D’estremi palpiti

La più recente edizione del Rossini Opera Festival si è conclusa con un’esecuzione in forma di concerto di Tancredi, titolo che per communis opinio inaugura la maturità compositiva del Pesarese. In forza del medesimo pensiero dominante (per non dire unico) un’opera come Ciro in Babilonia, andata in scena meno di un anno prima del debutto di Tancredi, viene giudicata povera di interesse drammaturgico quanto musicale. A smentire l’assioma provvede lo stesso autore, che rielabora nel Tancredi ben due numeri musicali provenienti dal Ciro (coro dell’orgia, mutato in festa nuziale, e cantabile della scena conclusiva del protagonista, confluito nel rondò “E’ questa la fede”, che si ascolta nella versione veneziana dell’opera tratta da Voltaire).

Siamo dell’avviso, e non è la prima volta che abbiamo occasione di esporlo (da anziani quali siamo, ormai ci ripetiamo e ne chiediamo scusa), che le scelte di programmazione, massime se festivaliere, debbano essere rispettose degli scopi statutari e non possano prescindere da un’attenta ed esaustiva valutazione delle risorse disponibili. Detta altrimenti: un’opera come Tancredi, sottratto all’oblio da almeno trent’anni (con riferimento al finale tragico, perché se si prende in considerazione l’opera nel suo complesso, gli anni salgono a più di quaranta e sfiorano il mezzo secolo) e di fatto presente nelle stagioni ordinarie dei teatri d’opera, se non in misura cospicua, per lo meno congrua rispetto ad altri titoli del catalogo rossiniano, dovrebbe essere ripresa a Pesaro soltanto in presenza di nuove scoperte testuali, che consentissero di ricostruire e quindi di riproporre al pubblico, vuoi la versione di Giuditta Pasta, vuoi quella di Isabella Colbran o ancora quella di Giambattista Velluti. E queste esecuzioni potrebbero avvenire, ovviamente, solo in presenza di interpreti capaci di onorare la scrittura rossiniana e le aggiunte, con cui i maggiori interpreti coevi si sentivano in dovere d’integrare una parte, che non si può annoverare tra le più complesse uscite dalla penna del suo autore. Basti pensare, per ogni opportuno confronto, alle parti di contralto delle opere napoletane, a Falliero o all’Arsace di Semiramide, per rendersi conto di come Tancredi, di scrittura marcatamente centrale e parcamente fiorita, sia di fatto un pretesto e un invito per variazioni, integrazioni, sostituzioni e insomma per l’uso (e in certa misura anche l’abuso) di tutte le prerogative del divo operistico nei confronti di uno spartito.

In difetto di quanto sopra esposto si può anche allestire Tancredi, ma non si avrà una celebrazione dello spirito e del genio rossiniano. Al massimo un’autocelebrazione, una di quelle che a tratti richiamano le cerimonie di commemorazione e gli omaggi alla memoria, spesso analogamente tardivi e sterili. Come dimostra l’audio del Tancredi pesarese 2012, che Youtube, prontamente subentrato alla canonica Sorella Radio, ha provveduto a divulgare, per l’edificazione degli assenti e il tripudio di coloro (professionisti o amatori) che asseriscono che “Rossini non si è mai cantato così”. Per l’appunto, verrebbe da rispondere.

E allora ascoltiamo le supposte meraviglie pesaresi, ma riflettiamo e ricordiamo in primo luogo a noi stessi, che Tancredi è titolo che molte interpreti delle generazioni precedenti l’attuale e benedetta dal Festival come santa e ultrice (nel senso del rigore filologico, ovviamente), hanno mantenuto in repertorio per anni, anche in forza delle possibilità offerte da una scrittura ampiamente suscettibile di modifiche e alterazioni. I famosi raggiusti, che servono o almeno dovrebbero servire a porre in evidenza i pregi dell’esecutore, mettendone al tempo stesso tra parentesi, per quanto possibile, i difetti e le imperfezioni. E allora abbiamo pensato di confrontare questo Tancredi, protagoniste la massima esecutrice rossiniana oggi in carriera (così la vulgata delle riviste settoriali) e una giovane promessa proveniente dall’Accademia pesarese, con le più tardive registrazioni di alcune cantanti del recente passato. Una delle quali ancora attiva, peraltro, e proprio quest’anno coinvolta dal festival marchigiano in un tardivo atto di riparazione, che se artisticamente ha sortito effetti tutt’altro che felici e peraltro ampiamente prevedibili, ha al tempo stesso ribadito, non solo a livello simbolico, l’assenza di un autentico ricambio generazionale per quanto attiene la corda di contralto rossiniano.

Precisiamo che per quanto concerne Lucia Valentini Terrani, che fu Tancredi in un numero ridotto di occasioni, abbiamo volutamente evitato l’ultima registrazione disponibile, relativa alle recite pesaresi del 1991 (tanto per rimanere in tema di celebrazioni tardive). Già sei anni prima al Regio di Torino, accanto all’esuberante e dolcissima Amenaide di Gianna Rolandi, la scarsa tenuta del legato in zona centrale, ove compaiono suoni spoggiati e stonacchianti ad es. nella cabaletta della sortita, le agilità farfugliate al duetto con Argirio (peraltro scorciato del da capo nella sezione conclusiva) e quelle se possibile ancora più precarie del rondò sono eloquenti indizi di una vocalità che solo in presenza di un atto, più che meramente devozionale, di autentica fede, si può considerare rossiniana. E preciso che non sappiamo come cantasse Adelaide Malanotte, creatrice del ruolo, ma possediamo la descrizione di Scudo relativa alla voce di Marietta Alboni. Assoluta omogeneità, coloratura liquida e sgranata, capacità di accentare in maniera vigorosa e assoluta aderenza alle esigenze del canto patetico: queste le caratteristiche del grande interprete rossiniano che ritroviamo nelle pagine dei commentatori ottocenteschi e più ancora nel canto delle grandi esecutrici documentate dal disco. In riferimento al titolo considerato, la più completa ed esemplare è sicuramente Marilyn Horne, che a cinquantacinque anni di età, trentacinque di carriera e dodici dal debutto nel titolo (Houston 1977) sfoggia, se non perfezione assolta (occasionali stonature compaiono in zona centrale nei momenti di canto a mezzavoce come alla chiusa di “Ah che scordar non so”), estrema sicurezza nei passi di agilità (convenientemente rinfoltiti specie al rondò), acuti saldi almeno fino al sol4 e soprattutto grande facilità nel legato e assoluta proprietà d’accento, che anche nei momenti più intensamente drammatici non intacca la posizione e di conseguenza la proiezione del suono. Si ascolti ad esempio nell’ultimo recitativo “vanne infedel, morto è per te Tancredi”, che insiste sul passaggio si3-do4 (posto tra il registro centrale e quello che prepara gli acuti e quindi ottima cartina di tornasole per il corretto posizionamento della voce) e che la Horne provvede, come in altri passaggi declamati di particolare rilievo, a sottolineare con una puntatura, in questo caso al fa4. In questa continua ricerca dei cosiddetti “accenti nascosti”, consustanziali alla musica e all’arte rossiniana, la Horne è nelle recite di Chicago perfettamente assecondata dall’Amenaide di Lella Cuberli, che nel recitativo del primo duetto rende le parole “ah quei tempi cangiaro” con messa di voce e più ancora accento di autentico patetismo, in tutt’altro repertorio non indegno di una Muzio o di un’Olivero. Tanto per precisare, se fosse necessario, come l’espressione non sia un’alternativa alla corretta esecuzione di quanto prescritto dall’autore, ma una necessaria conseguenza della stessa.

Quanto alle altre interpreti, si possono apprezzare il timbro ancora pregevole di Carmen Gonzales, almeno nei momenti in cui canta piano e pianissimo come nel recitativo della sortita (altrove i postumi dei cimenti verdiani della signora risultano ben altrimenti onerosi) o la spregiudicatezza con cui Ewa Podles si lancia nella coloratura di forza e ricorre alla possanza di un registro grave tanto peculiare quanto del tutto scardinato da una voce che resta di mezzosoprano acuto, penalizzata da un centro poco sonoro o comunque non all’altezza delle zone estreme, ma la completezza del ritratto vocale che emerge dalle ultime recite della signora di Bradford rimane senza eguali nella discografia ufficiale e ufficiosa e costituisce la più eloquente risposta a quanti ricercano o affermano di ricercare, nelle voci gravi femminili, le urla inconsulte, lo sforzo inumano e la frattura dei registri, che sarebbero la vera sigla delle voci di autentico contralto. La voce della Horne (che in natura non poteva vantare il timbro aureo di una Verrett o la potenza strumentale di una Stignani) è tutta “fuori”, capace di cantare piano e di eseguire i passaggi di canto fiorito a ogni altezza, e anche nella decadenza la cantante dimostra un assoluto controllo dei propri mezzi, oltre che una perfetta coscienza dei propri limiti. Solo al momento di esibirsi in palcoscenico, però, perché alcune scelte di carriera, prima fra tutte un’improvvida Amneris salisburghese, indurrebbero a riflessioni di tutt’altro tenore.

 

Gli ascolti

Rossini – Tancredi

Atto I

O patria…Tu che accendi…Di tanti palpitiLucia Valentini Terrani (1985), Carmen Gonzales (1987), Marilyn Horne (1989), Ewa Podles (2009)

O qual scegliesti terribil ora…L’aura che intorno spiriLucia Valentini Terrani e Gianna Rolandi (1985), Carmen Gonzales e Nelly Miricioiu (1987), Marilyn Horne e Lella Cuberli (1989), Ewa Podles e Amanda Forsythe (2009)

Atto II

M’abbraccia, Argirio…Ah se de’ mali miei…Il vivo lampoLucia Valentini Terrani e Dalmacio Gonzales (1985), Carmen Gonzales e Raul Gimenez (1987), Marilyn Horne e Chris Merritt (1989), Ewa Podles e Yegishe Manucharyan (2009)

Fiero incontro…Lasciami! non t’ascoltoLucia Valentini Terrani e Gianna Rolandi (1985), Carmen Gonzales e Nelly Miricioiu (1987), Marilyn Horne e Lella Cuberli (1989), Ewa Podles e Amanda Forsythe (2009)

Dove son io?…Ah che scordar non soLucia Valentini Terrani (1985), Carmen Gonzales (1987), Marilyn Horne (1989), Ewa Podles (2009)

Ecco, amici, Tancredi…Perché turbar la calmaLucia Valentini Terrani (1985), Carmen Gonzales (1987), Marilyn Horne (1989), Ewa Podles (2009)

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17 pensieri su “D’estremi palpiti

  1. Bell’articolo e ascolti interessantissimi. Trovo la Terrani dell’85 una delle migliori Tancredi che abbia mai ascoltato, la sentii anche dal vivo…e pensare che all’inizio (forse neanche con tutti i torti) non voleva nemmeno cantarlo! La Horne mi piace moltissimo, ma-non me ne vogliano, è una cantante strepitosa-la preferisco in altro. La trovo un po’ troppo “vezzosa”, femminile. La Podles, ascoltata ed ammirata nel Ciro (come molti han detto omaggio alla carriera, la struttura in realtà inizia a dare sintomi di cedimento), invece mi piace moltissimo, bel colore, profondo, virile, e ottimo controllo vocale.
    Sulla Barcellona dico che innanzitutto a parer mio è troppo alta per la parte, viaggia molto di più verso il mezzo, rispetto alla altre, di conseguenza, come si è già detto, apre moltissimo nei suoni gravi, perchè il detto registro lei lo possiede poco, producendo suoni a caso, sostituendo le parole con serie di vocali, stile Caballè, ma molto meno di classe 😉
    Va detto che secondo me Tancredi, è un’opera (maturità di Rossini o meno) decisamente tendente al repertorio serio (se si pensa alle altre “serie” di Rossini), ed è tra le più difficili da cantare (anche se non possiede le agilità mozzafiato del comico, ne possiede altre)e anche la vocalità richiesta cambia, Tancredi va interpretato da un puro contralto, e di conseguenza la Barcellona non potrebbe (ne dovrebbe) farlo. Ma si sa, basta portare a casa gli applausi dei fans e va bene tutto…
    Cordiali Saluti

    • Insomma, l’anno scorso dopo l’Adelaide qualcuno scrisse che la parte di Ottone era troppo alta per la Barcellona, ora leggo che Tancredi (come già il Malcolm scaligero) è troppo basso e la cantante triestina regge meglio le tessiture da mezzo acuto… non sarà che, semplicemente, la signora è ormai al capolinea?

  2. Ben più del mero dato timbrico, che risulta piuttosto trasfigurato da una emissione problematica, la Gonzales lascia intravedere una dote naturale cospicua, mi pare una voce opulenta di vero mezzosoprano come quelle d’una volta, però, caspita, vocalmente ne fa di tutti i colori, la posizione è tutta sballata…

  3. O l’articolo è un po’ confuso, o io non ne capisco bene il senso , ma sono perplesso e meravigliato nel leggere che Lucia Valentini Terrani (da me ascoltata innumerevoli volte dal vivo) non era una vera cantante rossiniana e “farfugliava” le agilità (definizione scopiazzata da Celletti il quale , se ben ricordo, però si riferiva alla Ricciarelli e non certo alla Valentini che riteneva una grande esecutrice del repertorio rossiniano). Se ho capito male mi scuso e attendo chiarimenti (possibilmente in tono amichevole e non isterico…)

    • L’articolo può essere confuso e di ciò mi scuso (e anche della rima involontaria), ma invito ad ascoltare le agilità della Valentini (e della Barcellona, che tecnicamente è figlia, certo meno dotata sotto il profilo del fascino timbrico, della suddetta) e a confrontarle con quelle della Horne e anche della Podles (non tiro in ballo la solita Stignani nei panni di Rosina o Arsace per non essere noioso). Rispetto le opinioni di Celletti, ma mi fido di più delle mie orecchie.

      • Tambu, potresti spiegarmi cosa vuol dire che “la Barcellona è tecnicalmente figlia della Terrani”? Non ho capito il senso, se intendi che ha la stessa tecnica, la stessa bravura (?), la stessa impostazione vocale o altro…Scusa se ti facciamo lavorare il doppio 😉

          • Allora non sono d’accordo per niente. Il paragone Valentini Terrani-Barcellona (e parlo anche delle dette carenze, altri punti lontanamente in comune non li vedo) è molto molto stretto, se non inesatto. La Valentini, comunque aveva un gran timbro, era un vero contralto e, nel suo periodo d’oro (periodo sconosciuto invece per la Barcellona, che ormai non è proprio una giovinetta) le agilità le affrontava eccome, e anche con risultati più che ammirabili! la Barcellona farfuglia vocali a caso, si perde nelle volate e gli acuti li raggiunge urlandoli e spesso steccando sul finale, quando acuto e diventanto inudibile nei gravi; insomma, un disastro. I “difetti” della Valentini non sono quindi minimamente paragonabili a quelli della Barcellona, che di fatto, non sa cantare. Se avete mai riscontrato l’improponibile tecnica (se così si può definire) superficiale della Barcellona nella Valentini ditemelo, devo essere malinformato! Ma prego altresì di fornirmi prove, perchè io (che l’ho seguita, come molti di voi, per grandissima parte della sua carriera) non ho mai riscontrato queste “carenze alla Barcellona”. Se vogliamo parlare di difetti strutturali è vero, anche la Valentini li aveva, ma ripeto, non sono quella della Barcellona.
            Cordiali Saluti

          • Stefix, stavolta sono io che chiedo lumi: puoi fornire un esempio di mirabile canto di agilità da parte della Valentini? anche nel “periodo d’oro”, che debbo peraltro ritenere si fosse già esaurito all’epoca del Tancredi torinese, perché quel rondò si può definire in molti modi (alcuni dei quali non riferibili in pubblico), ma certo non mirabile…
            Che poi la Barcellona abbia fatto anche di peggio, nessuno lo discute. Ma ascoltando dove metteva la voce la Valentini e dove la mette (o tenta di metterla) la Barcellona, il suono sempre e costantemente ingolfato (o come altri ebbe a dire con bella metafora, incravattato), i fiati corti, le agilità faticose, il registro grave pompato in modo a tratti caricaturale (con conseguente sbilanciamento del centro e degli acuti)… le somiglianze tra le due cantanti mi sembrano molte e non trascurabili.

    • caro billy budd
      anche io ho ascoltato la terrani molte volte dal vivo, prima e dopo l’arsace di torino. utilizzo questo limite temporale perchè da quel momento in poi la terrani credendo in foje realiste, che nulla hanno a che spartire con il canto rossiniano, comincio a gonfiare centri e gravi con il risultato che la voce presto si accorciò (non era mai stata estesissima e soprattutto in alto, come molti cantanti rossiniani ci arrivava in vocalizzo ossia in volata) e il controlla dei piani e dei pianissimi, abbondanti è vero divenne difficoltoso. E poi l avera ornamentazione rosssiniana a partire dalla corretta esecuzione dei trilli (che la horne apprese progressivamente e che era, invece, spontanea nella meno dotata dupuy)a seguire con terzine e quartine ad ogni esibizione era vieppiù faticosa. Il Tancredi del 1985 ritrae una cantante di 39 anni, ovvero dell’età in cui la horne debuttò in scala che non riesce ad eseguire il da capo del vivo lampo e del rondo, tacciamo certe italiane o cenerentole del 1991 e la cantanta ne aveva 45…….. e la difficoltà a sostenere il suono, che non era certo più quello della debuttante terrani, era penosamente evidente.

  4. Sappiamo tutti che sul finire di carriera la Valentini fu funestata da dolorosissimi problemi di salute (noto di volata che l’incapacità di eseguire i trilli e i problemi di salute della Cerquetti trovano, in alcuni di voi, molta più comprensione…..) e mi limito a considerare improponibile l’eventuale figliazione della Barcellona dalla Valentini. Una volta tanto che possiamo parlare di ascolti effettuati nella realtà della rappresentazione scenica e non di paragoni fra cantanti in attività e preziosi per quanto (probabilmente) fuorvianti cimeli storici, mi chiedo cosa c’entrino le agilità “spianate”, il fraseggio scolastico, il pressapochismo stilistico della Barcellona con quello della Valentini! (che, è vero, a un certo punto iniziò a gonfiare i suoni in basso e a forzare gli acuti. Ma ve li ricordate o no certi suoi Rondò della Cenerentola con il pubblico in delirio? e la sua Marina del Boris???) A furia di fare di ogni erba un fascio si finirà col dare ragione ai vostri detrattori . Consiglierei un po’ più di cautela.

  5. nel 1982 la signora terrani godeva, mi risulta di ottima salute e vigoria fisica. Pertanto le scuse lasciamole per un’altra epoca della carriera e dell’esistenza terrena della cantante.
    E siccome mi parli di ascolti diretti dal debutto scaligero e sino ad una cenerentola del 1991 ( quindi circa tre lustri) la terrani l’ho sentita tanto.
    Se dobbiamo proseguire nella disamina tecnica ed utilizzare i “cimeli” l’uso del registro grave di uno dei più amati cimeli quali eugenia mantelli (che, oltre tutto cantava verdi e wagner in spazi come il vecchio met) suono in altro modo ed in “altra posizione”
    Mi permetto una chiosa: hai chiesto un commento sereno. Credo di avertelo dato, ma pensi che sia del medesimo tenore il tuo? Il canto rossiniano è una ginnastica difficile ed ardua che richiede due elementi uno il costante esercizio ed a monte un controllo tecnico e del fiato assoluto. Sul mare non ho dubbi, perchè la terrani godeva di fama di cantante studiosa e preparata ( che, però non sono sinonimo di allenata) sul monte i dubbi sono, invece, moltissimi. All’inizio di carriera, ossia sin tanto che cantò ruoli da mezzo non si sentivano, poi arrivarano inesorabili al pettine. Questo piaccia o non piaccia, stimata o non che sia la cantante. Si tratta soltanto di orecchio ed onestà.
    Quanto al non sapere eseguire i trilli. In verdi è un limite in rossini è come correre alle olimpiadi e non alle paraolimpiadi i 100 metri senza le gambe
    ciao dd

  6. Risposta per Antonio:
    Beh, per esempio nel Maometto II al rof ha dato prova di grande agilità, l’aria “Non temer, d’un basso affetto” non è di certo facile! E (anche se propriamente non un ruolo così di rilievo in quanto a virtuosismo) nella Melibea del Viaggio. Oppure anche nelle Cenerentole precedenti, negli anni ’70 (specifico, sulla detta opera parlo a testimonianze ed ascolti, perchè avevo circa 10 anni) dove affrontava la parte di Angelina (sopratutto nel rondò finale) con una bravura davvero notevole. E tu Antonio hai ragione a elencare tutti quei difetti sopra, ma tu non conti che nella Valentini si son visti (perchè è vero, c’erano) dalla metà fino alla fine della sua carriera, la Barcellona quei difetti li ha (e anche in forma maggiore e decisamente più evidenti) da quando ha messo piede sul palco! E obbiettivamente, prova a comparare (sentento i fantomatici difetti) la Cenerentola della Valentini con quella della Barcellona, anche solo il finale, bastano tre note per sentire che le carenze della Valentini se vuoi ci sono, ma nella Barcellona saltano fuori in maniera del tutto fastidiosa.
    Cordiali Saluti

    • Mah… nel Maometto è già vocalmente molto in imbarazzo… e pure nel Viaggio. A parte gli acuti fibrosi, forzati, calanti, la cosa più fastidiosa risulta la bruttezza del registro grave, sordo, opaco e ingolatissimo.

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