“Invano Alvaro…Le minacce e i fieri accenti”. Terza puntata: Francesco Merli e Galliano Masini.

Altra sfida al convento della Madonna degli Angeli. Nel ruolo di don Alvaro si scontrano due cantanti di grandissima carriera, che, però, non ebbero la fama planetaria e la unanime celebrazione di altri già proposti ed in attesa di proposizione in questa che è la più nobile ed al tempo stesso violenta sfida. Li trovo, invece, splendidi .
Ed aggiungo che quanto a Masini l’esecuzione, forse  per la presenza sul podio di Gino Marinuzzi abbiamo anche sortite da interprete, che contraddicono la vulgata del cantante
becero e rozzo. Oltre tutto in origine in quella Forza del destino che schiera,sotto la guida di Marinuzzi, un cast stellare Caniglia, Stignani, Masini,Tagliabue, Pasero e Meletti era previsto Beniamino Gigli, la cui presenza venne impedita da eventi bellici. Il cast stellare ci dice che non solo gli Ugonotti sono l’opera delle sette stelle, ma che titoli del repertorio italiano come
Forza, don Carlo e la vilipesa Gioconda non sono da meno e che l’odierna rarefazione del titolo è la prova della assoluta difficoltà nell’allestirlo.

Entra Carlo Tagliabue, per concorde e dimostrata voce l’ultimo vero autentico baritono verdiano nel recitativo è del pari aulico ed arrabbiato (parcamente), il colore della voce è
piuttosto scuro, è facilissimo nei primi acuti come dimostra il midi “verserò”, il fraseggiatore non è strepitoso e vario, ma il “lo giuro a Dio” in piano dimostra che per essere vindici non si deve sbraitare. Risponde Masini, che contrariamente alla vulgata attacca “fratello” in piano e con il giusto accento dimesso, salvo poi incendiarsi immediatamente all’agnizione del mancato cognato. Tagliabue per contro nel recitativo non  è particolarmente vario. Masini dal canto suo risulta un po’ querulo (forse perché il modello era il celebrato don Alvaro di Beniamino Gigli) ed anche un po’ vuoto in zona centrale. Ma quando deve dire “assistimi Signor” è splendido e dolcissimo e la scelta preclude un attacco dolente e morbido  di “le minacce e i fieri accenti”. Va anche rilevato che talvolta in zona di passaggio le i e le e non suonano particolarmente gradevoli come se su quelle vocali l’operazione del passaggio fosse più difficile che su altre vocali. Quanto a varietà di accento e  fraseggio Masini stupisce ancora su “te lo giura un sacerdote” in morendo che precede un altro attacco dolente e trasognato su “sulla terra l’ho adorata”. A questo fanno da contraltare acuti facili e squillanti (che  primi acuti fossero uno dei pezzi forti di Masini è largamente documentato). Tagliabue è sempre nobile e mediamente irato. Ispirato nel fraseggio proprio no. Qualche volta alcuni acuti come  il fa di “abbandonasti” piuttosto che il mi di cimento suonano non facilissimi e non perfettamente a fuoco. Tagliabue si scalda alla chiusa con acuti facilissimi (il fa di “ti consacro al disonore”) e squillanti cui replica esplosivo ed altisonante il “un brando un brando” di Masini. Tempo velocissimo e mozzafiato alla stretta con Masini che sopravanza lo sfidante per ampiezza e “punta” al la nat conclusivo.

Morale e poi ci hanno detto che Masini era becero e verista.

Chi elegante, nobile e misurato oltre che esemplare per controllo e supporto tecnico fu per trent’anni è Francesco Merli. Solo Pertile gli è superiore per varietà di fraseggio, ma la saldezza del tenore milanese è unica e la riprova di un magistero tecnico assoluto risiede a mio vedere, come credo di aver detto altre volte, nell’incisione del terzetto dei Lombardi dove la mezza voce di Merli surclassa il timbro privilegiato di Beniamino Gigli.  Non per nulla al famoso concorso del 1914  Alessandro Bonci, cesenate, sentendo Merli, dopo Gigli, pare abbia commentato “soccia un altro”.

Al recitativo iniziale  il timbro ed il colore di Gino Vanelli (bergamasco e cantante che praticò pochissimo parti di baritono cosiddetto  drammatico) suona molto più chiaro di Tagliabue, misurato nell’accento e squillante negli acuti come il mi di “verserò” e il  successivo di  “è scritto”. Per altro quello che a noi sembra una rarità era la regola all’epoca (1929) di questa registrazione. Merli  passava per un cantante non troppo vario e personale ma basta il “fratello” con colore straziato e la possibilità di accentare “dicon che penitente è il cor” in virtù del controllo assoluto del suono per rendere discutibile la communis opinio. Analogo timbro straziato e controllo assoluto del suono in un altro topos ossia il “assistimi Signor”. Nella frase “le minacce i fieri accenti”  ci sono le frasi  “in preda ai venti” e la successiva “fronte al fato”, in zona del passaggio o di preparazione al medesimo dove il controllo  del suono è magistrale e per conseguenza il cantante accenta con dolore e strazio. Il punto più alto dell’esecuzione di Merli è la mezza voce di “sulla terra l’ho adorata” (dolcissimo prescrive Verdi) ammirevole in sé, stupefacente se pensiamo che Merli era un vero tenore di forza che riesce a salire con facilità estrema sino al si bem legando tutta la frase. Una simile esecuzione è la prova che solo il dominio della tecnica consente di essere interpreti. Detto per l’obbligo di replicare alla facezie spese nel quaresimal dedicato ad uno pseudo cantante come Vickers. Se poi consideriamo che in frasi che insistono  nella zona grave della voce Merli è egualmente facile, timbrato nella voce, scandito nell’accento l’assunto è vieppiù confermata l’opinione circa Vickers e tutti i suoi seguaci. Che l’epoca di Merli fosse per le voci maschili,anche in cantanti non di primaria carriera epoca di canto di scuola è confermato dall’accento incisivo e dal suono controllato con cui Vanelli attacca la propria sezione centrale “una suora mi lasciasti”. Alla chiusa oltre allo squillo ed alla penetrazione degli acuti di entrambi i contendenti è proprio il canto di Vanelli che colpisce positivamente per la misura e la potenza al tempo stesso di frasi come “no vigliacco non hai core” e “ti consacro al disonore” dove canta ed agisce un cavaliere. Oggi di cavalieri in armi e di cavalieri occultati dal saio ne vediamo e sentiamo pochi o nessuno.

 

 

Gli ascolti

Verdi – La Forza del Destino

Atto IV

Invano Alvaro…Le minacce, i fieri accenti

1929 – Francesco Merli, Gino Vanelli

1941 – Galliano Masini, Carlo Tagliabue

2 pensieri su ““Invano Alvaro…Le minacce e i fieri accenti”. Terza puntata: Francesco Merli e Galliano Masini.

  1. Condivido al 100 per 100 le considerazioni di Donzelli. Di mio aggiungo che Merli e’ stato un grandissimo tenore che non ha la notorieta’ che merita solo perche’ ha avuto la sfortuna di cantare in un periodo dominato da veri fuoriclasse. Per Vanelli vale quanto ho gia’ affermato in altro post per Inghilleri e cioe’ che oggi un cantante cosi’ sarebbe il numero uno sulla scena.

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