ROF 2014: Armida…che pena!

colbranIeri sera si è inaugurato il Rossini opera festival con una produzione di Armida, definita provinciale, ad onta dei proclami sui giornali locali o gli attestati di amicizia di firme esperte nel colore. Per questa inaugurazione non possiamo neppure parlare di quel tripudio di pesarità (Pesaro è città un tempo ricca della provincia italiana del miracolo economico oggi altro che in affanno), che altre volte avevano stigmatizzato come la cifra del festival più che l’autentico recupero di Rossini. Alla fine sono stati quattro applausetti qualche buh, ad onta che, nella nostra chat con il dantesco nickname di Piccarda e per la sala dell’Adriatica con il proprio, qualcuno preconizzasse massiccia presenza di grisini in assetto da battaglia. Armida è un capolavoro per smentire chi osasse dubitare, solo che, come tutta la produzione rossiniana e la coeva, l’esecuzione vocale ed orchestrale e la concertazione sono ineludibili per garantire un onesto servizio al capolavoro, che molto affida alle qualità dei propri esecutori. Quindi se alcuno dubita della qualità del lavoro è da imputare alla scadente qualità della realizzazione. Aggiungo senza voler insegnare alcunché che Armida è delle opera napoletane la più composita e complessa. L’argomento guarda indubitabilmente al passato, che di Armide abbandonate seduttrice trabocca, presenta, ancor più di Ermione, richiami al dramma francese con un secondo atto dove non accade nulla, ma l’omaggio al masque francese è di tutta evidenza, come la grande aria con variazioni nel mezzo delle danze diviene celebrazione dell’arte e della bellezza di Isabella Colbran. Armida è maga, ma è innamorata, ama veramente e non per interesse come alla maga converrebbe (le cronache del tempo parlano della voce amorosa, dolce e seducente di Isabella) salvo, poi, esplodere nella furia auto distruttrice e nella trenodia sua e del suo amore. Insomma una serie di situazione che solo l’ARTE vocale ed interpretativa di quella che la storia del canto tramanda come una delle più grandi cantanti poteva reggere ed esaltare. Gli altri personaggi ruotano attorno alla maga e cantano nella funzionale misura di dare una parvenza di drammaturgia ed il necessario riposo alla protagonista.
Conseguenza decidere l’allestimento di questo titolo parte dall’irrinunciabile presenza di una protagonista di grande e rifinita tecnica vacale e carisma in scena. Scegliere di programmare Armida come ha fatto il duo Zedda – Mariotti in assenza di un soprano con queste caratteristiche, ed anzi incapace di canto professionale per essere Suzel o Musetta è segno di presunzione ed inadeguatezza al proprio compito istituzionale o quanto meno di non essere più in grado di valutare le forza di cui si dispone.
Dirò per precisare che la cantante prescelta è per la cronaca l’ennesimo prodotto iberico (gli altri Mariola Cantarero, Maria Bayo, Lola Casariego, Maria José Moreno) tutti rivelatesi infelici scelte, che dopo una stagione a Pesaro sono ritornat in patria. Un nostro lettore in chat ieri sera in quanto iberico ha sentito il dovere di chiedere scusa. Ne riporto l’intervento.
Come riporto l’opinione del nostro Nourrit emendata della spontaneità che l’ascolto del momento ha dettato.
Per parte mia in quanto presente (rectius “segnalato”) in sala posso dire che ad un limitato volume conseguenza di un canto privi di appoggio e sostegno come le urla a partire dal sol acuto confermano si deve aggiungere un accento insistente, l’incapacità (comune a tutta la compagnia) di scandire ed articolare i recitativi, omettendo sempre l’attenzione a quello che un tempo si definiva il “virgolato”) e l’incapacità di eseguire le agilità di forza, che sono la sigla della innamorata maga. Di personaggio al di là di una pseudo Cenerentola dimessa e remissiva, per le mende vocali, non vale neppure la pena di parlare.
Ma per riprendere Nourrit i fischi e le riprovazioni andrebbero a chi scelga prima il titolo e poi opzioni la pseudo protagonista.
Le cose non sono andate meglio con la parte maschile della compagnia con l’aggravante che tre tenori protagonisti (ossia Rinaldo,Goffredo di Buglione/Ubaldo, Carlo/Gernando) con la stessa voce da tenore di mezzo carattere non aiuta punto nella realizzazione della partitura. Nel dettaglio ed al di là delle inutili considerazioni estetiche della signora Aspesi, Antonino Siragusa vanta rispetto ai colleghi e sempre nel genere del tenore di mezzo carattere, una voce più sonora e corposa, ma ghermisce gli acuti, trasformati nei famosi urli del cappone sgozzato, che Rossini dichiarava di detestare e che oggi tutti indistintamente , a partire dal più famoso e pagato esecutore di Rossini, emettono. L’eroe, l’accento epico, il contrasto fra amor sacro ed amor profano, fra Cristianesimo e barbaria sono le peculiarità del personaggio sulla carta e lì rimangono. Non parliamo poi di Dmitry Korchak, che non vanta quella minimale ampiezza, che esibisce Siragusa, ma in compenso ghermisce alla medesima maniera gli acuti, stenta in zona grave ed ho il fondato motivo non solo per lo scollamento con la buca ( di cui dirò poi), di dubitare che avesse studiato la sezione centrale della propria aria quando vestiva i panni di Gernando. Aggiungo che la sfida fra Rinaldo e Gernando, che riproponeva in formato ridotto ed a distanza di un anno quella Otello-Rodrigo richiama in senso negativo quelle del teatro dei pupi, che Ronconi ha utilizzato quale mezzo per illustrare la vicenda.
Quanto al terzo dei tenori nel ruolo di Goffredo di Buglione/Ubaldo Randall Bills canta secondo la miglior voga anglosassone con la cosiddetta mela in bocca tanto il suono è ovattato, indietro ed ingolato.
Ho parlato della complessità di eseguire Armida, che unica fra le opere napoletane prevede anche un lungo numero di danza, in cui abbondavano gli esercizi ginnici.
Allora l’orchestra di Bologna ha suonato davvero male e dalla buca ad opera di Carlo Rizzi nulla è venuto che servisse ad illuminare lo spettatore su quello che stava vedendo. Nella sinfonia, che illustra anche per i richiami alla musica del ‘700 francese, il clima epico e grandioso affidato al corno è sparito per le qualità dello strumentista e non è andato meglio l’assolo del violoncello al secondo atto; le cose non sono andate meglio al concertato del primo atto o all’aria con variazioni i cui ritornelli vengono risolti a colpi di gran cassa. Un poco meglio le danze forse per il clima che esclude slanci drammatici, ma al terzo atto sia il terzetto dei tenori che la lunga scena di Armida non ha avuto qualche connotazioni in orchestra ad opera della buca. Posso addurre come attenuate il pessimo cast e la qualità dell’orchestra. Ma oggi, mentre predisponevo queste riflessioni con l’Armida di Firenze 1952 ho dovuto convenire che Serafin cogliesse ( e non si tirino in ballo i tagli, che ormai sono stati sdoganati ad opera di un filologo come Crutchfield direttore e curatore dell’edizione critica di Aureliano) con maggior pertinenza le varie situazioni drammatiche.
Rimaneva lo spettacolo di Luca Ronconi, che vent’anni or sono aveva già curato l’allestimento di Armida. Non sono mai stato un fan di Ronconi (poi aggiungo che non ho mai visto un don Carlos come il suo scaligero), e delle cosiddette “ronconate”, ma in un titolo come questo certe ronconate come le macchine sceniche ci sarebbero state alla perfezione. La cifra dell’allestimento era invece dimesso e consono a tempi e limitati budget del ROF, aveva però il prego di rispondere ad una concetto di richiamo al mondo cavalleresco del poema di partenza, visto attraverso il filtro della tradizione del teatro dei pupi, che, infatti, riempivamo certe scene. In buona sostanza con poco (perché inesistenti le scenografie di Margherita Palli e solo nominali le luci di A.J.Weissbard) all’inizio del primo atto e del terzo venivano colti l’aspetto cavalleresco ed infernale del testo musicale. Insomma spettacolo coerente al testo. Parlo di coerenza perché l’altro spettacolo del ROF ossia Aureliano, di cui abbiamo visto la generale e di cui riferiremo dopo la diretta radiofonica non aveva neppure questo lucido punto di partenza.
Qualcuno per il tutto ha utilizzato il termine provinciale. Giusto siamo a Pesaro, ma chi organizza il festival lo promuove e promuove per mezzo del Festival fa credere (escludo che lo creda) di fare CULTURA.

 

Carmen Romeu è il perfetto parafulmine della gestione di questo Festival che prima lancia stelline e stellette e poi, quando si trova più a mal partito del solito, si tira indietro e manda al macello la povera vittima, in questo caso la Romeu, vittima in primis della propria presunzione, perché mi spiace, ma debuttare Armida non è certo cantare la Musetta a Bilbao o improvvisarsi Violetta in provincia, per quanto improbabili si possa essere. E così ora il Rof stesso punta il dito contro questa povera ambiziosa lasciandole tutte le colpe, che invece i tenutari del Rof condividono appieno. Perché se la signora è indecente non la si doveva scritturare nemmeno, vista la prova dello scorso anno in Donna del lago e quella recente in Otello, oppure la si doveva protestare nel momento in cui chiaramente tutti avevano capito che era impari al ruolo, oppure, a questo punto, la dovevano sostenere fino alla fine, dicendo che è la migliore Armida possibile e immaginabile, anche per dar modo alla gente di apprezzare tutta la loro statura morale e professionale. – A. Nourrit

Saluti dalla Spagna, e scusateci per la perla che ci abbiamo inviato a cantare Armida. Di solito vi trovo certo severi e smesurati nei giudizi ma oggi sono 100% d’accordo. Vergogna assoluta. – Ochs

Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube

23 pensieri su “ROF 2014: Armida…che pena!

  1. Opera stupenda straziata in modo vergognoso come era ovvio prevedere perché si conoscono i cantanti (poi oggi c’è youtube e quant’altro).

    Tutti parlano male della Romeu, persino la stampa buonista… è riuscita a mettere d’accordo tutti ecco il frutto della sua presunzione. I tenori erano in stile Clerici. Forse hanno scambiato Armida per una farsa, non per un’opera seria. Fortuna che abbiamo avuto Callas, Deutekom, Anderson, Miricioiu, Raimondi, Filippeschi, Blake, Merritt etc che ci hanno fatto capire, ognuno con le sue doti chi da artista eccelso, chi da sano professionista magari fuori repertorio, come dovesse suonare vagamente quest’opera quando fu creata dal povero Rossini.

  2. Ascoltata via radio la prima…sono rimasto senza parole…la sig.ra Romeu è stata lanciata senza rete in un ruolo per lei assolutamente impossibile (a dirla tutta per lei sarebbe stato impossibile anche un ruolo da comprimaria), ma quello che spiace..al di là della prestazione..è proprio l’immagine del ROF che ha scelto cotanta interprete per inaugurare un Festivale con un titolo peraltro di grande bellezza (almeno mia opinione personale). Per fortuna qualcuno ha pensato bene di contestare la prestazione, ma credo che alla fine questo segnale di disappunto non sia arrivato nel modo giusto a chi di dovere (Direzione artistica ad es.) e non sortirà l’effetto desiderato (maggior cura nella scelta dei cast). Alla fine della serata mi sono davvero compiaciuto per non aver investito denaro e tempo nell’affrontare una trasferta pesarese di tal fatta. E una considerazione finale…la sig.ra Kurzak nell’Ory milanese, la Romeu in questa sventurata Armida…ma un soprano in grado di affrontare il belcanto rossiniano oggi esiste ancora? (la mia mente mi suggerisce non più di un paio di artisti, quali ad esempio la sig.ra Pratt e la inossidabile Devia che pur fuori luogo avrebbe ben insegnato molto a queste apprendiste).

  3. Nel libretto di sala, correttamente, si scrive che nell’aria” d’amore al dolce impero” serve una prodigiosa tecnica per eseguire le fioriture che simboleggiano i poteri soprannaturali di Armida (pg 40) Esattamente il contrario di cio’che abbiamo udito dal vivo .La interprete, mediocre cantante, chiedendo, prima di uscire al termine dll’opera, al coro ed ai ballerini di applaudire prevedendo di essere buata, ha mostrato almeno di essere consapevole dei propri limiti, al contrario dei senili e senescenti organizzatori del ROF, per i quali vale la definizione:” rigidamente impotenti”

  4. L’ho ascoltata fino a metà del terzo atto. Che dire? La faccenda dei ruoli Colbran è talmente complessa che io sono aperto a soluzioni diverse, non necessariamente legate a una vocalità sontuosa e “regale”. La Gasdia ad esempio in questi ruoli in generale mi convince parecchio. Il problema però è che questa ragazza semplicemente non aveva le note della parte, davvero imbarazzante. Sulla prestazione di Siragusa non mi esprimo perché è un cantante che mi risulta sempre e comunque insopportabile, per cui preferisco non entrare nel merito. Rilevo solo la disinvoltura con cui a Pesaro lo si fa passare da un ruolo David (Oreste) a un ruolo Nozzari, manco fosse Blake. Ma sull’argomento lì devono avere le idee piuttosto confuse, e a questo proposito vorrei segnalare una piccola perla che forse a qualcuno è sfuggita.

    All’intervallo per radio hanno intervistato Marco Beghelli, che se capisco bene a Pesaro funge un po’ da consulente di storia della vocalità (pochi giorni fa ha tenuto una conferenza su Armida). Bene, il buon Beghelli si è messo a parlare dei ruoli vocali e ha spiegato agli ascoltatori come il primo interprete di Gernando fosse…David. Si è messo a scherzare sul fatto che David non poteva farsi uccidere senza prima cantare una grande aria, e così via… Ma dico io, è possibile che uno stimato professore universitario ad ogni estate non perda occasione di andare puntualmente in radio a dire queste bischerate, esponendo al ridicolo se stesso e il festival di cui è rappresentante? Per scoprire che David con l’Armida non c’azzecca niente non era necessario andare a frugare l’archivo del San Carlo, bastava un rapido controllo su wikipedia…

  5. Verissimo, Donzelli, Serafin e Callas nel ’52 a Firenze restituiscono il lato tragico di questo capolavoro (di cui il bell’articolo di Garcìa ci aiuta a capire le ascendenze), a partire da “D’amore al dolce impero”: non esteriore esibizione di una Hanna Glawari di provincia ma il monologo di una maga che – con la scoperta dell’amore vero – si umanizza e si perde. Mi pare che l’Armida di Callas non sia tanto distante dalla sua Medea.

    Stasera su radio3 intervista di Vitali a Zedda: “Dialogo tra un tappetino e un venditore di caldarroste”.

  6. Vista questa Armida ieri sera su Rai 5, voglio dire la mia. Innanzi tutto sono INDIGNATO dalle coreografie e dai balletti, e molto critico sulla penosa scenografia. A chi giustifica tutto con “la crisi” vorrei ricordare che l’edizione-capolavoro di Firenze con scene di Savinio era nell’immediato dopoguerra, quindi in periodo perlomeno altrettanto difficile economicamente. Invece non mi sento di inveire contro la protagonista, una brava ragazza con voce estesa a sufficienza, anche se non in grado di cantare “di forza” e quindi incapace di rendere il meraviglioso e il demoniaco del personaggio. Il tenore: beh, gli estremi acuti erano emessi in modo ridicolo, devo dirlo. Però come sono alti!!! (Che note sono? L’orecchio assoluto non fa davvero parte delle mie capacità ). Nell’insieme uno spettacolo davvero brutto: possiamo esserne certi, visto che la meravigliosa musica di Rossini, eseguita con sonorità e tempi a volte bandistici, sembrava noiosa e prolissa. Peccato!

  7. Mi meraviglia che a un ascoltatore attento e documentato come Donzelli sia sfuggita quella che è forse la maggior bizzarria di questa scombiccherata impresa, ossia la dizione del basso Lepore, tutta impostata su un certo birignao tipico di alcune attrici della prima metà del novecento: Lola Braccini, Bianca D’Origlia, Fanny Marchiò, Celeste Aida Zanchi (le cui iniziali sui bauli da viaggio non passarono mai inosservate).

    Scelta cosciente o ancestrale richiamo?

  8. La domanda è questa: mica vogliono proporre la Romeu come protagonista de “La donna del Lago” del 2015, visto che l’ha cantata un anno fa? All’ultima recita alla quale ho assistito è stata buata solo dopo “D’amor al dolce impero”, ma inspiegabilmente graziata al curtain call… Mica questi applausi immeritatissimi diventeranno per gli organizzatori un lavacro di una prestazione indecente? A questo punto non capisco perché non canti Norma o Semiramide, tanto ormai all’opera è l’unico luogo al mondo in cui gli asini volano. E parliamo anche dell’Adriatic Arena, più adatta al circo che all’opera, un luogo terribilmente isolato (i pannelli laterali non solo sono asimmetrici, ma non coprono tutta la superficie, quindi di fatto non isolano), in cui l’impianto di amplificazione è ovvio. Tra l’altro si è percepito chiaramente un intervento (un aggiustamento in fieri decisamente migliorativo) nell’amplificazione dopo la prima aria di Goffredo, tutte le voci sono diventate da un momento all’altro più sonore e avvolgenti. Il caso di Goffredo-Ubaldo è stato emblematico: è vero che erano due personaggi diversi ma non è comprensibile la voce del primo piccola, schiacciata, inchiodata sul palcoscenico e la voce del secondo miracolosamente proiettata e stentorea… Di questa amplificazione ha beneficiato tutto il cast: al contrario di quello che succede alla radio, l’amplificazione in uno spazio dispersivo è come se raccogliesse il suono, appiattendo in questo caso anche i difetti più grossolani. Questo per dire che in un teatro paradossalmente il risultato sarebbe stato anche peggiore. Per il resto l’opera è assolutamente meravigliosa, a me alla fine è piaciuto anche lo spettacolo, ma oltre questo non c’era assolutamente niente. Una protagonista incapace, sciatta e passiva, e gli altri non all’altezza. Sì, forse un po’ Siragusa emergeva dal nulla, ma non più di tanto.

  9. DionisopiùApollo: in Italia i festival durano poco più di una luna piena:
    Pesaro è stato buono per qualche stagione, sopratutto per far conoscere opere di rossini che nessun teatro osava proporre per il troppo impegno, preferendo appoggiarsi a nomi di cantanti noti.
    Anche l’arrivo di Abbado credo fosse stato un colpo di fortuna.
    Il festival si è dato una regola demenziale: un direttore non deve essere
    invitato più volte, credendo bastasse il nome di Rossini.
    Un altro Festival quello di Martinafranca emerse dal nulla per il fatto che lo dirigesse Celletti, Ma non si dimentichi che nel 1977 vi si eseguì la Norma con due soprani (la Bumbry e la Cuberli) poi giacomini, diretta da un certo Michail Halasz che fortunatamente la Dynamic ha riproposto in CD.

Lascia un commento