mi pare – il consiglio di Franz Werfel. Inoltre il terzo atto finiva improvvisamente nel momento in cui la freccia colpiva la mela! Peccato che Rossini non lo abbia fatto finire così!!! Ma forse il regista si è confuso…. mi pare che nel Gugliemo Tell di Grétry (cfr. http://www.youtube.com/watch?v=qm6HLn8Q7Fw) l’atto finisca nel momento in cui Tell tira alla mela… forse il povero regista ha prso un Tell per l’altro, poverino, il suo cervellino a tant’altre faccende affaccendato a queste cose è morto e sotterrato. Qualcuno sa qualcosa di siffatto Tell bavarese (che immagino non fosse cantato dal “tenorissimo” locale)?

  6. Volevo ringraziare Donzelli per la risposta accurata e gentile :) In linea di massima sono d’accordo con quanto affermi. Meno male che in questo sito si ricordano cantanti di valore, spesso trascurati dalla critica patinata!

    Danilo grazie del consiglio :) E’ quello che mi sto muovendo a fare infatti. Ho trovato Voci Parallele di Lauri-Volpi, anche se solo la prima edizione e forse ho individuato il teatro d’opera in disco edizione definitiva (che sarebbe quella che mi preme maggiormente).

    Sarebbe interessante se qualcuno, dall’alto della sua esperienza, proponesse una sorta di vademecum bibliografico per il melomane in erba. Certo, sarebbe difficile reperire la più parte dei testi, ma sarebbe utile e giovevole e, magari, ne potrebbe nascere una discussione tra gli utenti.

Lascia un commento