L’opera wagneriana più rappresentata nel mondo in questa stagione 2012-13, volta a celebrare il bicentenario della nascita di Wagner e Verdi, è certamente “Der Fliegende Hollaender”; ed il Regio di Torino l’ha opportunamente scelta per inaugurare la sua stagione affidandola alla bacchetta del Maestro Gianandrea Noseda ed alla regia di Willy Decker, già rodata e conosciuta soprattutto a Parigi dove nacque.
Si capiscono perfettamente le ragioni di tale scelta: “Il vascello fantasma”, a differenza di tutte le altre opere wagneriane, ha bisogno “solo” di quattro buoni cantanti e se, come in questo caso, si è scelta la revisione del 1860, il dramma si riduce dai tre atti iniziali ad un unico flusso musicale e drammaturgico, con il tema della redenzione che conclude sia l’Ouverture che il finale dell’opera; stringatezza questa che fa risparmiare certamente in termini di durata dello spettacolo e di corse al guardaroba.Possiamo dire anche che è l’opera wagneriana con la vocalità più tipicamente italiana, come se fosse facile oggi reperire in area tedesca quattro cantanti adatti al repertorio post belcantistico.
Davvero poco da dire sul lato vocale in presenza di una preparazione tecnica e interpretativa latitante da parte di un cast totalmente sottodimensionato: un Olandese (Mark Doss, di casa a Torino) ruvido e granuloso nel timbro, di emissione parecchio dura che perlomeno tenta un accento vagamente partecipe; un Daland (Steven Humes) talmente chiaro e stimbrato da sembrare un anziano tenore caratterista particolarmente in balia dei marosi di una emissione frastagliata più dei fiordi norvegesi e di una intonazione da mal di mare; un Erik (Stephen Gould, già mediocre Tristan e pessimo Siegfried) di estensione ed intonazione nulli, dal timbro gonfio e tecnicamente aggrappato con le unghie all’esile filo di una gola ribelle ad ogni modulazione; una Senta (Adrianne Pieczonka) liricissima dall’accento raggelante, dal carisma anemico, dalla partecipazione emotiva di spaventosa indifferenza, solo un’unghia più sensibile rispetto a Bayreuth, ed ho detto tutto, di voce vetrosa e stridula malferma nei pochi acuti che la parte richiede; una Mary (Claudia Nicole Bandera) ed un Pilota (Vicente Ombuena) che sembrano cantare sotto gli effetti di un raffreddamento stagionale.
Avrebbe meritato di più la concertazione del Maestro Gianandrea Noseda, il quale offre una visione analitica della partitura, immergendola in una dimensione da racconto gotico otto-novecentesco che vorrebbe ricordare nell’impostazione certi paurosi racconti marinareschi di William Hodgson.
Voluto, ad esempio, il tempo largo, ma privo di pesantezza, sostenuto, al contrario, da una narrazione che nulla toglie all’attenzione; e convince il risvolto cupo e pessimista dell’interpretazione.
Sonorità ovunque ombrose, che tolgono molto alle situazioni più borghesi o da commedia: la canzone del Pilota, il personaggio di Daland, le filatrici e la festa prima della catastrofe assumono un andamento quindi un po’ meccanico e insolitamente macabro oltre che bandistico.
A farne le spese è un po’ l’intonazione degli archi e degli ottoni, che a volte calano leggermente, ma sbavature di un’orchestra che anche in questa occasione si dimostra tra le migliori in Italia per compattezza ed espressività.
Eppure l’Ouverture diventa sorella gemella del monologo dell’Olandese, entrambi marcatamente svuotati di speranza, ma violenti sia nell’asperità degli archi, sia nelle note minacciose dei fiati; si carica di una tensione in crescendo la Ballata, filigranata in suoni più tenui, che montano ed esplodono nel finale quando richiamano nuovamente l’Ouverture, medesimo percorso anche il duetto Senta-Olandese nel quale non si cerca la confusione mentale, o lo sgomento, trasformandosi dunque in un momento di sospensione: quasi una scena di agnizione che il legato dei violini rende commovente aprendo finalmente uno squarcio di poesia nelle tenebre create tutt’ intorno; il finale diventa un concentrato di cinica disperazione accompagnato da un’orchestra in un fortissimo dalla drammaticità rassegnata, che soltanto il tema della redenzione con il suo aprirsi ad una catarsi dai colori più albeggianti riesce a contrastare.
Il pubblico della prima ha applaudito al termine per quattro-cinque minuti…In tempi normali con una bella Senta di sana e robusta costituzione fisica i quattro minuti di applausi sarebbero toccati a lei alla fine della ballata
Marianne Brandt
http://www.youtube.com/watch?v=1zgDe3R-EZc
Ero alla recita di domenica 21 e concordo con quanto detto da Marianna. Doss, il migliore in scena, era sovrastato dalla parte, la voce assai piccola, sonora solo nei centrali, i bassi erano ingolati e gli alti opachi, pur nella monotonia del suo canto ha cercato, a tratti, di dare vita ad un Olandese accorato. La Pieczonka dalla voce stretta, ridotta negli armonici, con gli acuti tendenti allo strillo, la sua Senta non mi è apparsa troppo lirica se non in forza di una mancanza di possibilità di colorare o modulare il canto, un fraseggio assolutamente insufficiente. Gould (Erik) era incredibile nella sua inadeguatezza, spinto, incapace di cantare una sola frase, stonato, ingolfato. La scelta del basso Humes (Daland) mi rimane assolutamente misteriosa..(?) Una voce anche bella in natura ma se si tratti un basso e non un baritono o un tenore, potremmo scoprirlo se studiasse…il canto era approssimativo, tutto in bocca eccetto i bassi in gola :), insomma, difficile da definire se non con la parola amatoriale. Alla voce minuscola, forzata e strozzata dello Steuermann ben si adegua una Mary tutta spoggiata ed inudibile. Il coro, a parte un paio di attacchi iniziali, ha risposto bene alla bacchetta del maestro, un po’ meno la sezione femminile…. Lo spettacolo era essenziale, per nulla didascalico, chiaro e coerente nel mettere in scena le fantasie di Senta, esattamente come Erik le descrive nel secondo atto. Le scene amplificavano le soluzioni simboliche e la visione “onirica”, direi che mi è piaciuto abbastanza. Sull’orchestra convengo con quanto detto nell’articolo. Il maestro Noseda , nonostante la sua bravura, è riuscito ad alleviare solo in minima parte la delusione e il disappunto per tanto sfacelo canoro.
Una nota personale : il viaggio è stato tutto compensato dal piacere di condividere lo spettacolo con alcuni amici del CdG :):)
Ero anche io domenica 21 al Teatro Regio, e condivido al 100% quanto gia’ scritto da Marianne e Olivia,voglion aggiungeren soltanto una considerazione di ” colore”: come ha scritto Olivia nella chat , puoi avere una buona orchestra, una buona regia ma se non hai in cantanti giusti, l’opera non e’ tale. io aggiungerei che tale inadeguatezza rende evidenti alcune incongruenze: l’0landese e’ descitto pallido e compare Doss che pare Otello, il cacciatore Erik si presume almeno un po’ prestante e compare Gould che sembra uscito da una visita dall’ortopedico…