Musica proibita. Iris.

66-02Iris, andata in scena nel 1898 a Roma, rappresenta la prima opera italiana moderna di soggetto giapponese. Erano passati già otto anni dal trionfo di Cavalleria che aveva consacrato Mascagni anche all’estero, prima di Giacomo Puccini, come compositore di valore assoluto. A Cavalleria erano seguiti altri lavori, quali Amico Fritz, i Ranzau e lo Zanetto, ma di fatto Mascagni stentava a ripetere quello straordinario successo. Le opere di Mascagni avevano incontrato in misura variabile il favore della critica: piaceva abbastanza in paesi come l’Austria e Germania, per nulla in Francia, mentre esiti alterni aveva riscosso dalla critica italiana sebbene il pubblico si fosse dimostrato sempre dalla sua parte. Insomma, Mascagni piaceva alle platee ma non si era ripetuto ai livelli iniziali, mentre l’amico Puccini, ad esempio, dopo un inizio incerto, con Manon Lescaut e Boheme si era ritagliato lo spazio più prestigioso nel panorama musicale italiano.
Non a caso, dunque, Giulio Ricordi, deus ex machina del teatro lirico di quegli anni, fece conoscere al compositore livornese, che aveva sotto contratto per un’opera, Luigi Illica, letterato scapigliato e fantasioso librettista, reduce dal trionfo di Bohéme e già autore Wally, Chénier etc. Con Luigi Illica Mascagni incontrò le suggestioni del decadentismo francese, nonchè le fascinazioni esotiche giapponiste circolanti in Italia, in particolare tra Firenze e la sua Livorno. Ad editore e librettista spetta la paternità dell’idea, nuova per i palcoscenici italiani, di un opera di soggetto giapponese, idea che Mascagni assecondò con tutto il suo estro e la sua abilità compositiva. Il Giappone era già stato rappresentato, in forma di opera come di operetta, con Saint Seans, La Princesse Jaune (1872), Gilbert & Sullivan, The Mikado (1885), Madame Chrysantème di André Messager (1893) tratto dall’omonimo romanzo, all’epoca famosissimo, di P. Loti, e la Geisha di Sidney Jones (1896). Lavori a soggetto giapponese che si inserivano, più in generale, nell’ ampio filone ad ambientazione orientaleggiante e fantastica, portato in auge dall’Africaine di Meyerbeer e che percorse la storia dell’opera francese della seconda metà del XIX secolo con Delibes (Lakmè), Massenet ( da Thais fino ad Esclarmonde ), per poi affiorare anche in Italia con Aida. Il Giappone in senso stretto era la moda del momento che investiva la pittura soprattutto, ma anche la letteratura, sia come forma estetizzante che come influenza profonda e rigeneratrice dei modi di espressione. Per questo il genio di Ricordi caldeggiò quel soggetto e quel librettista a Mascagni. Iris fu un altro grande evento, destinato a far parlare la critica del tempo come quella recente, che rimase, però, a metà strada tra moda e novità del linguaggio musicale e che avrebbe aperto la via alla successiva esperienza, ancor più fortunata perchè più compiuta, della Madama Butterfly di Puccini.

Giapponisti e giapponismi
fujiMolto note sono le vie percorse dalla cultura giapponese, durante la seconda metà del XIX secolo, per approdare in Europa. La cronologia che scandisce gli influssi artistici, connessi naturalmente a quelli commerciali, è nota e di solito viene individuata nei maxieventi rappresentati dalle Esposizioni Universali, di Londra ‘62 prima, di Parigi ’67 e soprattutto ‘78 poi, che portarono ad una sorta di revival stilistico giapponista del tutto autonomo rispetto a quello, tardo settecentesco, della Cina e dell’esotismo in generale. L’apertura del Giappone ai commerci con l’Occidente implicò anche lo scambio artistico, fatto di oggetti d’arredo, tessuti, stampe e dipinti, poesia. Istanze di cui gli artisti decadenti si nutrirono a vari livelli, come detto, ora in forme estetizzanti, ora come componente effettiva della poetica, sia letteraria che pittorica. L’accento è sempre stato posto su Parigi come centro di irradiazione all’avanguardia di tutta l’arte europea, riferimento primo per le sperimentazioni e le mode degli artisti italiani, perché quella era la capitale culturale in Europa, prima piazza a dare spazio alla novità in campo artistico. Vittorio Pica, storico e critico d’arte che importò il giapponismo in Italia per il tramite dei fratelli De Goncourt, che per primi si occuparono in modo sistematico di pittura giapponese, è colui che ha fissato l’immagine di un paese ancora attardato ( era il 1891) nella recezione, comunque mediata, di queste poetiche pittoriche. Pensiero ribadito da Alfredo Melani qualche anno dopo. In realtà anche in Francia erano stati pochi gli artisti a recepire qualcosa prima della fine degli anni ’70, forse soltanto Monet e Degas, mentre per gli italiani un artista “di importazione” come Mariano Fortuny Y Marsal, fu tra i primi a creare un collezione privata di oggetti di provenienza nipponica, come già accadeva in Francia ( famosa la collezione di Emile Zolà, ad esempio..).473px-Van_Gogh_-_Portrait_of_Pere_Tanguy_1887-8
Eppure in Italia si sviluppò un centro di cultura nipponista originale ed autonomo da quello parigino, tra Firenze e Livorno, a partire dalla seconda metà degli anni ’60, attorno alla cattedra di Lingue dell’estremo Oriente, poi attorno alla Società di Studi Orientali (1872), che confluì nell’Accademia di Studi Orientali diretta da A. Severini. Un nucleo di traduttori di novelle e testi orientali, ma anche di autori di testi a soggetto e carattere orientale si raccolse, appunto in Toscana, durante gli anni ’70. L’Oriente in senso lato, e, più in specifico, il Giappone, divennero il centro di interesse ed attività di linguisti, antiquari, collezionisti, editori. Fu nel contesto del Congresso Internazionale di Studi Orientali del 1878, che il barone fiorentino Alessandro Krauss, collezionista di strumenti musicali giapponesi cui si rivolsero dapprima Mascagni e poi Puccini, promosse, a fianco dell’edizione del suo trattato “ La musique au Japon”, il primo evento concertistico italiano di musica orientale. A Firenze e poi a Roma antiquari come A. Janetti ( che divenne fornitore personale di D’Annunzio ma soprattutto di casa Savoia ), oppure Laschi, proprietario dell’”Emporio Giapponese”, attivarono un fiorente commercio “alla moda” di mobili ed oggetti d’arredo provenienti dal Giappone. Una ”nouvelle vague“ per la nobiltà italiana che si allargò anche a Livorno, Viareggio, città di mare allora molto alla moda, con l’apertura di alcuni esercizi commerciali che trattavano stoffe, porcellane, ebanisteria, mobili. E per sostenere l’arredamento di dimore nobiliari come Villa Stibbert a Firenze o Villa Radocanacchi Monterotondo all’importazione di oggetti autentici si affiancò anche una produzione artigianale italiana, che iniziò dalla Toscana ad espandersi anche verso Roma, Venezia, Trieste, Milano. Un revival eclettico tutto nostro, dunque, che attrasse personaggi come D’Annunzio, in grado appunto, di fare moda e creare interesse verso la cultura di un paese che si apriva finalmente all’occidente.
giapponismoL’arte, intesa come disciplina pittorica, si lasciò attrarre ed influenzare da quella giapponese non soltanto nelle forme estetizzanti della moda. La diffusione indiretta ma poi anche diretta di stampe ukiyo-e e manga di artisti come Eisen, Hokusai, Outamaro, Hiroshige, o anche semplicemente di oggetti come paraventi, ventagli, stoffe decorati con disegni, fu una rivelazione per l’arte occidentale. Un nuovo modo di vedere e rappresentare si offriva finalmente agli europei ( ma anche agli americani) come pure un nuovo modo di arredare o di fare musica. Quando il duo Illica Mascagni iniziò a lavorare ad Iris da tempo alcuni importanti pittori di scuola italiana dipingevano influenzati, come già era accaduto ad alcuni francesi come Monet, dalla pittura giapponese. Sin dalla pubblicazione londinese (1880) delle “Cento vedute del monte Fuji” di Hokusai, il più importante forse tra gli artisti giapponesi, l’Europa fu pervasa da un nuovo modo di vedere e rappresentare, che soprattutto a Parigi influenzò artisti come Degas, Manet, Lautrec etc., ma che non mancò di influenzare pittori italiani come Fattori, Signorini, De Nittis.
E’ interessante constatare come pittura e letteratura finirono per intrecciarsi e alimentarsi reciprocamente, con le poetiche del dramma lirico fin de siécle, che attinse a piene mani spunti per soggetti, ma anche ricerche sul piano compositivo ( del tutto analoghe a quelle effettuate dai pittori sulle tecniche di rappresentazione e composizione dell’immagine), restituendone a loro volta dei nuovi. Emblematica ed interessantissima, da questo punto di vista, la vicenda tutta italiana di poco precedente la composizione di Iris, del poema “La mala madre” o “Nirvana” ( 1894) di Illica, che lo spacciò per la traduzione di un antico testo indiano,”Pangiavali”, ma che in realtà era una sua composizione, intrisa di wagnerismo scapigliato, sul tema del rifiuto della maternità ed il castigo della lussuria, secondo il dualismo decadente amore-morte. Poema che ispirò il culmine della pittura simbolista di Segantini del “Castigo delle lussuriose”e le “Cattive madri”, ma che Illica, in realtà, sperava di far diventare anche un‘opera lirica. Con gli anni ’90 le poetiche scapigliate che ha ben illustrato Donzelli nella puntata su “Le nozze istriane”, si rigenerarono, rielaborate in chiave simbolista sia in pittura che in letteratura ed in musica. Le parole di D’Annunzio che “l’arte deve farsi interprete dei sogni che nascono nella profondità della malinconia moderna, i pensieri indefiniti, i desideri senza limiti, le ansie senza causa, le disperazioni inconsolabili, tutti i turbamenti più oscuri e angosciosi..” descrivono perfettamente l’operazione che il duo Illica Mascagni intendeva intraprendere durante la composizione di Iris. L’artista doveva svelare i pensieri più segreti dell’uomo, mondi inesplorati e reconditi dell’anima che solo l’allusione ed il simbolo potevano finalmente rappresentare e trasmettere in modo pregnante e completamente emozionante. I testi di Mallarmèe erano già arrivati in Italia assieme alle prime composizioni di Debussy e la Milano fin de siécle iniziava a recepire la nuova poetica che arrivava dalla Francia. Con Iris l’opera lirica italiana si aprì, dunque, ad un mondo remoto e affascinante, il Giappone, conosciuto e reinventato da Illica per il tramite di immagini pittoriche; una storia minima nel suo svolgimento che doveva consentire la trasfigurazione in chiave simbolista dei personaggi e delle loro emozioni, ancora secondo la poetica delle “piccole cose”, alimentata da suggestioni sonore autentiche e pensata quale “opera d’arte totale”, tutt’uno sonoro e visivo, dal libretto fino alla copertina dello spartito ed alla cartellonistica pubblicitaria. Insomma, un vero manifesto della scapigliatura secondo gli anni ’90 del XIX secolo.

Mousmé e geishe, tra sensualità orientale e mito della primadonna liberty.
La belle époque mise la donna al centro della produzione artistica di ogni genere, letteraria, pittorica e musicale. E’ inutile qui riesporne le ragioni e i modi in cui ciò avvenne. Importa, invece, ricordare come ad arricchire le mille sfaccettature della primadonna liberty si aggiunsero anche le componenti giapponiste e, più in generale, esotiche. Il Giappone era un mondo del tutto diverso da quello europeo, fatto di altri e diversi rapporti sociali, di altre e diverse convenzioni, di altri e diversi costumi interni alla società, alcuni dei quali effettivamente affascinanti, altri, invece, percepiti come la porzione più arcaica di costumi sociali del tutto estranei al mondo occidentale. La donna giapponese divenne perciò un tema letterario vero e proprio, alimentato dal mito della bellezza e della grazia orientali, dall’universo delle “piccole cose” domestiche. Dapprima il mondo delle mousmè, le giovani ragazze “facili“ che per antica usanza venivano vendute come spose agli stranieri, usanza fatta conoscere in occidente dagli scritti di viaggiatori di vocazione come Louis Marie Julien Viaud, in arte Pierre Loti, con la sua “Madame Chrysantème” (1877), cui diede subito notorietà la “Mousmé seduta” di Van Gogh. E la signora Crisantemo, come vedremo, si cela anche dietro il soggetto di Iris e di Madama Butterfly.
Le stampe e le incisioni giapponesi, poi, portarono in Europa la rappresentazione dei paesaggi nipponici, come le celeberrime “Visioni del monte Fuji” di Hokusai e soprattutto l’universo affascinante ed elegantissimo delle geishe. Era un nuovo tipo di seduzione, un mondo fatto di creature eleganti e bellissime, riccamente vestite e severamente educate all’eleganza dei modi, del trucco, della danza, della musica, della conversazione. La geisha era un tipo di donna sconosciuta al vecchio continente, formata al solo scopo di intrattenere l’uomo secondo un sofisticato sistema di codici comportamentali che trasformavano la prostituzione in un ‘arte ed il suo sfruttamento in un’attività lecita e riconosciuta. La sensualità e i piaceri proibiti offerti delle “etere” giapponesi trasfigurano per gli occidentali la professione più antica del mondo, che trovava nell’aristocrazia delle sue prescrizioni e dei codici antichi in cui si esplicava, una forma estetizzante e “alla moda”, ben più consona all’intellettuale decadente fin de siécle della volgarità delle case di piacere occidentali. utamaro iris
Il primo volume dedicato all’arte erotica giapponese fu proprio quello, di grandissimo successo, di Edmont de Goncourt su ”Outamaro, le Peintre de la Maison Verte” (1891), dove l’artista nipponico rappresentava le bellissime donne delle Case Verdi, come erano chiamati i bordelli del quartiere Yoshiwara ove queste risiedevano a Tokyo. Poi nel 1896 fu la volta della pittura erotica di Hokusai, di cui Goncourt pubblicò il corpus shunga ( Le pitture di primavera ) contenente tra l’altro la xilografia, Donna con Piovre, illustrazione nel libro Kinoe no komatsu (I giovani pini) del 1820-30, nota anche come Il sogno della moglie del pescatore. «C’est dans ces albums qu’existe cette terrible planche : sur des rochers verdis par des herbes marines, un corps nu de femme, évanoui dans le plaisir, sicut cadaver, à toi point qu’on ne sait pas, si c’est une noyée ou une vivante, et dont une immense pieuvre, avec ses effrayantes prunelles, en forme de noirs quartiers de lune,aspire le bas du corps, tandis qu’une petite pieuvre lui mango goulûment la bouche. C’est dans ces albums, que so trouve cette planche d’un voluptueux indescriptible : sur les ondulations d’uno étoffe de pourpre, le bas d’un ventre de femme, ou s’est introduit un doigt de sa main, d’uno main au poignet nerveusement cassé, aux longs doigts contournés, à l’attouchement doucement titillant, d’une main qui, dans sa courbe, a l’élégance volante d’une main du Primatice ».( E. De Goncourt ).Esiste forse qualcosa di più simile al terribile tema della ragazza avvinta da una piovra disegnata sul paravento della stanza in cui si svolge l’azione del secondo atto di Iris, in una delle Case Verdi dello Yoshiwara, nonché alle parole della grande sua scena “ Quella piovra è il piacer- quella piovra è la morte!”? hokusay piovra iris

Iris, la costruzione di un successo
La trama di Iris, letta a distanza di più di un secolo, è fragile tanto quanto la psicologia della protagonista, una ragazzina giapponese che viene rapita per conto di un nobile, Osaka, che intende sedurla. Portata dal mezzano Kyoto in una “casa verde” per incontrarvi il suo seduttore, Iris gli apparirà troppo sciocca ed infantile per essere una geisha e persino per essere sedotta, tanto da essere respinta e gettata a morire, nell’ultimo atto, in una discarica. Lì, sotto ai raggi del Sole, terminato il coro spettrale dei cenciaioli, il corpo della fanciulla si trasforma in fiore, trasfigurazione fantastica tipicamente decadente e floreale della ragazza quale simbolo di purezza.
outamaro irisLetta così Iris può apparire come un libretto poco riuscito, quasi sciocco nel suo soggetto, il cui limite potrebbe essere proprio quello dell’irrilevanza psicologica dei personaggi, che non riescono mai ad uscire dallo stereotipo letterario per essere protagonisti credibili. Illica persegue da un lato una dettagliata ricostruzione del Giappone per ciò che concerne il soggetto, l’ambientazione, gli oggetti d’arredo, persino il paesaggio, mediante ricchissime didascalie infarcite sul piano lessicale di giapponismi; dall’altro, però, tenta una continua trasfigurazione in chiave simbolica di personaggi e ambiente, come con la trasfigurazione finale di Iris, oppure con il sole, oggetto dell’inno iniziale e finale che celebra il Sol Levante appunto. Operazione letteraria, quella di Illica, sostenuta da una lingua volutamente ricercata e aristocratica. Le fonti del letterato piacentino sono tutte sono abbastanza identificabili, non soltanto l’iconografia delle donne delle Case verdi di Outamaro o la leggenda simbolico-pornografica della moglie del marinaio ( la piovra di Hokusai ), ma anche la Madame Chrysantéme di Loti, nel tema del rifiuto della piccola e poco fascinosa mousmè, nei bassifondi dello Yoshiwara, descritti come quelli della Nagasaki di Loti etc. L’episodio del teatro delle maschere del I atto di cui Osaka si serve per organizzare il rapimento di Iris costituisce un vero stereotipo collaudato di teatro nel teatro ( “I pagliacci” di Leoncavallo) presente anche nel libro di Loti ed utilizzato da Illica per rafforzare, sempre in chiave simbolica, il tema della brama e della cupidigia di Osaka-Jor verso Iris; idem dicasi per il “triste sogno” di Iris al primo atto, artificio che troverà presto la sua apoteosi nella straussiana Elettra: elementi funzionali a rafforzare le componenti oniriche ed allucinate di cui la trama dell’opera è venata. Tutta l’operazione costruita da Illica non può non apparire come una sintesi, più o meno riuscita, di topoi decandenti sull’antinomia bellezza – morte, purezza – perversione. Il libretto è concepito quasi come un lavoro a se stante, le didascalie ridondanti e minuziose attraverso le quali Illica commenta e si rivolge alla protagonista in prima persona, la lingua volutamente ricercata e compiaciuta alla D’Annunzio, evidente fonte di ispirazione e contaminazione. Sulla trasgressione scapigliata che muove la ricerca di Illica nell’universo proibito della donna giapponese, della bellezza peccaminosa ed elegante del mondo delle geishe, splende il sole simbolico e simbolista del Giappone come su un grande quadro di Nomellini o di Segantini. Eppure la piccola e poco fascinosa mousmè protagonista, con la sua purezza infantile ed il suo piccolo mondo fatto di cose minime, riconduce Iris ad una matrice verista che nega la tendenza simbolista e, di fatto, la vera riuscita del personaggio. Osaka, più comune e netto nella sua personalità, regge maggiormente la prova del teatro di quanto non accada ad Iris, che può vivere scenicamente nella magica ed illimitata varietà del fraseggio floreale di interpreti come Magda Olivero.
La critica di fatto ha rimproverato ad Illica ma soprattutto a Mascagni di non aver saputo andare oltre i cliché sul piano musicale. L’amico Puccini, dopo la prima, scrisse che l’opera era piena di buona musica ma che il libretto, dalla trama per nulla interessante e senza forza, non avrebbe potuto essere sostenuto fino in fondo da nessun compositore. L’entusiasmo di Mascagni per il soggetto e la musica del Sol Levante fu, al contrario, molto grande. Si interessò agli strumenti originali provenienti dal Giappone non soltanto attraverso l’aiuto del barone Krauss e della sua collezione di strumenti: partecipò ad alcuni concerti di musica giapponese e studiò, come fece poi di lì a poco anche Puccini, i repertori melodici che Messager e Sullivan avevano raccolto per le loro composizioni a sfondo giapponese. Obbiettivo principale, più che l’effettiva assimilazione della musica nipponica, fu l’evocazione del Sol levante tramite atmosfere e suggestioni sonore prodotte grazie alle sonorità tipiche degli strumenti giapponesi, che Mascagni fece riprodurre per il teatro sul modello degli esemplari della collezione Krauss e che lo stesso Puccini utilizzò, poi, per la sua Butterfly. L’esotismo sonoro prodotto con i samisien, il liuto a tre corde, i gong o i tamburelli consentì a Mascagni di “evocare” il Giappone nella scena del teatrino, ad esempio, o nella scena della Casa Verde. Seppe affascinare il pubblico con le sue ricercatezze armoniche mai udite su un grande palcoscenico di opera italiano, ma dall’altra parte, a differenza di quanto farà Puccini con la sua Butterfly, restò fortemente ancorato a temi popolari italiani e ai modi compositivi del melodramma nostrano dell’ottocento. Un critico ha scritto che il modo di comporre di Mascagni alla fine trasformò la leggenda della piovra giapponese in quella di “un grande polpo mediterraneo”, immagine che intende fotografare l’eterogeneità tematica di Iris. Quando Mascagni scriveva ad Illica di essersi “tutto ingiapponesito”, di essersi del tutto “immedesimato” nei costumi e nella mentalità giapponesi, oppure di aver ben studiato “il tipo musicale giapponese”, rifletteva l’idea tipicamente ottocentesca ed ancora eclettica dell’immedesimazione dell’artista nella mentalità ( supposta ed inventata ) di un altro e diverso mondo musicale, lontano nel tempo e/o nello spazio. Il giapponismo non era, del resto la sua finalità compositiva e linguistica e perciò Iris alla fine venne a rappresentare un ‘altra tappa, fascinosa e decadente, della ricerca musicale di matrice scapigliata, a cavallo tra la tradizione nostrana del melodramma e la sperimentazione di nuovi modi di comporre.
Il successo di pubblico alla fine fu grande, anche se variabili i riscontri di critica. Va ricordato anche come la vicenda compositiva dell’opera non possa essere scissa dal battage pubblicitario che l’accompagnò, contribuendo a farla conoscere al vasto pubblico e ad intrigarlo sfruttando l’originalità del soggetto. L’operazione commerciale dietro ad Iris, perché di “operazione” si trattò, fu architettata dal genio imprenditoriale di Ricordi, come detto, e venne razionalmente e accuratamente pianificata sul piano pubblicitario. Invenzione fin de siécle dell’editore milanese fu, infatti, la “comunicazione culturale teatrale” ante litteram, per dirla con parole nostre, avendo già intuito il potere commerciale dell’immagine anche nella musica. Nella stamperia Ricordi aveva preso forma da qualche anno l’attività cartellonistica ma anche scenografica di un altro genio del teatro e della grafica, Adolf Hohenstein. iris hoh 2A lui pare si debba l’allestimento finale dell’Inno al sole, con l’apparizione a scena aperta di una gigantesca distesa di fiori, ma più in generale la caratterizzazione visiva dell’intera opera. Hohenstein, quale art director, aveva già realizzato operazione analoghe a quella di Iris, variamente modulate a seconda delle circostanze, per Puccini, Catalani etc. Il soggetto giapponese offrì al designer tedesco ed ai suoi collaboratori un’occasione assolutamente stimolante ed originale. Il tema delle Case Verdi o della leggenda della Piovra non potevano evidentemente diventare il soggetto della campagna pubblicitaria, quindi la grafica erotica giapponese a cui Illica aveva guardato fu sostituita dal tema, floreale e simbolista, della sensuale donna che si trasfigura in fiore, quindi da chimoni e campi di iris, da bamboo e volti giapponesi (ispirati, quelli sì, alla pittura nipponica), dal sol levante etc. La poetica scapigliata dell’opera d’arte totale prendeva così una forma compiuta nel design dei costumi, nella creazione dell’ambientazione prettamente giapponese, negli abiti, nella veste grafica del tutto, incontrando, come voleva il sapiente Ricordi, l’antiquaria, l’oggettistica di arredo, più in generale, la moda giapponese che in quel momento percorreva l’Europa.iris hoh 3

La prima rappresentazione di Iris ebbe luogo al teatro Costanzi di Roma, protagoniste due superstar del momento, la fascinosa Hericlea Darcleè e il mito tenorile italiano, Fernando De Lucia. Per Iris una scrittura centralizzante, con la punta drammatica dell’aria della Piovra, che insisteva sulla ricchezza del fraseggio sulla singola parola; per Osaka una scrittura più robusta e scomoda, ma forse anche più monotona, come è il personaggio. Sappiamo delle grandi doti sceniche e dell’avvenenza della diva liberty Darcleè, artista dal profilo quasi dannunziano. Vero è che Iris, data la natura semplice ed infantile del personaggio, ha attratto e trovato interpretazioni significative ad opera di diverse tipologie di cantanti. Si va dalle cantanti attrici fascinose e raffinate fraseggiatrici dalla Darcleè alla Olivero passando per Maria Farneti, a cantanti più autenticamente veriste come Emma Carelli (dal 1899 a Roma sino al 1914), a soprani lirici ed interpreti “naturaliste come la Storchio e la Bori, a soprani “spinti” semplicemente dotate di grande voce e limitate doti sceniche come Rosetta Pampanini (praticamente in tutti i teatri italiani dal 1923 al 1940, spessissimo con Aureliano Pertile), Bianca Scacciati ed Elisabeth Rethberg al Met nel 1931.
L’opera, di fatto fuori repertorio nella seconda metà del novecento e riportata in auge dall’Olivero, ha conosciuto solo in tempi recenti alcune riprese, la più importante delle quali fu all’Opera di Roma, nel 1996, protagonista Daniela Dessì.

Maria Farneti – Un dì ero piccina

Ester Mazzoleni – Un dì ero piccina

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26 pensieri su “Musica proibita. Iris.

  1. Opera di grande interesse, il libretto innanzitutto con quelle sue didascalie Liberty e decadenti, e la musica che sbalza almeno i due protagonisti da un “fondo” un po’ generico. Interessante poi che Osaka sia stato impersonato inizialmente da Tenori di Grazia ( De Lucia, Garbin, Ventura, Giraud e in fondo lo stesso Caruso) per poi passare a Tenori piu’ scuri e “pesanti”. Ricorderei oltre alle grandi Iris citate la brava Olivia Stapp che ha rivestito il ruolo piu’ volte. Opera non perfetta ma da me molto amata come quest’articolo, si aggiunge una perla alla Msica Proibita. Grazie M.me Grisi

  2. Grazie diva Giulia dell’ampia e puntuale disanima che bene inquadra l’opera. Opera che nel suo cliché estetizzante e inchiodata dagli “illicasillabi” ad una dimensione comunque poco teatrale non amo, come quasi tutto Mascagni in verità. Alla fine penso che il giudizio che ne diede Puccini fosse più che corretto. Partiture come questa si reggono solo se affidate ad una grande protagonista e in questo tra quelle postate la signora Olivero è strepitosa nel tenere sempre alta la tensione e non scader mai nei bamboleggiamenti che il personaggio potrebbe facilmente indurre. Ho colto l’occasione per riascoltarla integralmente, non ricordavo affianco alla Olivero l’ottimo Kyoto di Capecchi, ritrovarlo è stata una piacevole sorpresa.

  3. Vi siete superati in questi ultimi giorni e non fate che rimarcare l’abisso enorme che separa questo blog dai detrattori: metodo, analisi, argomentazione, approfondimento, competenza. Poi si può dissentire nel merito delle opinioni, ma la qualità è autoevidente.

    Ringrazio per la vera e propria dissertazione dissertazione sull’Iris, che volevo comprare l’altro giorno in un’edizione con la Olivero e mi sa che tornerò a prendere prima che sia involata. Ascolterò gli ascolti proposti e mi avventurerò alla scoperta di quest’opera che, da alcuni stralci, pare molto bella! Farò anche attenzione al libretto che mi pare di capire assai interessante! Inizio già a vedere scritte critiche al libretto… quindi penso mi piacerà assai e mi troverò a difenderlo come con BoitoXD

    • caro Ninia, Iris/Olivero assolutamente si, procuratela, ci sono almeno tre live a quanto nel so ’56, ’63 e ’70, gli ultimi due si trovano anche su youtube, quello del 70 con un audio a dire il vero tutt’altro che buono. Il libretto? bah, più che i versi è la mancanza di azione (o un azione che almeno si possa dire logica e credibile) e personaggi rimasti a livello di bozzetto, alla fine il personaggio più a tutto tondo è proprio Kyoto. Insieme ad Amico Fritz è il miglior Mascagni dopo il fuoco iniziale di Cavalleria, anche se a me, tutto sommato, continua a sembrare piuttosto insulso, ma che non amassi Mascagni lo avevo premesso 😉

  4. Opera interessante, ma riuscita a meta’, per Massimo Mila Iris ” e’ l’estremo tentativo, quasi patetico,di aggrapparsi a valori stilistici di piu’ accurata scrittura musicale”. Ma si sa, Mila non amava molto Mascagni. Altre possibili cause della parziale riuscita dell’opera potrebbero essere sia la prevalenza della pittura d’ambiente sull’analisi psicologica (mi pare manchi in Iris quell’ambiguita’ che e’ il sale della sensualita’-che in Iris latita) sia il persistere, in Mascagni, degli stessi difetti gia’ presenti in Cavalleria:l’alternarsi di un buon linguaggio armonico con talora strumentazioni frettolosamente tradotte dall’abbozzo al pianoforte ( come sottolinea Giulio Confalonieri).

  5. Innanzitutto Giulia Grisi complimenti per il valore dell’intervento, tra l’altro lodevolmente coraggioso e nemico dei luoghi comuni. Con Iris si accede ai piani alti della “musica proibita” e non solo. La musicologia, come tutto, conosce una storia, un modificarsi e successivo precisarsi di posizioni. A massimo fazzari mi permetto di dire che forse è il caso di guardare oltre a Giulio Confalonieri ( scomparso da più di 40 anni ) e a quanto Mila – ormai troppi anni fa – scrisse nella sua Breve Storia della Musica. Se prendiamo a riferimento già il convegno su Iris coordinato da Fedele D’Amico (Livorno, 1988) possiamo apprezzare il definirsi di posizioni che hanno innovato – e di molto – l’analisi di tale opera. A partire dal libretto e dalla drammaturgia, con netta una rivalutazione dei tratti spiccatamente antinaturalistici ( e che dunque Puccini poteva poco apprezzare ) che vanno tra l’altro a confliggere con la presunta – e in realtà occasionale – vocazione “verista” di Mascagni. E poi , in tutta l’opera ma spiccatamente nel terzo atto, una raffinatezza nell’armonia che impone una seria messa in discussione ( da farsi alla luce poi di Parisina, un titolo a mio parere tra i massimi di tutto il ‘900 italiano e non solo ) del ritratto – totalmente infondato – di un Mascagni autore rozzo e istintivo. Egli ha trattato l’orchestra con grande ammirevole sapienza . Infine: il problema del superamento delle forme chiuse da sempre ricetto della vocazione melodica che ha animato l’opera italiana. Il problema cioè di come strutturare il moderno recitativo melodico, di immaginare nuove forme di recitar cantando. Il recitativo melodico di Iris è vario, ricco, sfumato come forse mai prima e dopo nello stesso Mascagni. Aggiungerei che le riprese di Iris negli ultimi decenni sono state sempre accompagnate dal favore – spesso dall’entusiasmo – del pubblico. Il fatto poi che i teatri ripropongano quasi sempre la sola Cavalleria è cosa che infastidisce davvero molto.

  6. Gentile Gianmario, ricordo , se non sbaglio,che gia’ avevi citato il convegno del 1988 a Livorno in un tuo precedente intervento su Mascagni ( solo 26 anni or sono, non come gli scritti di Confalonieri !). Concordo che il terzo atto sia il migliore, sia per la “densita’ armonica” (son certo che riconoscerai l’autore di queste parole) ed anche, io credo, per l’atmosfera espressionista basata sul declamato dei tre egoismi.E qui, penso ,le nostre posizioni forse divergono:in questa opera vi sono molteplici echi di diverse “esperienze musicali” ( anche qui riconoscerai l’autore di questa notazione), che pero’ a mio modesto avviso,ed anche di altri ben piu’ autorevoli personaggi, , non si compongono in quell’equilibrio che caratterizza Cavalleria . In altri termini, dopo Cavalleria, Mascagni ha battuto un po’ tutte le vie: temi romantici come nel Ratcliff, la commedia con Amico Fritz, il medioevo con Isabeau, la romanita’ con Nerone, l’esotismo ,appunto, con Iris e via di questo passo.Ma, spero tu ne convenga,mai riuscendo a ricreare l’equilibrio ed il fascino di Cavalleria.Il paragone con il percorso di Puccini e’ piuttosto impietoso.Ancora un argomento di cui si parla meno :l’aspetto diacronico della musica, ovvero la Melodia.( come nota Ravasini, che non e’ morto 40 anni or sono). Orbene in Iris non mi pare che l’invenzione melodica sia “indimenticabile”,e,ad esempio, nel duetto Iris -Osaka melodia e declamato a volte sembrano confliggere.Infine un discorso di metodo. E’ vero che la musicologia si modifica,ma il criterio cronologico non garantisce sempre novita’, Celletti e’ morto ma moltissime sue analisi sono ancora valide, su Mila, poi, ho avuto l’onore di conoscerlo per il mio mestiere nella fase finale della sue esistenza–e ti assicuro che i suoi icastici giudizi su Mascagni scaturivano da rigorose analisi , come sempre faceva prima di esprimere giudizi. E’ sempre un piacere confrontarsi con interventi come il tuo perche’ comunque impongono di rianalizzare i propri convincimenti (secondo il laico convincimento che al massimo abbiamo il 50% di ragione)

  7. Indubbiamente i giudizi di Mila scaturivano da rigorose analisi: era un intellettuale di gran rango. Tuttavia – senz’altro a causa dell’influsso del suo intransigente ( e ormai datato ) storicismo – egli non è mai riuscito a comprendere appieno non solo Mascagni ma anche Puccini, Mahler, e Strauss ( ed non fu il solo della sua generazione ). Nel caso di Mascagni c’è poi un’aggravante: la comprensibile prevenzione di colui che avendo dovuto scontare sette anni di carcere fascista si trova poi a giudicare l’artista più incensato e sovvenzionato dal regime. Sono convinto che l’intransigente ( e barboso ) ascetismo estetico che Mila incarna al massimo grado abbia condotto la musica “colta” nel desolante vicolo cieco in cui si trova oggi. Sulle previsioni di ricezione della musica contemporanea Mila ha toppato di brutto.
    Da appassionato di Mascagni prediligo Iris e – soprattutto – Parisina, che trovo molto superiori a Cavalleria. Puccini, autore di levatura assoluta ( e certo superiore a Mascagni ) non ha comunque avuto il coraggio di spingersi dove si è spinto Mascagni con Parisina che è – come è stato a mio avviso correttamente notato – la prima ( e forse la più bella ) opera della generazione dell’Ottanta. Mica male per uno che 20 anni prima aveva inventato il “verismo”. M’incuriosisce poi sempre l’affermazione su Mascagni che batte tutte le vie. Lo stesso – per fare un esempio – non si potrebbe dire di Puccini? Dalle leggende nordiche delle Villi al ‘700 di Manon, per passare alla commedia piccolo borghese di Bohème, dal verismo parigino di Tabarro all’esotismo orientalisrico di Butterfly e Turandot, all’operetta, alla commedia dantesca, al XVII secolo in convento. (ma per fortuna! aggiungo io). Volendo si può fare lo stesso gioco con Strauss…

  8. Ho acquistato l’edizione da Amsterdam con la Olivero e devo dire che già ad un primo ascolto l’opera mi è piaciuta moltissimo. La musica è davvero bellissima e, personalmente, mi ha trasportato molto più di quanto non faccia Puccini (anche i miei genitori sono venuti a chiedermi che cosa stessi ascoltando perché erano colpiti dalla musica). La Olivero è davvero grandissima e riesce a rendere davvero vivo il personaggio, ora devo ascoltare gli ascolti sopra postati e sono curioso per la Dessì, che vedo particolarmente adatta alla parte.

    Per quanto concerne il libretto, trovo che sia bellissimo, non posso che concordare con Madama Giulia :)
    Solo una cosa mi lascia perplesso: un po’ tutti dicono che la trama è debole, ma io non credo sia più debole di moltissime altre opere. Anzi, ha una sua coerenza data dal candore estremo della protagonista che non è compreso da nessuno dei personaggi, ognuno dei quali rappresenta qualcosa. Se l’opera è simbolista, come è stato giustamente affermato, mi pare che l’intento sia stato raggiunto pienamente giacché ognuno dei personaggi è un simbolo. Non mi pare Mascagni vada dunque rimproverato. Anzi, credo che abbia plasmato un’opera esattamente nel modo in cui voleva plasmarla. Poi la critica può sbizzarrirsi quanto vuole, ma non credo che tale coerenza tra intento creativo e realizzazione possa essere rinfacciata al compositore.

    Ad essere sincero ora mi è venuto un forte desiderio di approfondire Mascagni quindi chiedo consiglio a chi ne sa molto più di me per un consiglio sulle edizioni di riferimento per le altre opere del compositre (sperando siano reperibili da qualche parte) :) Grazie!

    • Ciao Ninia92,
      Tralsciando Cavalleria, le opere di Mascagni che considero essenziali sono:
      Iris (Amsterdam ’63 con la Olivero è la migliore)
      Il piccolo Marat (esiste la registrazione di Livorno ’61 con Virginia Zeani)
      Isabeau (non esistono registrazioni di riferimento, la migliore è quella di Napoli ’72)
      Parisina (Ancora peggio di isabeau, non ci sono registrazioni che si possono definire accettabili)
      L’amico Fritz (ascolta la versione con Pavarotti e la Freni)
      Guglielmo di Ratcliff (la versione con Pier Miranda Ferraro è la migliore disponibile IMO)
      Zanetto (è una operina ma potrebbe piacerti)
      Lodoletta (è la più “pucciniana” a mio parere)

  9. Ninia92 quello che hai scritto è il miglior riconoscimento al ciclo “musica proibita” che la Grisi avrebbe potuto ottenere. Sono convinto che tante pagine di Mascagni ( e di altri autori di questo importante stagione del nostro melodramma ) potrebbero essere apprezzate da chi abbia la passione e la sensibilità che dimostri nel tuo intervento solo ne fosse possibile una decente fruizione. Purtroppo le incisioni a disposizione sono poche e quasi sempre di scarsa qualità. La Olivero è una benedizione, ma mai altrove siamo a quei livelli. Quasi sempre si ascoltano esecuzioni delle opere di Mascagni ( a parte Cavalleria ) il cui interesse è unicamente quello della scoperta dell’opera rara, e in cui si cerca di ovviare con la fantasia alla modestia delle interpretazioni. Ma ne vale comunque la pena.

  10. Ringrazio per Aureliano per il consiglio d’acquisto cosa che ho provveduto a fare subito, e Gianmario per le belle parole:)

    Sono d’accordo sul fatto che si tratta di pagine davvero belle che potrebbero tranquillamente trovare spazio nei cartelloni e nei gusti del pubblico, ma sono veramente “proibite”, come definite nel titolo della rubrica.
    Io sono lontanissimo dal conoscere abbastanza bene questo repertorio, ma il graduale approccio favorito dall’esortazione di questo blog a riscoprire queste opere, mi sta facendo capire che si tratta di pagine di grande qualità e valore estetico. Meritano solo attenzioni da direttori e cantanti. Invece si sentono solo giudizi altamente negativi da parte della critica e, vista la rarità dei titoli stessi, mi vien persino da chiedermi quanto questi dottissimi critici conoscano effettivamente tale repertorio… poi siamo alle solite: c’è critica seria e critica che non lo è, ma si spaccia per auctoritas. Stroncare ciò che non si capisce o che non incontra i propri gusti non fa che evidenziare i limiti del critico piuttosto che quelli della musica o del compositore!

    Tutto ciò lo scrive uno che ama profondamente Rossini, Donizetti, Bellini e il grand opera.

    Donzelli non vedo l’ora di seguire le prossime puntate, poi se c’è la Divina Magda… <3

    Cosa ne pensate dell'edizione di Parisina di Mascagni che si trova sul tubo? https://www.youtube.com/watch?v=XF4UgStBdIE

  11. L’edizione di Parisina che indichi è risalente al 1976, cioè quando ancora la Rai – con le proprie orchestre di Roma Torino Milano e Napoli – eseguiva in forma di concerto opere di repertorio e anche rare, assumendo un ruolo di notevole rilevanza nella cultura musicale italiana. Solo in quel 1976 vennero eseguite dalle orchestre Rai opere di Mozart, Strauss, Schoenberg, Sostakovic, Falla, Milhaud, Respighi, Bucchi, Sciarrino, Schumann, Bellini, Ferrari, Renosto, Cherubini, J.C. Bach, Haendel, Rossini, Mannino, Donizetti e, per l’appunto – Mascagni, quello meno ovvio. Altri tempi, altra civiltà musicale. Quell’edizione ha il solo pregio di essere, tra le 3 oggi rintracciabili, la più completa. Infatti Parisina, opera di lunghezza sterminata ( alla Scala la prima del 1913 terminò alle 2 di notte ) non conosce un’incisione davvero integrale. Si trova poi la registrazione della ripresa romana fatta da Gavazzeni nel 1978 ( memorabile la recensione di Fedele D’Amico, che tra l’altro segnalò la presenza in sala per più sere di uno stupito Petrassi ) che conosce tagli più vasti. Infine la registrazione della recita in forma di concerto da Montpellier del 1999 ( protagonista Denia Mazzola Gavazzeni ) la cui qualità di registrazione è nettamente migliore rispetto alle precedenti ma che, oltre a tagli interni ai primi 3 atti è priva completamente del quarto ( secondo una scelta che – causa l’eccessiva durata dell’opera – fece inopinatamente lo stesso Mascagni dalla seconda recita del 1913 alla Scala ). Esistono poi registrazioni private dell’esecuzione in forma di concerto del 4° atto di Parisina fatta da Gavazzeni alla Gran Guardia di Livorno nel 1995. Nessuna di queste esecuzioni è di gran pregio ma con un po’ di pazienza e buona volontà si può riuscire a farsi un’idea di quest’opera formidabile. Dal momento che Mascagni ha lavorato fortemente sulla parola, sul recitar cantando, è indispensabile seguire l’opera avendo sotto gli occhi almeno il libretto ( che purtroppo non è rintracciabile con la stessa facilità di quello della Traviata ). Per un interessante confronto si trova su you tube una recita di Parisina del solo testo di D’Annunzio ( dunque teatro di prosa ). Il testo privo della musica fu messo in scena al Teatro Argentina di Roma già nel 1921. A mio parere tutto un mondo – affascinantissimo – da scoprie.
    Infine: esiste ormai una buona parte della critica orientata favorevolmente verso il Mascagni di Parisina e ho l’impressione che tale tendenza non potrà che consolidarsi. E’ un certo settore del pubblico, non giovane, a essere oggi indietro sull’argomento.

    • Gianmario ti ringrazio molto per le informazioni:)
      Intanto ascolterò prossimamente quella sul tubo, poi cercherò di procurarmi in qualche modo le altre, se si riesce.

      PS: Per la cronaca, oggi ho ascoltato Iris una seconda volta e il mio giudizio iniziale ne è uscito confermato ulteriormente :)

  12. Caro Ninia92, se Ti interessa Mascagni potresti provare ad ascoltare Isabeau, opera un tempo eseguita di frequente e che musicalmente e’ interessante. Esiste una (fondamentale) breve selezione che vede DeMuro nel ruolo di Folco, ed una completa,con la Pobbe Live, piuttosto bella ed,ancora, una più recente dal suono nettamente migliore. Ciao

  13. Bell’articolo. Non sono d’accordo sulla inconsistenza del plot, dove si parla in epoca insospettabile di violenza sui minori e di una vita da buttare (non muore Iris in una discarica?). A parte questa disparità di vedute ho letto con interesse e finalmente qualcuno ha parlato di Iris oltre le solite stantie ovvietà. Grazie.

  14. Complimenti, bell’articolo.
    Iris è la mia opera preferita, un vero capolavoro anche se imperfetta.

    Concordo quando massimo.fazzari sostiene che Cavalleria è l’opera di Mascagni più equilibrata ma al contempo , come Gianmario, credo che Mascagni abbia composto altre opere che la superano come valore assoluto.
    E’ un vero peccato che non esistano registrazioni davvero buone per opere come Isabeau e soprattutto Parisina.

  15. Che articolo !!! Me l’ero perso! Le immagini pittoriche ed esistenziali evocate si fondono con le profondità, le suggestioni e le delicatezze di Mascagni staccandomi un biglietto di sola andata destinazione Arte. Buon anno a tutti.

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