Così fan tutte alla Scala

Così-fan-tutte-620x388

Es una vergüenza que una institutición musical como el Teatro alla Scala presente ante su público un espectáculo como el reciente Cosí fan Tutte de Mozart. Un espectáculo inconsistente, frágil y desordenado. Empezando por las voces encabezadas por el mexicano Rolando Villazón ya totalmente incapaz de emitir un sonido limpio y claro: todos los registros resultan engolados, ahorcados, casi estrangulados en  la garganta. Todo esto obviamente empeora al subir al registro agudo, registro en donde a Villazón no le queda otra opción que cerrar la voz en un chillido insoportable. Mismos problemas para el compañero en el escenario Adam Plachetka al cual, por lo menos, deberíamos de reconocer una discreta inteligencia en esconder sus defectos. Mediocre el Don Alfonso de Michele Pertusi, aunque inteligente como actor.

El trio femenino no logró dar mejores resultados, a pesar de los aplausos de un público cada vez más ignorante en tema de voces. Maria Bengtsson fué una Fiordiligi vocalmente ácida, con una impostación técnica demasiado frágil para poder enfrentar tan bello personaje mozartiano. Katja Dragojevic interpretó la hermana, hermana incluso en los defectos: emisión engolada, sucia y, obviamente, con una pronunciación incomprensible. Prefiero evitar comentarios sobre la Despina de Serena Amalfi.

Todo esto bajo la nefasta dirección de un Barenboim ya listo para volver a Berlín: falta de interés y atención, descuido, desorden (a partir de los gestos), indiferencia fueron algunas de las causas de una dirección incapaz de acompañar con inteligencia y ritmo el grupo vocal. Andan diciendo que Mozart y Barenboim no se llevan bien… será así, pero por lo menos un director debería de saber las leyes fundamentales del solfeo para poder acompañar con sincronía quien está en el escenario.  Mediocre la dirección de Claus Guth, moderna, newyorkina, estéticamente discreta, teatralmente incoherente.

Manuel Garcia

Serata di un grigiore, di una noia mortali. Barenboim a parte alcuni problemi di assieme, dovuti alla carenza del suo gesto, e una sinfonia mal diretta, mal suonata, senza idee musicali, non ha fatto grossi danni. Pessimo in particolare il reparto femminile, con un culmine di indecenza nella Despina. Male anche gli uomini, compreso Pertusi dalla voce imbolsita. Forse il meno peggio del cast era Guglielmo, comunque insufficiente. Villazon mi aspettavo di vederlo crollare nelle due difficili arie, e invece arriva alla fine tutto di strozza, schiacciando tutti gli acuti in una sorta di raglio aperto, piatto e insonoro. Mozart con voci simili e’ improponibile.

Giovan Battista Mancini

Rolando Villazon affetto da tracheite, Pertusi, come interprete, non esiste, Plachetka è avvenente ma lì si ferma. Le donne: Fiordiligi afona e fissa, Dorabella malferma, per Despina rimando alla frase “la serva di tante padrone.” Barenboim assolutamente distratto, fuori tempo e senza colori. Regia volgare, usurata e scontatissima.
Antonio Tamburini

Alle doglianze e lamentele di Tamburini, Mancini e Garcia, queste pure nella lingua di Cervantes, aggiungo le mie. Siccome sono lamentele e doglianze i nostri detrattori potranno dire che di questo solo siamo capaci.
La parte visiva si ispirava alla lussuosa casa di Match Point o a certe propagandate sul canale 222 con arredamenti da ottimo negozio delle maggior capitali europee. Nessun movimento di regia, salvo abiti e piedi sudici e maschere africane. L’allestimento nasce per Salisburgo. Ci hanno raccontato adattato per la Scala. Serve a giustificare il compenso da nuova produzione, che viene prelevato dalle nostre tasche.
L’idea di don Alfonso misogino, demiurgo e anche un poco demoniaco è coeva alle riprese del titolo nel nostro secolo. Solo che Mahler disponeva di Wilhelm Hesch e Fritz Busch sognava di scritturare i due maggiori don Giovanni del tempo (Pinza e Stabile) se i mezzi di Glyndeburne glielo avessero concesso.
Quanto alla attuale compagnia di canto l’aggettivo idoneo è SCALCAGNATA. Riassume tutto ossia il non saper cantare, i suoni ora gridati, ora pigolati, sempre ingolati frequentemente fissi. Le tre voci femminili sono identiche, ossia tre Barbarine da Nozze. Che poi la Fiordiligi di Maria Bengtsson, abilissima nel far sorare i piedi dopo la seconda scena, sia peggio delle altre (ad onta del fatto che lucri qualche timido applauso al rondò) è per utilizzare una nota fola creata dal loggione di Parma, colpa di Mozart, che ha previsto una parte che per l’insistere in zona grave o per le figure ornamentali si rifà al genere “grande agitato”. Per altro nulla di impossibile, atteso che nel ruolo hanno lucrato trionfi cantanti di buona tecnica con Sena Jurinac, Maggie Price ed anche alcune di limitato mezzo naturale come Lella Cuberli.
Quanto alle due se non si conosce a menadito lo spartito o si guarda la scena su stenta a capire quale delle due canti negli insieme.
Bolso ed usurato Michele Pertusi, e non certo cresciuto quale interprete. Chiosa: un cantante che stenti vocalmente quale don Pasquale o don Alfonso non immagino proprio come possa reindossare i panni di Assur o il saio del Padre Guardiano.
241_K65A8387Il Guglielmo di Adam Plachetka dispone del physique du role. Solo quello sia chiaro ed accontentarsi!
Neppure quello per Rolando Villazon, che dal mi acuto procede per stentate contrazioni di gola, nessun colore, emissione da canzonettaro (senza il timbro baciato dal sole di Albano Carrisi), insomma una voce distrutta che fa sembrare il di Stefano 1975, che si trascinava per TV straniere un cantante dall’emissione prodigiosamente raccolta e sorvegliata e dal suono oscurato e proiettato. L’attacco di “Un’aura amorosa” era indescrivibile. Buato alla fine. Ha dovuto ammetterlo, sparso il capo di cenere, persino il TG3 del giorno successivo. Quasi raccontasse dell’ennesimo politico trovato con le mani nella marmellata di qualche grande opera.
Ultimo, ma primo nelle geremiadi, il direttore. Notazione coreografica. Ha passato il secondo atto stravaccato sul seggiolone facendo, talora, segni con le mani e la bacchetta, con tale profusione di impegno è riuscito a sconnettere buca e palco all’aria di Dorabella (che prevede un organico orchestrale cameristico) “Amore è un ladroncello” ed all’aria di Despina “Una donna a quindici anni” dove l’effetto era quello del karaoke. Al primo atto aveva mostrato un po’ più di vitalità ed attenzione sino al terzetto “Soave sia il vento” poi è calata una soporifera coltre, che non consentiva di capire se in scena ci fosse un Mozart serio, Gluck o altro. Per completezza l’ouverture è stata staccata ad un tempo letargico e funereo senza brio e senza la precisa solennità (forse non consona al Così) di taluni direttori di cui, da tempo, va di moda schifare l’esecuzione mozartiana. Ma quelli almeno….
Chiosa per i non milanesi “sorà” significa far sfiatare e dicesi dei piedi accaldati o sudati come di pietanze calde tipo minestrone o risotto e ancora, perché non si parli a vanvera di trionfo, di evento dopo UNA uscita. Tutti a casa. Forse era più saggio starci.

Domenico Donzelli

 

Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube

3 pensieri su “Così fan tutte alla Scala

Lascia un commento