Macbeth alla Scala: la luce (di Lissner) langue.

Occorrerà molto tempo a ciascuno di noi per dimenticare l’indescrivibile spettacolo cui abbiamo assistito giovedì sera. Tanto indescrivibile che, francamente, non so bene da che parte iniziare a raccontarvi una delle serate più assurde cui abbia avuto occasione di assistere in questo teatro che ormai, non sapendo più a che Santo votarsi per difendere l’indifendibile ovvero le proprie scelte, si è spinta a sfrattare un vecchio critico con cui non si sentiva più “in sintonia”. La feroce contestazione finale è stata il dovuto riscontro per una sintonia che ormai la Scala, in realtà, non ha più nemmeno con se stessa ( oltre che col proprio sparuto pubblico ), perdute la capacità di operare scelte artistiche adeguate e di mettere in gioco quell’alta capacità produttiva che, giustamente, l’hanno resa famosa nel mondo. Una sommatoria di scelte artistiche errate, ingiustificate, errori di casting, scarso professionismo, difficile da scomporre ed analizzare una ad una, che ha prodotto una serata davvero incredibile, e che solo in parte posso tentare di narrarvi. Parlare di sintonie è un eufemismo per una struttura che, al contrario, è ormai in aperta distonia col fare bene, con l’operare saggiamente, anche in quelli che erano i suoi punti di forza.

1)Preludio. Ancora prima che si alzasse il sipario, abbiamo preso atto della scelta di mandare in scena la prima versione dell’opera, quella del 1847, arbitrariamente rivisitata, però, con l’inserimento di numeri approntati per la versione definitiva parigina del 1865, ossia la “Luce Langue” al posto dell’originario “Trionfai” nonchè il coro “Patria oppressa”. Una scelta incomprensibile, che ha dato luogo, sul piano filologico, ad una versione del tutto arbitraria di cui non si è ben capito il senso e la paternità. A ciò si aggiunga il fatto che, data la scrittura della parte del protagonista, la prima versione ha senso soltanto se si dispone di un baritono di qualità eccezionali, data le maggiori difficoltà insite nella scrittura originaria approntata per il grande Felice Varesi e che ha soltanto messo in maggiori difficoltà vocali il prescelto protagonista.  Né la scelta era maggiormente adeguata alla Lady di turno, cui per opportunità ma anche assurdità filologica, è stata risparmiata la difficile aria del secondo atto “Trionfai”.

2)Questioni di professionismo. Avevamo già fatto esperienza nella Turandot ultima scorsa dei modi di gestire la propria carriera del maestro Gergiev, che ritiene bastante la propria presenza sul podio all’ultima prova per raggiungere un risultato di qualità pari al nome che porta. Giovedì sera il pubblico ha duramente contestato il maestro ( finalmente !), giunto pare anche in questa occasione per la prova generale, svoltasi rigorosamente a porte chiuse: ha offerto una non-direzione fiacca, ora strombazzante ora in sordina, senza accenti e colori, inadeguata del tutto ai climi ora foschi, ora ossessionati, ora grotteschi, ora luciferini composti da Verdi. Ricurvo tutta la sera sul leggio, nell’atto di leggere e voltare le pagine della partitura, ha dato l’idea di rincorrere il fluire della musica sullo spartito, battendo il tempo e nulla più. Mai un colore in orchestra, mai una sfumatura, mai un minimo rispetto di dinamica ed agogica, a maggior ragione se si opta per la prima versione o pseudo tale, che importa, ovviamente, tradizioni esecutive congrue. Una vera mancanza di rispetto verso il teatro ed il suo pubblico già viste in Turandot ed a suo tempo inutilmente graziate all’uscita: il maestro ha bissato la prova, e la reazione alla finen è arrivata. Inutile domandarsi se abbia avuto un ruolo nella predisposizione delle scelte di spartito, o nell’incoerenza di tagliare il da capo del duetto Lady-Macbeth mentre si eseguivano i da capi delle cabalette etc., o nella gestione delle voci sul palco, dove tutta una serie di osservazioni e controllo sul canto, soprattutto in fatto di gusto, erano doverose. Gergiev è stato una presenza assente ( salvo nel cachet immagino..), assai poco professionale.

3)La messa in scena. Compagno di viaggio nella Turandot del maestro Gergiev era stato il regista, signor Barberio Corsetti, anch’egli in quell’occasione artefice di una prova che non lasciava dubbi sull’opportunità di un suo ritorno. Ieri sera si è consumato il dramma di un regista che, per totale assenza di idee in rapporto ad un testo straordinariamente suggestivo, ha organizzato un’accozzaglia di mille dejà vué, malamente affastellati senza il minimo criterio. Una serie incessante di luoghi comuni da Regieteather che ha suscitato ilarità ed indignazione, e scatenato la reazione furibonda finale. Nessun clima, nessun gesto registico, ma situazioni scopiazzate malamente quinci e quivi, prive del minimo significato logico e drammaturgico. Nella passerella delle sciocchezze che avevano luogo grosso modo negli anni dieci-venti, scenografie minimaliste, una scala e pareti bianche a due ordini di finestre rettangolari tipo architettura razionale, qualche oggetto d’arredo imbarazzante, un bambino che attraversa la scena con un orso di peluche in mano, dopo avergli praticato una resezione gastrica, megaproiezioni dei volti dei protagonisti sui muri, o sette facce per le sette apparizioni, esercizi di web painting tipo pop-aerografo, Banco con la borsa di cuoio da dottore che si difende a borsettate da sui assassini, una scena del ricevimento con coristi che ondeggiavano a mo’ di ubriachi e signorine in guepierre che si contorcevano a terra stile Salò o salon Kitty, ballerini che danzavano in tutine da diavoletti mentre un paio di streghe facevano bungee jumping a gambe all’aria sulla parte di fondo, coristi in fila per la minestra mentre eseguivano il “Patria oppressa”, soldati vestiti da Grande Guerra con elemetto e pistole; immancabile scena di pestaggio da parte di soldati in anfibi ( in modo da assicurare l’adeguamento del regista a quanto corre nei teatri tedeschi da quasi quarant’anni..); il duo protagonistico come ricca coppia borghese, Mcduff in cappottone militare etc etc… Una serie di citazioni cinematografiche a buon mercato da Mary Poppins a Eduard mano di forbice ( gli uomini – albero della foresta ), passando per il genere Terzo Reich. Invedibile ed intollerabile, e soprattutto stupefacente che in un teatro tanto importante nessuno abbia fermato almeno i momenti smaccatamente ridicoli, come il balletto dietro al monologo di Macbeth al terzo atto. C’è qualcuno che vede questi orrori mentre nascono e si rende conto che non si può andare in scena così? E quale compito pertiene alla sovrintendenza ed alle pletore di consiglieri davanti alla realizzazione? LA PROTESTA ed oggi, dopo la prima finita con due , ripeto due uscite, la cancellazione dello spettacolo, se decenza e professionalità li supportassero.

4) Il canto. Potremmo dire che è il capitolo meno grave, rispolverando la tiritela che ci si trova in assenza di cantanti, ma anche qui, nella generale carestia di voci e personalità, il teatro ci ha messo del suo, a cominciare dalla versione prescelta. In realtà il cast era adeguato agli standards consueti correnti in Scala, ma l’opera è ad alto tasso di difficoltà e non consente loro di barare o nascondersi. Si poteva però fare meglio con questo budget vocale. Le cadute di gusto della signora Garcia, più intollerabili dei suo cattivo canto, dovevano e potevano essere arginate dalla bacchetta ( se questa avesse provato ), ma anche da chi, pianisti e maestri sostituti, hanno assistito alle prove.  Non si può peraltro essere adeguati alla parte senza la prima ottava, disponendo poi di un centro schiacciato, indietro e poco sonoro: neppure frasette centrali, ma essenziali come “ Ma dimmi qual altro”, “Vergogna signor”, “Una macchia é qui tuttora” hanno preso, anche con i limiti suddetti, minimale forma e dignità. Al contrario,  il soprano ha urlato e berciato senza economia del limitato mezzo l’intera scena del sonnambulismo, gran parte dell’entrata etc. Un silenzio di ghiaccio ha accompagnato le sue arie, come ben aveva profetizzato qui Mancini qualche settimana fa, a riprova che il canto ha delle regole uguali per tutti e che chi gestisce oggi le voci, managers e casting managers, farebbe meglio a darsi all’ippica o all’origami. Idem dicasi per il protagonista maschile, signor Vassallo, che in più di un’occasione si è abbandonato ad emissioni volgari e truculente che potevano essere risparmiate, nonostante un mezzo di partenza per nulla importante ed adeguato a questo titolo in uno spazio vasto come il Piermarini. Gli acuti di cui la parte è infarcita sono stati sistematicamente sono spinti ed opachi, pochissime le intenzioni per un interprete impegnato duramente nella gestione della scrittura. Diciamo che erano un poco più decorose le sezioni poi travasate nella versione 1865, ma le parti scritte per il mezzo privilegiato, l’accento nobile ed insurrezionale di Felice Varesi proprio non funzionavano. Durante l’intera serata i due protagonisti hanno cantato sul mezzoforte quando non sul forte, sebbene la grande orchestra ( un organico da Tristano per un titolo del 1847 rappresentato al teatro della Pergola di Firenze)  venisse continuamente tenuta a basso volume dal maestro Gergiev. Il pubblico li ha graziati, la signora in particolare, perchè ben maggiore era l’irritazione verso bacchetta e regista, ma vale per ciascuno dei due quanto raccolto ai numeri solisti a rappresentare l’opinion e dei più. Peggio ancora, secondo al miglior tradizione slava, la voce ingolata e dura del Banco del signor Kocan, miracolosamente trasformato da Masetto in basso verdiano sulle tavole milanesi. Il cantante, more solito, non è neppure un basso, tanto è sordo ed opaco nel “pedale” riservato a Banco durante il primo duetto. Va segnalata la singolare circostanza di Stefano Secco Mcduff che nell’aria “Ah la paterna mano” ha sfoggiato  volume ed ampiezza (salvo suonare indietro nei parchi acuti previsti, un la naturale credo) per poi essere sordo nella stretta a due voci con “T’ho giunto alfin, carnefice de’ figli miei!” e nelle battute finali dello scontro con il re sconfitto.

Langue la luce di Lissner e della sua Scala à la page. Le ragioni sono molteplici, e noi del pubblico possiamo percepirne solo una parte, ma pienamente gli esiti artistici. Quando i tonfi arrivano così frequenti e clamorosi ( Wagner è solo uno comodo schermo che può mascherare solo ai meno attenti il problema vero che è la gestione del repertorio ), toccando ogni sezione dell’organizzazione delle produzioni, forse occorre meditare sul rapporto costi-qualità offerti ( in questi tempi di emergenza economica ), valutare lo stato effettivo del consenso ( e non quello artato dall’ufficio stampa ) e, per dignità personale, riconoscere che è ora di lasciare anticipatamente il posto di guida. Persino i più accaniti e preconcetti difensori della vuota “modernità” che ci viene ammannita dalla gestione lissneriana si sono improvvisamente destati giovedì sera, forse perchè a furia di insistere su questi registri la pazienza scappa anche agli innamorati cronici della Scala. Questa sovrintendenza-direzione artistica, con tutti i suoi vicari, quel che aveva da dire ha detto, quel che sa fare lo ha ben dimostrato, e la sua commedia, non solo a noi, pare assolutamente finita.

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32 pensieri su “Macbeth alla Scala: la luce (di Lissner) langue.

  1. Per quanto mi rguarda la serata più indecente a cui mi è capitato di assistere in Scala negli ultimi quarant’anni. Ma è mai possibile che nessuno debba pagare per questa palese mal gestione del teatro (un tempo) più celebre del mondo?

    • Gentilissima Giulia
      esprimo un ringraziamento per la fervida , trasparente, veritiera ( ahimè) critica al Macbeth del Teatro alla ScalaNella grande amarezza ( come dipendente di un Teatro che sta andando a fondo, la Scala,) avere se non altro il conforto delle brutture che si vedono e si ascoltano senza poter intervenire in nessun modo,è un sollievo.
      In realtà qualcuno di noi ci prova a far educatamente presente che le produzioni Scala sono ormai INDEFENDIBILI, ma la Scala è sì tanto cambiata da metterci in condizione di non poterci esprimere , una sorta di controllo su parole, e pensieri degno del KGB.
      Preferirei firmarmi Verdi, ma forse per demonizzare il Wagner fagocitante la stagione scaligera trascinato a viva forza nella programmazione dal duo Lissner/Barenboim, ho scelto Wagner.
      Grazie per aver scritto una criticaoggettiva, educata e competente della devastante prima di Macbeth
      Un saluto a tutti

      Riccardo

    • guarda che contrariamente a quanto scritto oggi dal recensore del Corsera, che afferma gergiev essere stato buato dai vociomani, la bacchetta non ha danneggiato affato il canto, ha dato i fiati giusti, i rallentando quando servivano, abbassato l’orchestra quando le voci erano sotto. Gergiev è capacissimo di tenere in sintonia palco e buca, il punto è che non c’era alcuna cifra nell’orchestra, salvo battere il tempo. ma occorre altro dalla sintonia, cioè stare insieme con i cantanti: occcore che il direttore suggerisca intenti, corregga il gusto, gestisca l’edizione del testo. occore che un direttore diriga e concerti, abbia idee, gestisca e coordini tutto.gergiev ha dato a duprez una risposta chiara su come le bacchette oggi lavorino…ci aspettiamo qualcosa da loro che non sia la routine?

    • se Gergev se invece di arrivare qualche giorno,arriva prima e fa le prove che deve fare,la storia sarebbe diversa,non è affatto un accatone,ma uno speculatore a prendersi i soldi senza dare quello che è capace..

  2. sicuramente la prima cosa che salta all’orecchio sono i problemi vocali di un cast assolutamente improponibile ma per quel che riguarda il gusto e la linea una correzione poteva essere fatta. il resto nol dico , gia’ ognuno lo sa !

  3. Lo si sapeva già da tempo, senza necessità di interpellare le streghe. Senza dare ascolto alle voci che puntualmente fuoriescono dal teatro -quasi ci fossero dei “partigiani” all’interno che conducono una impossibile quanto inutile “resistenza” ad una direzione che ormai ha dimostrato ampiamente di essere inadeguata, per non scrivere altro- basta entrare nel sito della Scala e vedere il trailer di questo sciagurato MACBETH per intuirne senza essere preveggenti i disastrosi risultati.
    Siamo messi davvero male.
    Buona Pasqua

  4. Analisi come sempre informata, lucida, disincantata, esaustiva.

    Che la gestione Lissner dovesse finire in tal modo era cosa prevedibile; resta la domanda: chi lo ha chiamato e su quali basi? E su quali linee si pensa di operare dopo la sua sparizione?

    La Scala come metafora del paese.

  5. Cronaca delle contestazioni (la parte più divertente della serata, e anche la più intonata):

    PRIMA PARTE:
    Vieni, t’affretta: passato sotto il silenzio più totale.
    Or tutti sorgete: modesti e svogliati applausi.
    La luce langue: tentativo di UNA persona di applaudire, prontamente redarguito dal loggione con un “shhh” e un “basta!”
    Le altre arie accompagnate da un eloquente silenzio.

    SECONDA PARTE:
    Gergiev accolto in buca da un sonoro “Che schifo!” nel silenzio generale.
    Scena del sonnambulismo (con stecca della Garcia alla fine), silenzio in sala e fischi-letteralmente fischi-dal loggione.
    Chiamate finali DUE con fischi e buu a pioggia da tutto (sottolineo tutto) il teatro.

    Ma Lissner farsi qualche domandina?

  6. posso essere pesante e schietto al tempo stesso finalmente si rendono conto della sbobba che da anni la scala infligge spacciando la per cultura storica produzione e chi più ne ha più ne metta di queste penose bugie. Sarebbe anche il caso di dire che di un altro dei cavalli della giostra dei teatri di star system non sappiamo che fare

  7. buare puo’ essere a volte anche maleducato ma quasi sempre invece è doveroso, utile. Serve per tentare di fare pulizia in un teatro che costa fior di milioni di euro ad un Paese che oggi non ha bisogno di sprecare. Buare serve anche a far capire a chi di dovere che L’INCOMPETENZA deve essere gettata nei peggiori rifiuti e LA SCALA è piena di incompetenti. E sono ancora buono ad usare solo questo aggettivo. Come si possono scegliere registi e scenografi di questo infimo livello? e pagarli tanto ? LA SCALA era il primo teatro al mondo e questo sovrintendente è responsabile del continuo degrado. Ma ci serve ancora questo francese? Non ha fatto abbastanza danni? Ma vogliamo essere masochisti? Quindi costoro vanno buati e ribuati ed ancora buati fino a quando non penseranno bene di smetterla di fare danni. Poi, cari amici, in momenti di alta corruzione generale ……E non proiseguo. Lascio immaginare a chi mi legge.

  8. caro Domenico sei stato ancora buono nella tua giusta e spietata disamina. Questo teatro vive male da molto tempo e la grandeur francese è stato come un profumo che cela il tanfo insomma il rimedio peggiore del male e dobbiamo aver ben chiaro che non sarà la traslazione di qualche altro mistificatore da qualche teatro straniero a dare una parvenza di decoro e dignità al teatro. E il nostro solo mezzo è riprovare

  9. è triste dopo tanti anni dire: ma che ci vado a fare alla Scala? Grazie a DIo ho una discoteca e videoteca molto fornita . Ma , caro Donzelli, bisogna fare casino, casino estremo, Roba alla Grillo per cacciare questi dementi e salvare il salvabile. Vorrei avere qualche decennio in meno e ritornare il loggionista di un tempo. Ma è tardi. Spero che ci siano giovani sufficienti per farlo.

    • Purtroppo i nuovi loggionisti (o un gran numero) son quelli che applaudono i Bartoli e i Kaufmann, ecc.
      Non possono apprezzare “l’audio” dei grandi di ieri, o avant’ieri, e nemmeno la loro vera proiezione del suono, perché non conoscono questi artisti ‘dal vivo’.
      Sono stati nutriti da piccoli sui falsi video dei ‘dietro le quinte’ di questi ‘moderni’ mentre registrano o preparano i loro gioielli di cd o hd video che corrispondono ad una realtà anch’essa costruita nei minimi dettagli per ingannare e per vendere, ma NON, certo, per istruire e far capire il vero lavoro di studio e preparazione.
      Sembra tutto improvvisato con un pressappochismo vergognoso fatto tutto di parole vuote e un ‘joie de vivre’ che fa pensare al divertimento leggero di un karaoke fatto dopo qualche drink di troppo.
      Loggionisti di oggi – Figli di nessuno.

  10. e’ sempre stata cosi’ da quando frequento la scala: la quota d contestatori d scontenti e d nostalgici pronti alla buata e’ fisologica. Un giorno m prendo la briga d controllare ma almeno due tre prime con contestazioni capitani ogni stagione…poi il tempo e’ galantuomo e c si dimentica

  11. Fare dei passi indietro per ricominciare a farne in avanti, riscoprire la tradizione e farne tesoro.
    Basterebbe poco.
    Invece si arrovellano tutti per trovare la soluzione che stupisca ed immancabilmente cadono facendo un frastuono mostruoso.
    La gente cerca semplicità per gustare in armonia.
    Spriamo bene che certe figuracce riescano a far riflettere chi di dovere.
    Buoni ascolti a tutti.

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