Sorella radio: Don Giovanni alla Scala, serata inaugurale.

Dopo cotanta messe di commenti, quasi tutti negativi, che potete leggere sotto al nostro “risotto” a suggello del superflop d’autore che ha inaugurato la nuova stagione scaligera 2011-12 posso solo chiosare l’evidenza dei fatti.
Cominciamo dalle più alte sfere.
Il signor Carsen ha sposato con decisione la retorica dell’omaggio alla Scala ed alle maestranze condita con parecchio déjà vu per questo secondo inutile Don Giovanni scaligero dell’era Lissner. Secondo, ci tengo a dirlo, perché di titolazioni seconde quest’anno ne vedremo anche altre, in omaggio allo sforzo dell’ingegno usato a stilare stagioni originali e degne di cotanto lussuoso e peraltro dispendioso bazar operistico. Sino agli anni cinquanta, quando le stagioni si componevano di scelte volute dai direttori musicali e, soprattutto, dalle ragioni di cast che fornivano occasioni ai grandi cantanti di esibirsi nei loro ruoli di elezione. Era l’epoca del cantante d’opera dominatore assoluto del palco e del mondo della lirica, tutto gli ruotava intorno, mentre oggi i cantanti contano meno delle maestranze operaie, e vanno in scia, come fanalini di coda dell’opera, alle dittature dei registi e delle bacchette:  siffatta monotonia ed assenza di fantasia evidente nel cartellone scaligero è fatto preoccupante e desolante assai, soprattutto immotivato. Non ci sono più gli “artisti”, e nemmeno cantanti degni di essere chiamati tali ( e se ci sono, costituiscono eccezioni isolate e sporadiche, estrenee al meccanismo dello star system ) che giustifichino tanta monotonia. Basta questo dato è già la retorica della “cultura” suona come vuota ciarla spesa al fine di raccattare denaro pubblico che non c’è per mantenere dispendiosi carrozzoni come questa produzione di star system. Il lusso e lo sfarzo inutili, perché di questo parliamo, costano e da sempre.
Ad ogni buon conto, eccoci al secondo Don Giovanni scaligero a firma Carsen – Barenboim. Secondo aspettativa, quando il vuoto delle idee regna sovrano nella sala, la retorica trionfa. Demagogia con un filo di populismo, mescolate a scopiazzature smaccate che tanto valeva trasformare in più oneste dichiarate citazioni letterali in omaggio a questo o a quello, mentre ci ha scontato la provocazione gratuita ( il deretano lati A e B della signorina nuda al secondo atto lo collochiamo nel déjà vu trito e ritrito…tutto sommato anche garbato, dato che non c’era nemmeno la fellatio di prammatica  etc….). Il signor Carsen ha citato a man bassa: da Martone in Cavalleria, come il mio giovane amico Mancini ha rilevato, alla scena della maschere pedissequamente tratta dall’Eyes wide shut di Kubrick, all’uso a tutto campo dello spazio della sala, con qualche atmosfera da opera comica più che da melodramma tragico, Elvira alla finestra sulla quinta, more Rossini di Ponnelle, alla sequenza di quinte teatrali in prospettiva centrale che dai Bibiena a Necrosious abbiamo arcistravisto, per non parlare della sottoveste, già di Mussbach, di Donna Anna, peraltro felicemente nel lettone con Don Giovanni alla maniera di Luca Ronconi, e l’arrivo di Donna Elvira a piedi e non più in lambretta, come da Linate nei giorni di blocco del traffico, ma con domestica al seguito che trascina un twin di trolley; lo spettacolo disperso inutilmente nella sala, dal palco reale alla platea, anche qui more Ronconi negli ultimi trent’anni. Gli uomini si vestono e svestono al proscenio, come un milione di volte dalla Scala allo Sferisterio, donna Anna come Jackie Kennedy ed altro fritto e rifritto spacciato per nuovo e per cultura. Personalmente lo chiamo prendere in giro la gente, credendoci tutti scemi, senza memoria e per la prima volta in un teatro, come nel nostro primo Don Giovanni, per produrre qualcosa che al testo nno ha saputo dare niente né di nuovo né di utile alla serata. La tv dal canto suo rimanda ed amplifica, con le interviste ed i servizi da “prima”, la banalità del pensiero del regista ( meglio non dir nulla a volte ), i commenti vuoti o di facciata dei “famosi” presenti alla serata, contribuendo a rendere tutto posticcio, falsamente colto, insomma, a monumentalizzare la banalità di quello che siamo diventati nel fare teatro.

Il maestro Barenboim, ex genio, ex fanciullo prodigio, eclettico e vitale musicista, artista intelligente, un po’ demagogo e parecchio commerciante, architetto di legami internazionali per il teatro milanese, ha portato su di sé il peso della serata e si è trovato da solo a tentare di supplire al vuoto artistico di massa della produzione. Ma le colpe sono essenzialmente sue, come i meriti del resto. Ha diretto a tratti e concertato poco con gli altri del cast, o forse non abbastanza, con idee talora inadeguate al canto ( certe lentezze stroncanti per questi cantanti modesti e pieni di problemi, dal protagonista con poca voce, all’elvira dissestata etc..) , talora pessime ( terribile il fracasso del concertato primo …), talora poetiche, come tutta la prima scena iniziale. In generale, ha composto un cast del tipo Scalamix, ossia un po’ di stars e un po’ di Unter den Linden, assortendo una compagnia di cantanti modesti se non pessimi, con lacune tecniche anche gravi per un ‘opera che ha assoluta necessità di grandi e capaci professionisti, per ritrovarsi a dirigere un gruppo dove ( non mi è mai capitato nella vita ) nessuno del cast è stato in grado di non stonare in più di un’occasione nella sera. Per tutti, quell’agghiacciante “Al desio di chi t’adora” finale, un capolavoro da perle nere stinchelliane, perché pareva di sentire un ensemble di usci cigolanti più che di voci. Star! Le star che non intonano il finale di Don Giovanni! Il maestro è stato accusato di lentezza eccessiva, anche apertis verbis ad inizio atto II. Personalmente, lo trovato soprattutto noioso, piatto, anche fracassone, ma non troppo lento. La verità è che ogni velocità occorre saperla sostenere, si può anche essere lentissimi. Lo stacco di “Giovinette che fate all’amore”, ad esempio era bellissimo, ma poi l’orchestra diventava subito greve, pesante, come nella seconda parte del catalogo di Leporello. L’entrata di Elvira era troppo lenta per le condizioni vocali della signora Frittoli, ma soprattutto mancava di vero nerbo, mentre il tempo e l’atmosfera della prima aria di don Ottavio erano magici, entrea il cantante era inascoltabile ed ha distrutto ogni effetto prodotto dal maestro. Idem il quartetto, cantato in modo devastante. Quando ha fatto, i cantanti hanno distrutto. Quando non ha fatto, beh, allora sono stati i clangori, mi ripeto del finale I, come la grande scena tragica della cena, dove ha pure spazzato via le vocine poco sonore di Mattei e Youn.  Il genio era genio, ma ora è stanco, gli apprendistati presso Furtwaengler o Klemperer persi nella notte dei tempi e della memoria, perché il loro rigore, la loro fantasia, il loro concertare è altro da questo suo fare. Parla benissimo il maestro, ma non ha la forza ( e forse l’amore e la conoscenza del canto ) per rompere le regole del meccanismo delle star, per scegliere fuori dal gioco quanto è meglio per realizzare quanto ha in testa. Ed anche lui ne ha fatto le spese ieri sera, anzi, solo lui mi pare di aver capito. La lamentela del maestro, che è inutile venire a teatro per gridare, la riteniamo rivolta al suo cast. Diversamente il maestro sarebbe anche lui uno di quelli che ormai, staccato dalla realtà del lavoro, pretende di essere applaudito, lo esige, dimentico che il pubblico va rispettato e l’autore onorato. Furtwaengler, ben diversamente da Barenboim, il cast di ieri sera lo avrebbe protestato per intero!

Il cast vocale aveva sulla carta la zeppa di presentare sia nei reparti femminili che maschili voci identiche per timbro, colore, spessore drammatico. Sono espressamente diverse per carattere e vocalità le tre donne, e ci siamo ritrovati con tre Zerline. Don Giovanni non è il suo servo e nemmeno Masetto, eppure si confondevano tra loro. Solo il dispiegamento di una marea di zeppe vocali consentiva di riconoscerli e distinguerli, il che ci dice già tutto.
La diva più pagata e celebrata al mondo pare abbia espressamente voluto Donna Anna per questa sua apparizione milanese. Bene! La storia del teatro lirico dell’ultimo ventennio, quello che ci ha portato ad affidare a soprani di coloratura questa parte semplicemente perché le contemporanee voci di grande tonnellaggio erano troppo scadenti in acuto e nell’agilità, ha portato in scena nei panni della matronale donna Anna la Gruberova e la Devia. Insufficienti sul piano drammatico per forza di cose, impossibilitate ad accentare con facilità, hanno esibito una saldezza vocale, una perizia tecnica, una puntualità nella coloratura sconosciute alla diva Anja ieri sera. Era la sola voce del cast, sonora a ampia, sulla carta era in regola per piacere. Eppure non è stato unanimemente così, perché non più solo i sopracuti ma anche gli acuti sono andati a ramengo, nel centro e nei gravi canta aperto e sguaiato, gettando alle ortiche i recitativi e con loro l’aplomb nobile ed austero del suo personaggio. Le viene meglio “Or sai che l’onore” del rondò, perché  “buttarla fuori” ( la voce ) le è più facile che arrampicarsi in alto nel canto aereo e cantare d’agilità. Ha messo tutta la sua forza per essere sdegnata nella prima scena, ma il recitativo era sguaiato, come tutta la scena iniziale, i primi acuti dell’aria calanti. Si è ben ripresa nelle frasi centrali ma alla chiusa, stravolta, ha perso di nuovo l’intonazione. E’ stata la cosa migliore della serata sul piano del canto, ma poco, troppo poco per una supercyber diva come lei. Nella seconda scena ha mostrato la corda, rompendo prima il piano del recitativo, salendo in alto con i denti e calando le note tenute, cantando in modo scolastico le frasi “ Forse forse il cielo un giorno”, le agilità lente e pesanti, prese di fiato abusive, i picchettati da principiante. Nemmeno negli ensemble si è imposta, né ha saputo svettare come si conviene a ruolo e diva, il suono artefatto al centro, ora scurito in modo innaturale ora schiacciato, la dizione poco chiara. Troppo poco per una diva come lei, troppo poco…..
Barbara Frittoli si è arrabattata alla bell’è meglio in condizioni vocali disastrose. La voce verdiana ( santo cielo! ) della Scala di Muti, Leonora, Valois, Aida annunciata e mai eseguita, ha lo spessore di una Zerlinetta minimal. Non può salire oltre il passaggio, al centro oscilla, sotto nemmeno ci và se non nel modo imbarazzante esibito nell’entrata. Le stonature, i cali nella scena delle maschere, nel finale etc sono stati continui e non parlo dei recitativi, sguaiati e volgari come la Frittoli assolutamente non è. A sua discolpa solo le inadeguatezze dei tempi lenti di Barenboim, che avrebbe dovuto fornirle un certo soccorso anziché metterla in affanno in quel modo, soprattutto in zona grave nell’entrata. Ma la seconda scena, che doveva essere alla sua portata, è stata una serie di falsettini, suonini, cigolii non all’altezza di questa cantante.
La signora Prohaska è stata tutta presa dal “fare la maniera” del suo personaggio, a cospargerlo di melassa e tedescaggini, eseguite con una modesta vocina fissa e calante. Il suo “Vedrai carino “un monumento di fissità, intonazione imperfetta, stucchevolezza e…noia, meglio forse il “Batti batti “ ma… Ci serve importare questi cantanti dall’estero? Non ne abbiamo di migliori sul mercato ?

Archivio immediatamente il caso Filianoti: ha avuto la sua riparazione dal teatro per l’affaire Don Carlo ma non so se andare in televisione in queste condizioni, che è inutile descrivere, abbia giovato alla sua carriera. Quanto a noi, noi del pubblico, così la pensiamo: la sua scelta su Don Carlo era sbagliata all’epoca, oggi è stata indecorosa la sua prova riparatoria in Don Ottavio. Un contraltino che non ce la fa su un fa acuto…! La cattiva esecuzione delle arie, piene di stonature e suoni strozzati si è accompagnata a momenti spaventevoli come “ Tergi il pianto o vita mia ”, sino al finale di cui vi ho parlato. E’ stato il pubblico, in realtà, che ha riparato al comportamento del teatro applaudendo il tenore italiano ieri sera e non chi all’epoca ha sbagliato umanamente nei suoi confronti. E vorrei ricordare che di cantanti offesi e maltrattati dalla Scala, anche per ragioni incomprensibili e diverse da Filianoti, ve ne sono anche altri, che però non hanno ottenuto pari scuse, forse perché, più dignitosamente e compostamente, non hanno fatto certi show su giornali e in piazza. Noi non scordiamo……
Il signor Mattei è stato la parte migliore del reparto maschile. Migliore, ma non un gran chè. La voce ha pochi armonici, non gira gli acuti come si dovrebbe, e canta con tanta fibra. Il mezzo, limitato e poco sonoro, è gestito con buona misura, ma il canto non è piacevole perché lega poco, strascica il suono da una nota all’altra, dà frequentemente di naso con tanti portamenti con cui vorrebbe supplire il poco legato da assenza di fiato; in taluni casi anche insistito in certe fissità di tipo baroccaro. La voce modesta è venuta fuori nel “Fin che han dal vino” staccato con una bella energia da Barenboim ma poi subito pestato con troppa violenza per questa voce modesta, che si è ritrovata a gridare ed “abbaiare” coll’andare del pezzo. Idem nel grande finale della cena. La radio è stata poi matrigna per la sua serenata, con quei falsettacci orribili della ripresa, che pare ( e spero! ) in teatro fossero assai meglio. Questi cantanti hanno modelli modesti: Mattei pareva un’imitazione di Wixell più che di Fischer Dieskau, per certe legnosità timbriche, pronunciava anche, ma la maniera del suo canto e della sua gestione dei recitativi era di una tedescaggine che non mi piace per nulla.
Pessimo il Leporello di Bryn Terfel. La sua emissione volgare e sguaiata è tollerabile in Scarpia, in Mozart è inaccettabile. Poco basso, ma con acuti berciati, ha cantato grezzamente, con intonazione spesso imperfetta, note prese da sotto, con punte di volgarità che stava alla bacchetta contenere, come nell’invito a cena alle maschere prima del finale primo, o nel momento a due con Don Giovanni all’inizio della scena finale della cena, nella scena del catalogo, in frasi tipo “ e la grande maestosa” davvero inascoltabili. Cantare non è muggire, né latrare.
Male anche il Masetto del signor Kocàn, voce nasale, tutta “chiusa”, stonacchiante, da dimenticare assieme alla prova di Kwancioul Youn, ingolato, senza suono e del tutto inadeguato alla parte. Un professionista preparato ed attento come lui aveva il dovere di astenersi dall’esibirsi in questo ruolo per sortirne questo misero effetto.

Morale della storia, more Don Giovanni.
Lo spettacolo offerto ieri sera da questo cast, di cui il maestro era certamente la parte migliore, è stato desolante. La retorica del teatro sposata da Carsen, la retorica dei divi da star system, per cui i grandi teatri scelgono nomi famosi piuttosto che i migliori cantanti sulla piazza, la retorica della tv, con le sue interviste sempre uguali che ricevono risposte sempre uguali e sempre vuote, vorrebbe e meriterebbe una risposta di pari retorica, parlando della politica, riflessa nello specchio di Carsen. O dei giovani, gli under 30 della primina che scrivono per questo Corriere e che di questa modernità vuota e retorica, senza progettualità e senso di responsabilità verso le generazioni future, sono poi le vere vittime, come ha detto finalmente in televisione il presidente Monti a Porta a Porta. Il teatro ci riflette, ha ragione Carsen, è la proiezione di quello che siamo. La Scala oggi è un grande teatro perché rappresenta al cento per cento il nostro modo vuoto, esteriore, senza contenuti, di essere e di vivere, con i vecchi del pubblico che, dopo avere sentito l’arte del grande e vero canto, oggi presidiano e difendono tutto quello che non và del presente  lirico e che i giovani vorrebbero cambiare. Lo spreco lo sperpero di risorse di cui il presidente Monti ha parlato sono lì da vedere, anche sulla scena della lirica, nel denaro come nella tutela di chi, strapagato, canta male, mentre chi canta bene o meglio, oggi vive la professione del cantante lontano da ribalte come questa. In fondo, come mi detto qualcuno oggi, nell’opera oggi non conta come canti ma come sei o appari. Come può oggi un giovane emergere semplicemtne cantando, mi domando?…
Ecco, oggi ho fatto anche io retorica, come Carsen….ma è meglio che mi fermi qui!

 

130 pensieri su “Sorella radio: Don Giovanni alla Scala, serata inaugurale.

  1. Quanta verità, Signora Grisi
    … e se
    davvero Carsen fosse un genio?
    Ieri sera non è andato in scena il Don Giovanni di Mozart, ma l’ennesimo NIENTE travestito da grande Evento.
    Quindi perché fare la regia di un’opera che effettivamente non viene rappresentata e togliersi la soddisfazione di specchiare tutta quella gente imbellettata pronta ad osannare un’eccellenza inesistente…
    Così almeno possono applaudire sé stessi per aver partecipato “ad un evento importante per Milano e per tutta l’Italia”.
    E quindi che importa, ai fini dell’Eccellenza se nessuno del cast è stato in grado di cantare il Don Giovanni, quando tutti sono bravissimi nel creare l’Evento.
    Quando alla Netrebko hanno chiesto un motivo per cui valga la pena vedere questo Don Giovanni, lei ha risposto, scherzando (?), perché ci sono io che canto…
    Quanta verità! (di nuovo)
    Quindi perché prendersela con un regista perché lo spettacolo è brutto, ripetitivo e noioso! Ha saputo fare il suo mestiere! Ha inscenato lo spettacolo brutto, ripetitivo e noioso che è diventato il 7 Dicembre.
    E chiudo anch’io con la morale:
    “Questo è il fin di chi fa mal..”

  2. Dico la mia:
    si parla tanto che l’opera deve trasmettere “emoZZZZZioni” ebbene la rabbia che ho provato ieri dopo questo aborto fa parte del ventaglio delle “emoZZZZZioni” operistiche più grandi che ho mai provato.
    Una cosa avvilente, triste, orrida…
    Barenboim pesante, macabro, lugubre, lento, sfilacciato pensava di essere sul podio del “Crepuscolo degli dei” o del “Moses un Aron” o del ciclo “Licht” di Stockhausen, un brodo primordiale indigesto di suoni e rumori vagamente imparentati con Mozart.
    Un dilettante al saggio avrebbe fatto soffrire di meno.
    Mattei è correttino, garbatino, timbricamente e tecnicamente neutro, fraseggiatore minimo, buono nel primo atto, disastroso a partire dall’aria del vino per tutto il secondo atto.
    Terfel pessimo, disastroso Wotan al Met in tutte e tre le opere in cui appare, qui è un Leporello grottesco, svociato, gracchiante, digerente, vociferante, emissione volgarissima tutta aperta tanto che ho rimpianto il povero Siegmund Nimsgern che a suo confronto sembra un timido e introverso Lord inglese.
    La Netrebko ha problemi di respirazione, emissione tutta di gola, dizione talmente farfugliante da far apparire la Sutherland direttrice dell’Accademia della Crusca priva di vocali e di consonanti, sarà anche sonora e voluminosa e timbricamente fascinosa (sarà), ma l’intonazione sbanda ed il fraseggio è lessato.
    Filianoti somiglia alla versione timida di Terfel, la Frittoli dura, querula, vuota in basso, stirata in alto, oscillante, slegata ha solo una bella pronuncia.
    Kocan e la Prohaska presi coi punti della Coop senza timbro, senza voce, emissione intestinale, Youn oscillante e deludente e dispiace.
    Oggettivamente una robaccia indifendibile: non mi interessano le castronerie degli entusiasti per caso, degli pseudointellettuali, degli onanisti mentali che cercano di salvare le macerie del disastro trovando significati “insignificanti”, dei “vergini” operisti e delle anime “candide” o degli ipocriti o dei mangiapizze.
    Una bruttura assoluta.

    Marianne

    • mary, finalmente quasi tutti stroncano Barenboim. Non ce la facevo più a leggere articoli e post di persone che lo definiscono un genio giusto perché è tra gli ospiti di fabiofazio e del suo show per gente che sente il bisogno di sentirsi intellettuale in cinque minuti e non ha (nello specifico) mai ascoltato Chopin prima. E del resto sono le stesse persone che dicono che Allevi faccia musica classica, e inorridiscono quando io replico che secondo me fa stacchetti da pubblicità.

      • Io sono disgustato dal fatto che questo affabulatore da talk show sia diventato direttore stabile della Scala. Non è mai stato un direttore d’orchestra, è un ex talento nel campo del pianismo, ormai resta solo un artista da supermercato. La sua retorica dei giovani mi fa schifo: la “primina” dei ragazzi è un totale fallimento artistico e culturale, questi giovani non conoscono neanche il libretto dell’opera e vanno a teatro unicamente per sfoggiare abiti nuovi ed atteggiarsi da intellettuali da salotto, secondo il modello che offre loro la televisione. La fortuna di gente come Barenboim sta tutta nell’ignoranza e nel narcisismo di questo pubblico: è la tipologia di gente che meglio asseconda il mercato di aria fritta di cui la Scala è vanagloriosa industria.

        • All’anteprima domenicale di questo Don Giovanni non si capiva niente, Barenboim non è un direttore d’orchestra è solo uno sbrodolone. E non è solo un fatto di voci, è indispensabile in queste opere un vero direttore che le sappia far cantare assieme. Altrimenti crolla tutto l’impianto delicato pensato dal compositore, teatralmente e musicalmente diventa tutto INCOMPRENSIBILE. Barenboim è un disastro, la sua direzione è solo sonorismo violento, appena può si mette a pestare forte e finisce tutto lì. Non c’è nessuna consequenzialità, nessuna coerenza, nessuno sviluppo, le voci sono sempre coperte, manca trasparenza, non c’è ritmo, non c’è esattezza, niente. Una bandaccia condotta da un dilettante della bacchetta con un cast di aborti vocali, ed un allestimento intellettualoide che dopo cinque minuti è giù una nauseante rottura di coglioni! Questo Don Giovanni è una presa in giro! Ed il pubblico di Milano che applaude questa porcheria è una VERGOGNA!

  3. Faccio una osservazione sul cast maschile e su Mattei. Dunque c’è un Don Ottavio svociato, impiccato alle proprie corde vocali, sfiatato e stonato, arriva distrutto alla fine delle arie ed è di una totale piattezza espressiva: mai sentito di peggio. Masetto è una caricatura, usa un’impostazione chiusa e affondata che ingrossa ed incavernisce il timbro, producendo continue stonature ed obbligando il cantante ad una pronuncia ostrogota. Leporello gioca tutto sulla recitazione, sulle gag, ma la voce è sguaiata, il timbro rinsecchito, il gusto becero. E’ un gigione volgare, sguaiato, e senza voce. Mattei in mezzo a questi rottami vociferanti è l’unico elemento decente. A dispetto di un’emissione nordica che tende alla fissità, in teatro la voce non è brutta, certo nei finali e nei pezzi d’assieme non riesce ad essere incisivo, se prova a dare volume riesce solo ad essere legnoso, mai sonoro, e gli acuti sono molto fibrosi. Però in confronto al resto del cast ha un modo di porgere la parola cantata molto più corretto, stilisticamente è misurato, e la canzonetta nel secondo atto, eseguita obbligatoriamente sulla ribalta per non risultare inudibile, risulta alla fine, forse, la cosa meno inascoltabile di tutta l’opera. Questa almeno è stata la mia impressione domenica all’anteprima.

  4. Si è detto tanto, credo ormai tutto (forse troppo, rispetto all’attenzione che meriterebbe) di questo Don Giovanni… Io vorrei solo unirmi a Mancini nello spezzare una lancia a favore di Mattei, che, pur con i limiti evidenziati, era l’unico cantante degno di questo nome. Purtroppo è naufragato malamente in “Fin c’han dal vino”, ma il resto era cantato con gusto, morbidezza e senso del legato.

  5. Solo un’ultima chiosa su due misteri: dove hanno trovato Zerlina e, soprattutto, Masetto??? Tutte le altre scelte avevano una logica, contestabile quanto vogliamo, ma qual è la ragione per preferire questi due ragazzi volenterosi a dei giovani italiani (si tratta pur sempre di un’opera italiana e un po’ di idiomaticità non guasterebbe) oppure a due allievi della pur discutibilissima Accademia (che in questo modo avrebbe almeno una funzione…)???

  6. Non abitando a Milano o in Lombardia, uscendo oggi di casa, sono rimasta assai stupita sentendo come, ovunque, si parlasse del Don Giovanni scaligero: dal giornalaio, al bar, un gruppo di amici infervorati… Che ci sia un lato positivo dell’evento mediatico ???

    • Anche su internet se n’è parlato tantissimo, quest’anno non hanno badato a spese in termini di pubblicità. E anche questo non aiuta ad avere delle recensioni equilibrate purtroppo…

      (ps: ho seguito l’opera anche su twitter ed è stato divertente, moltissimi curiosi… Peccato per il livello “artistico” della proposta :( )

  7. Visto che c’è un bel paragrafo sulle somiglianze della regia di Carsen, segnalo che il Don Giovanni di Michieletto alla Fenice l’anno scorso finiva in modo abbastanza simile, l’hanno notato anche su altri siti.

    Ah, e della questione sollevata dalla Barcaccia della Netrebko microfonata, che ne pensate? Che sia successo qualcosa è palese, non so se si sia notato anche in teatro.

    (ps: correggete “Kubrik” e “Fisher Dieskau” :P)

    • Come ha detto il collega di Stinchelli durante la Barcaccia di oggi, il microfono della Netrebko doveva essere quello della ripresa radiofonica-televisiva. Non credo che in teatro abbiano sentito un cambiamento di volume durante il duetto Anna-Ottavio. Poi, la Netrebko avrà anche molti difetti, ma una voce sonora ce l’ha ed è l’ultima in questo cast scaligero ad avere bisogno di essere microfonata.

      • a proposito della barcaccia, nel vostro furore nichilista sarete contenti di avere come sodali compagni di tenzone verso questo”miserabile”DG,anche la Barcaccia stessa nella persona di Stinchelli e compagne e i loro affezionati ascoltatori che dai loro messaggi in segreteria ricordano a me i simpatici e preparati Loggionisti di parma! Con affetto.Cap

        • Secondo me ti scordi di pareccha gente caro il mio caprice de diux che ha scritto e postato qui come altrove. La tua opinione viene pubblicata perche’ libera espressione della persona. Rispetta tu gli altri che hanno scritto qui senza offenderti nonstante la tua maleducazione evidente.

        • Caro Capriccio, seguo da qualche tempo il blog anche se intervengo raramente. Non ho furore, non voglio compagni di tenzone (nel mio piccolo adoro prendermi le responsabilità derivanti dai miei pensieri e dalle mie azioni in spazi reali tanto come virtuali), non ascolto la Barcaccia perchè la trovo una trasmisssione noiosetta.
          Nonostante tutto, e nonostante il tuo nickname mi balzi agli occhi solitamente per polemiche sterili come quella sopra riportata, dovresti accettare anche chi – come me – inesperto, ignorante e giovane dell’opera (non anagraficamente) sostiene che questo Don Giovanni sia stato una porcheria noiosa. Oltre all’affetto, potresti darci invece le motivazioni per cui tu sei in disaccordo con questa disamina? Te ne saremo grati io e tutti quelli che – ignoranti e nuovi come me – potrebbero non aver capito nulla e non capendo abbiano steso una disanima parziale della recita in sè.
          PS: sono ignorante ma non scevro di malizia – ma Le brucia ancora che a Parma abbiano fischiato il tenore?

  8. Ciao a tutti. Ho ascoltato l’antegenerale e la prima di ieri sera. Ero in un palco di terza fila laterale sinistra.
    Lo spettacolo non mi è dispiaciuto….certo se identifichiamo Carsen come un “genio” o lo innalziamo ai ranghi di “stupor mundi”, quello che si è visto ieri sera era un pò pochino. Se però analizziamo lo spettacolo senza i presupposti pompatissimi dai giornali e dalle pubblicità etc etc etc, si è assistito ad una lettura di Don Giovanni abbastanza godibile, non disastrosa, che non capovolge il senso della drammaturgia dell’opera e abbastanza ben curata nella recitazione…..forse poco per una Inaugurazione del Teatro più importante del mondo però non la demonizzerei completamente.
    Il cast messo su invece l’ho trovato costituito da ottimi attori (quasi cinematografiche anche se un pò eccessive) le movenze della Netrebko e di Terfel.
    Dal punto di vista vocale perà devo ammettere di essere uscita da Teatro piuttosto delusa.
    Riconosco il volume importante ed anche il bel timbro (di natura) della Netrebko; ma qui alla Scala si è presentata con una voce corta, stanca, appesantita, gonfiata e “intubata”, il che, con il volume che si ritrova, risulta ancora più sgradevole. Ottima attrice però…ma non siamo al Teatro di prosa!
    La Frittoli mi ha davvero impressionato…una vocina piccola piccola in Teatro….ma come puù fare Forza del Destino???!!! E’ sicuramente molto musicale e devo ammettere che scenicamente si è saputa imporre su tutto il ruolo con dominio del suo corpo e della sua immagine….ma la voce si è fatta arida, chioccia, priva di mordente drammatico e di spessore per poter affrontare i terribili sbalzi del ruolo di Elvira. Che peccato.
    La Zerlina era una studentessa di canto corretta con la voce piccola, un pò fissa, un pò stonacchiata, non ha fatto disastri ma neppure ha brillato; in generale non mi ha entusiasmato neanche dal punto di vista drammatico.
    Mattei era il più spavaldo vocalmente anche se si avvertiva sempre di essere al limite dell’urlo (mai raggiunto in verità) e passare un’intera serata a domandarsi ce la farà ad arrivare alla fine? non è piacevole.
    Come attore devo ammettere che, almeno in Teatro, sul Proscenio, in Platea è risultato davvero notevolissimo! Ha un carisma non da poco e la sua “sfilata” da “dandy wildiano” alla fine l’ho trovata molto molto ben fatta.
    Filanoti è ormai il fantsma di quello che fu. Neppure più il timbro aureo e baciato dal Cielo è rimasto. Nulla di nulla. Un imbarazzo farlo andare in scena così.
    Terfel no-comment. Sembrava un muratore! Ma che diavolo! La voce non è brutta, anzi è sonora e abbastanza ben proiettata; fa questi continui portamenti al medio acuto ed acuto che sono francamente fuori stile e, credo, fuori il suo controllo. La voce è adatta ad altro repertorio e la sua rozza musicalità lo farebbe andar bene per Scarpia o Alfio (anche se pure lì c’è da esser musicisti)….mah…scelte insensate!
    Masetto sarebbe stato un decoroso Usciere di un Rigoletto o Domestico di Flora in Traviata.

    Barenboim è diventato francamente incomprensibile. Ma come mai quando non dirige Wagner (dove lo trovo davvero notevole) diventa così terribilemente noioso, privo di stile, pesante e incapace di gestire un palcoscenico?

    Un saluto a tutti e ben trovati.

    • Forse perché Barenboim ormai è completamente ossessionato da Wagner, del quale ha ereditato l’irrefrenabile impulso di filosofeggiare e sproloquiare sermoni “didascalici”.
      E’ lui che, parlando da Fazio, ha detto che Berlioz e Brahms sono bravissimi, ma in fondo non toccati dal genio; è lui che vede Wagner in Chopin (sempre da Fazio, al piano)…
      Mah…, allargare i suoi orizzonti non gli avrebbe fatto male nel corso degli anni (ora è troppo tardi ed è meglio che non ci provi, soprattutto con i sommi maestri delle 4 statute del Piermarini…).
      A questo proposito, suggerisco al DG un giorno di affrontare seriamente il problema del restringimento sempre più palese del repertorio, in particolare alle prime (che poi sono gli spettacoli più sontuosi, almeno sulla carta)… Che la Scala mi diventi come l’Arena?

  9. Cerchiamo di capirci. A me questo Don Giovanni non è dispiaciuto. Perchè? Mi aspettavo un disastro come spettacolo ed ho trovato una regia (televisiva) con scene , costumi e movimenti scenici nuova e moderna anche per i tempi di austerity. Mi aspettavo una Netrebko tipo Bolena MET ed invece, tranne qualche momento, l’ho trovata decorosa sicuramente accettabile.. Ovviamente non Price o Sutherland. La Frittoli: non bene nella prima parte e meglio nella seconda. Baremboin non è Karajan o B Walter. Ma non è stato disastroso come qualcuno ha detto. Ricordiamoci che i grandi (che sono morti )(tutti) sono un ricordo. Si critica Terfel: ha cantato in linea con lo spettacolo di Carson. (che non era uno spettacolo in punta di forchetta avendo anche un momento “porno”. Il DON? Bella presenza , bella voce , ottimi momenti ed altri meno. Filianoti ,purtroppo per lui e per noi, è finito. Meglio sarebbe stato evitare la figuraccia.
    Ovviamente non giudico la quantità di voce dei cantanti avendo io ascoltato solo in TV e non in teatro.
    Non era il Don Giovanni tradizionale come molti si aspettavano. E’ un Don Giovanni in linea con i tempi “grami” del teatro lirico. C’è chi critica dimenticandosi che siamo nel 2011 e non nel 1930. Si citano Pinza o Siepi o Ghiaurov o Arangi Lombardi. Ma cari amici, questi sono scomparsi. E quel che la Scala ci ha proposto è tra il meglio che la piazza offre oggi. Ribadisco: l’alternativa è il nulla o i dischi. Ci furono critiche anche nel Don Giovanni 1966. Dirigeva Maazel. . I cantanti si erano lamentati per i tempi e si erano parati dietro al sederone della Sutherland che aveva sollevato per tutti il problema Risposta di Maazel? Via la SUTH. ed al posto suo la Lorengar. La Scala gli rispose: ma lei è matto? Quindi ci fu un accordo anche sui tempi è tutto marciò liscio. Anzi: molto bene. Chi vince sempre alla fine di tutte le critiche, è Mozart con il suo capolavoro. Sempre magnifico, sempre elettrizzante.

    • Peccato che addirittura tu parlavi in un’altra occasione, molto recente tra l’altro, che tu ed i tuoi amici loggionisti ridevate del pubblico di Roma che faceva passare qualsiasi cosa e che a Milano invece era l’attenzione ed il rigore del pubblico che teneva alta la qualità media degli spettaccoli. Adesso i tuoi discorsi sembrano identici a quelli di tanti “buonisti”, che sono “buonisti” soprattutto per la Scala.
      Ed ancora una volta, basta consolarsi con la fittiva idea che la Scala ci ha offerto il migliore che si trova sul mercato, perché, forse a parte il caso di Mattei, non è assolutamente vero.

    • Il nulla non è affatto un’alternativa, giacché quel ci propina oggi questo teatro è già il NULLA: aria fritta, come il tuo discorso. Il livello artistico di questa porcheria di Don Giovanni è nullo. Come pure il livello della Scala: un teatro di palloni gonfiati incompetenti, con un pubblico di vecchi sordi. La Scala è solo vanità.

    • Caro domenico, l’audio della ripresa televisiva velava alcune pecche che in radio erano più evidenti.

      Riguardo invece al fatto che questo cast in questione sia “tra il meglio che la piazza offre oggi”, mi viene spontanea una domanda: il meglio di cosa? Se parliamo delle doti attoriali non posso commentare, in quanto ho visto lo spettacolo per radio; se invece parliamo del canto – visto che di cantanti si tratta – non nascondo le mie perplessità in merito.

      Nei teatri italiani di oggi si sentono alcune italianissime voci che non avrebbero sfigurato al confronto: certo, se poi dopo la seconda nota ben cantata della loro vita evitassero di farsi trascinare in repertori al di fuori della loro portata, credo che ne guadagnerebbero sia le nostre orecchie che le loro longevità artistiche. Ma oggi la parola “repertorio” vuole solo dire “catalogo di ruoli che riesco in qualche modo a portare in fondo” e questo crea storture irrimediabili…

      • La tragedia è, caro Veriano, che quelle voci italianissime, poche, ma comunque presenti, non interessano ad un grande teatro avalato dalla mediatizzazione e gli interessi extra-musicali connessi come la Scala. Quel canto italiano, quelle voci “italiane” (che immagino anche per te non significano necessariamente voce di cantanti di nazionalità esclusivamente italiana…) oggi hanno il loro spazio nella provincia – che essa sia Jesi o Venezia. La Scala non gli vuole e non gli cerca, perché la machina del consenso funzionerà lo stesso, anche se i cantanti rimangono afoni durante la recita (trasmessa da ogni mezzo radiofonico e televisivo possibile). Ecco perché invece si accontenta di cantanti raccomandati dai direttori o dagli agenti. Ancora una volta, guardiamo al cartelone del Don Giovanni della Staatsoper di Berlino che spiega tutte le ragioni artistiche profonde delle scelte dei cantanti per la prima scaligera: http://www.staatsoper-berlin.de/de_DE/repertoire/719185

        Dicevo che il buon canto si è “provincializzato” ed escluso dai mechanismi dello star system. La Scala invece, che è totalmente immersa in questo sistema, risulta, come nel caso della Valchiria, di essere da parte sua la provincia del NON primo teatro lirico di Berlino. “Ed il pubblico applaude, ridendo allegramente”, perché col pubblico scaligero tocchiamo ad un altro registro di provincializzazione ancora. Si applaudono le urla della Netrebko a forza di volere trovare dei NOMI sui cartelloni della Scala e per paura di non allontanare i “grandi cantanti” dalla Scala a causa della loro vulnerabilità e fischiofobia. Provincia nera, terzo mondo, bancarotta culturale!

    • Il “meglio della piazza” che offre le agenzie vorrebbe dire! Ce ne sono bravi, anzi, bravissimi cantanti che non fanno parte delle varie mafie e non hanno nemmeno una possibilità di partecipare a questi “eventi”.
      Se uno viaggia e ascolta (come dovrebbero fare i GRANDI direttori artistici – sempre alla reicerca di nuovi talenti!) capisce la non “equità” anche da queste parti!

  10. Ho visto questo DG su grande schermo, al cinema, in diretta, trasmesso tramite canale digitale (Rai 5). Plaudo quest’iniziativa che consente di assistere ad una prima scaligera in un modo diverso e assai godibile a prezzo contenutissimo (12 €).
    Per il resto non posso che condividere le perplessità e/o le critiche franche. Qualcuno dovrebbe dire a Barenboim che Mozart non è Wagner e che Il DG non è Il Tristan und Isolde di qualche anno fa…
    Troppo grave , troppo tragedia, le note di opera buffa perse in un paio di accelerazioni spinte all’eccesso che rendevano le arie incantabili e sguaiate (…il “Fin c’han vino” già più volte citato ne è stato per me l’esempio eclatante). Forse non è tutta colpa dei cantanti se non rendono al meglio. Forse.
    Mattei resta comunque il migliore, cantare Don Giovanni da tanto tempo lo ha aiutato (salvato) da figuracce imbarazzanti.
    Ma è la regia la più grande delusione. Basta, basta per carità con queste rivisitazioni spinte per far sensazione! Basta con i finali a sorpresa (sorpresa?) che stravolgono libretto e musica. Basta con i nudi e gli amplessi per far capire che i tempi sono cambiati! lo sappiamo che i tempi sono cambiati , ma la musica no, Quella non cambia perchè connotazione di un capolavolro è quello di essere eterno, per definizione. Ed allora, d’impeto, condivido e sottoscrivo: ci vuole rispetto, per il pubblico certo, ma anche (e molto) per l’autore.

  11. Mah, io credo che il tempo in cui i cantanti erano i signori del palcoscenico e i titoli delle stagioni si sceglievano basandosi su di loro sia irrimediabilmente passato. E’ inutile farsi sangue amaro, arrabbiarsi, stroncare, gridare, fischiare, circondarsi di un manipolo di incazzati. Manipolo resta ed è molto improbabile che si trasformi in un esercito; men che mai in un esercito vittorioso. Quel tempo è passato e non tornerà. Adesso le priorità sono altre. Possono non piacere, si può dire che ciò che viene gabellato per progresso è in realtà un arretramento, si può dire quello che si vuole. Ma sono sicuro che quel tempo non tornerà. Andare da Vienna a Praga in carrozza, come in quel fatidico giorno del 1787, è certo molto poetico. Quel viaggio è stato anche descritto da un grande poeta come Eduard Moerike; e descritto da par suo. Ma dubito molto che uno degli arrabbiatissimi intervenuti prima di me voglia seguire le orme di Wolfgang e Konstanze e le peripezie di quei giorni. Magari preferisce un comodo treno superveloce, anche se difficilmente questo mezzo ispirerà racconti, romanzi, poesie. E a chi poi?
    Marco Ninci

    • Gentile Marco, che al giorno d’oggi i ruoli operistici vengano scarsamente scelti in base alle voci è ovviamente palese.
      Sono però sbigottito (cerco di rifuggere il pensiero che sia l’ennesima e fuori luogo provocazione) nel leggere che “ci si bisogna accontentare” e “quel tempo è passato e non tornerà” non perché a me piace rinverdire età dell’oro passate che francamente mi lasciano scettico, ma quanto dici distrugge la possibilità di esistenza della carriera e di professionismo da parte dei cantanti.
      Perché se un cantante si rovina in 10 anni per ruoli mal scelti e per carriera condotta in maniera disordinata, bisogna accontentarsi ed anzi accettarlo?
      In tema evoluzionistico, se il dodo si è estinto, è perché era un uccello piccolo, tozzo e non sapeva volare, ergo facile da predare.
      Perché se i cantanti cantano male rovinandosi, non si deve eliminarli dalle scene prima ancora che si estinguano vocalmente, e preferire cantanti CAPACI?

    • Un’altra domanda sempre per marco: perché un buon artigiano che conosce il suo mestiere non si cimenta in cose al di fuori del suo mestiere?
      Faccio un esempio: perché un buon falegname evita di fare i lavori dell’ebanista? Evidentemente perché sa che non è in grado di saper lavorare il legno in quel modo.
      Perché un buono scultore specializzato in pietre dure (per esempio) non si da anche alle pietre tenere? Perché evidentemente sa che sprecherebbe tanto di quel materiale da considerare il fatto una perdita di tempo e soldi.
      Perché un cantante (che è un artigiano della voce innanzitutto) con una tecnica mediocre si permette di saltare da un ruolo pucciniano ad ruolo donizettiano e poi ancora ad uno mozartiano?

      Il professionismo e la capacità di capire i propri limiti non ha tempo: è una coscienza eterna in un cantante, e come diceva giustimamente Mirella Freni, la carriera di un cantante si fa più sui no che sui sì!

  12. E’ singolare vedere come, quando una cosa non piace, la si metta sempre in conto ai mezzi di comunicazione di massa. Come se ci fosse al giorno d’oggi qualcosa che riesca a sfuggire a questo ambito. Oggi tutto, assolutamente tutto è mediatico. Parlare oggi di una cosa, per disprezzarla, come di un “fenomeno mediatico”, un’espressione che più stupida ed abusata non potrebbe essere, è ridicolo. Anche i pareri di questo blog lo sono; né più né meno di tutto il resto.
    Marco Ninci

    • Ma Marco, noi non siamo una testata giornalistica, non siamo “media”, non abbiamo accrediti stampa, non facciamo pubblicità a “eventi”, non abbiamo banner promozionali e facciamo tutto da noi.
      E’ poi vedi Marco, se un povero imbecille con un martello sfregia il David di Michelangelo o imbratta con una bomboletta i Fori romani, io mi incazzo, mi faccio venire il sangue acido non stò li a filosofeggiare su “è questo dei tempi il costume e bisogna accettarlo con pratica rassegnazione e pistolotti giustificatori (non è rivolto a te tranquillo)”.
      Se qualcuno, un ciarlatano, una bestia, che ha una bacchetta in mano o pretende di avere uno strumento in gola sfregia Mozart, Beethoven, Wagner, Pincopallino, Priripicchio o chi viene in mente a te, io ho la medesima reazione di cui sopra, perchè anche la musica e l’opera hanno lo stesso valore del David e dei Fori romani, non c’è alcuna differenza e mi indigno, mi incazzo e faccio il diavolo a quattro!
      Per questo le paranoie metafisiche “oggi si fa così dunque è giusto” e “prima la paturnia poi il cantante” e via delirando non mi vanno giù e ci rido sopra di gusto, soprattutto se vengono da gente che fino a ieri aveva le stesse mie reazioni e oggi colto da improvvisa indigestione di melassa scrive “dolcezze e balocchi” tradendo ciò che era e ciò che aveva poco prima dichiarato.
      No, mi spiace non lo accetto e nemmeno mi rassegno!

      Marianne

  13. Cara Marianne, grazie per la tua risposta, che mi piace molto; come sempre le tue risposte, del resto. E’ chiaro che c’è molto di vero nelle critiche che appaiono su questo blog; ma che dobbiamo fare? L’integralismo di Mancini, che io capisco e per il quale ho molta simpatia (mi sembra molto onesto), non mi pare porti a granché. Come ho detto prima, penso che i tempi che Giulia rimpiange non possano tornare. La centralità del cantante è proprio scomparsa. Ed è scomparso anche l’equilibrio fra grandi bacchette e grandi cantanti; pensiamo al cast del Don Giovanni di Furtwaengler, neppure ipotizzabile oggi. Bisogna trovare una via stretta, molto stretta, fra la necessità di non tornare al passato (un ritorno impossibile), di non fossilizzarsi su modelli irrepetibili per tante ragioni, e il bisogno di trovare nuovi equilibri. Cantanti magari non eccelsi, ma duttili, aperti, pronti ad inserirsi nella disciplina dell’insieme. Mi ha dato poi fastidio il disprezzo per una personalità come quella di Carsen. Mi pare che tu frequenti Firenze. L’Elektra non era una meraviglia? Ma sì che lo era. E la Salome? Forse non allo stesso livello, ma ugualmente interessante. E a Milano i meravigliosi Dialogues des Carmelites? A queste cose bisognerebbe pensare, quando si sparano certi giudizi. Frida Leider, Lotte Lehmann, Maria Reining sono morte e stramorte. Rimpiangerle si può, ma non porta a niente. Quando poi in nome di queste si disprezza la Schwarzkopf, secondo me si è anche un po’ fatui. Ecco, questo ribollire di disprezzo per un Don Giovanni che, mi sembra di capire, la maggior parte degli intervenuti non ha neppure visto dal vivo mi ha fatto una certa impressione. Anch’io l’ho ascoltato. Ho ascoltato le stonature della Netrebko, il tono un po’ villano di Terfel, la prova tutto sommato discreta della Frittoli, l’orrore di Filianoti, l’elerganza di Mattei. Tutto un po’ altalenante, ma non proprio orrifico. Barenboim poi, per quel che ho capito, è stato accusato da molti di fare il verso a Furtwaengler. L’ascolto radiofonico non ha confermato questo. Anzi. L’orchestra mi sembrava molto chiara, per nulla pastosa comne si dovrebbe attendere da un seguace di Fuertwaengler. Alcuni momenti molto poetici, come l’accompagnamento della prima aria di Don Ottavio. E neppure sempre lento. Non è un miracolo, ma neppure l’orrore di cui parla Mancini. In ogni modo, un Don Giovanni assolutamente diverso da quello che ho sentito da lui a Berlino, quello sì ispirato a Fuirtwaengler. E il fatto che Barenboim abbia mutato prospettiva va tutto a suo onore.
    Ciao
    Marco Ninci

    • Ma perché non si può tornare al passato? A volte ho piuttosto l’impressione che non si voglia farlo. Tornare al passato non significa certo riportare in vita Frida Leider, ma chiedersi perché oggi nessun soprano, che canti Wagner, Verdi o Mozart poco importa, ci sappia proporre quel suono, quella solidità, quella capacità di dare senso alle note. Il vero limite della Netrebko, e di tutte le dive come lei (Garanca, Di Donato, Machaidze… un elenco davanti al quale il catalogo di Leporello impallidisce fatalmente), non è il fatto che sono corte, stonate, incomprensibili nella dizione peggio della tanto bistrattata Sutherland, dalla voce traballante… è il fatto che il loro è un canto asettico, privo di spessore, monotono, povero di idee, inespressivo, e non per carenze naturali o assenza di intenzioni, ma perché i limiti tecnici “surgelano” l’esecutore al grado zero, e spesso anche sottozero, della lettura musicale. Non c’è Carsen, come non c’è Ronconi e non c’è Pizzi, che possa sanare questo gap. La centralità del cantante non è mica un’ossessione della Grisi: è il motivo per cui l’opera è nata e si è alimentata. Tenerla in vita artificialmente, con il palliativo della cosiddetta grande regia (che poi è spesso, come in questo Don Giovanni, un lussuoso luna park che non disturba la digestione del pubblico): questa si è una non-soluzione, limitante e mortificante. Ripartiamo dal canto, dall’abc della musica, dalla grande tradizione esecutiva: lì si trova tutto quello che serve non per riportare in vita la Leider o la Lehmann o la Siems, ma per fare emergere le loro epigone. Non è la prima volta che affrontiamo l’argomento, ma quali cantanti del futuro possono nascere se come modello si fa sentire alle studentesse… la Netrebko? Quanto a Barenboim, prima di posare a erede di Furtwangler, sarebbe decenza che imparasse ad andare a tempo. Saluti. AT

    • Io, Ninci, parlavo dell’anteprima di domenica, che ho ascoltato a teatro: direzione disastrosa per sfasamenti tra buca e palco, cattiva sincronia, mancanza di trasparenza nei pezzi d’assieme, assenza di regia vocale. Per inciso, Barenboim andrebbe fischiato anche solo per aver avallato quel cast, ed in particolare quel Masetto e quella Zerlina: che vergogna. La prima del 7 dicembre, invece, l’ho seguita via radio, mi è parso che qualcosa sia stato aggiustato, ma mi mantengo prudente nel giudizio perché l’ascolto radiofonico può essere molto falsante.

  14. Saluti anche a te, Antonio. Io però non saprei citare un tentativo di ritorno al passato che abbia avuto successo; non politico, non artistico, non filosofico. I fenomeni vivi non si presentano come ritorni al passato. La storia, di qualunque genere, non concede ritorni. Però la questione del professionismo, sollevata da Misterpapageno, è reale. Ma anche qui problematica. Io per esempio preferisco un libro anche pieno di cose sbagliate ma che contenga qualche idea non banale. Magari anche un’esecuzione imprecisa può essere piena di pathos. Non so. Comunque non è una questione che può essere risolta con facilità. Per esempio, Carreras era un cantante pieno di difetti. Eppure nel ’78 cantò alla Scala un Don Alvaro indimenticabile. Come indimenticabile era il suo Don Carlo, che ho ascoltato con Karajan. Questo per dire che anche la perfezione tecnica è un concetto problematico. Per Mancini Vickers è un orrore, mentre per me è il più grande Otello che abbia mai ascoltato. Se il giudizio sulla tecnica potesse essere completamente oggettivo, se poi questa oggettività portasse a pensare che il difetto tecnico annulli qualunque possibilità del cantante, se da qui venisse la negazione di ogni potenzialità interpretativa, se ne conseguisse che chi la pensa diversamente è un incompetente o un prezzolato, se quindi i giudizi in questo campo avessero la certezza del due più due o di qualsiasi altra scienza esatta, fare il critico sarebbe molto facile; ma non mi sembra che sia proprio così.
    Marco Ninci

    • Caro Ninci, quel don Alvaro meneghino può essere indimenticabile per chi abbia deciso di cancellare la memoria non dico dei soliti Francesco Merli e Aureliano Pertile, ma dei più modesti (si fa per dire!) Carlo Bergonzi e Flaviano Labò. Quanto poi al complesso di quella produzione scaligera, sarebbe ora di una seria e ragionata opera di revisionismo, partitura alla mano. Altra operazione profondamente fuori moda, come altri ci ricordano quasi ogni giorno.

    • Nessuno raggiunge alte vette artistiche se non ha un perfetto dominio tecnico in maniera classica (ed il canto operistico è ancora un’arte classica).
      Se Dante non avesse avuto il dominio perfetto della terzina e prima ancora dell’endecassillabo, se Leonardo non avesse avuto il dominio della prospettiva e del colore, se Brunelleschi non avesse avuto il dominio della tecnica per la costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore, non avremmo avuto le altissime espressioni artistiche che abbiamo avuto.
      Ancora una volta voglio far valere il concetto abbastanza condiviso dal Corriere che nel canto la tecnica è una BASE, non una scelta, e solo chi ha il perfetto dominio tecnico dello strumento può esprimere musicalmente ed artisticamente le sue idee. E’ il cantante che guida la voce, e non la voce che guida il cantante.
      Un tremendo errore e continuo ritorno al passato romantico (frainteso) è credere che l’artista, colto da invasamento, dispensi la sua arte divina al mondo: è una totale falsità perché a meno di grazie divine di chi crede nell’esistenza di dei, il canto è un esercizio quotidiano e a cantare si impara tutta la vita. Paganini, il violinista romantico per eccellenza, diceva: “Se non suono per un giorno, me ne accorgo solo io. Se non suono per due giorni, se ne accorge anche il pubblico”.

      Oggi siamo nell’AD 2011: credo che 150 anni di arretratezza culturale legata alla disinterpretazione del romanticismo in questo senso possiamo ben metterli da parte!

    • Di Carsen ho visto Elektra e Salome a Firenze (spettacoli memorabili), Alcina (molto bello), Dialoghi delle Carmelitane (commovente), Tannhauser (un po’ tirato per i capelli, ma molto coerente e onesto), Rusalka (splendido), Traviata (mmm… interessante), Armide (carino). E’ un regista che sa il fatto suo senza dubbio, ma non vedo dove sia il problema ad ammettere che un suo spettacolo possa essere orrendo!
      Anche i geni possono prendere un abbaglio , e ammetterlo non annichilisce la loro genialità… se esiste, ma anzi dovrebbe far comprendere all’artista dove ha sbagliato per non rifarlo una seconda volta.
      Davvero non vedo dove sia il problema nel dire “Carsen ha toppato di brutto”.
      Se poi il regista ha una centralità così totale, si faccia prosa e non opera, e non riesumate la tiritera “l’opera è anche se non soprattutto teatro e bla bla bla onanismo mon amour” perchè se non ci sono i cantanti col cavolo che si fa teatro ed il regista NON rende un cantante pessimo un grande cantante solo perchè lo fa stare in scena in maniera credibile.

      Marianne

      • Ciao Marianne. Oggi, prima di andare a vedere la Norma con Catherine Naglestad a Stoccarda, mi sono riguardato alcuni passi della registrazione Accogliendo l’ invito alla pacatezza di Marco, il pensiero più gentile che mi è venuto in mente è questo.
        Qui non c’ è storia dell’interpretazione, della musica, non c’ è analisi che tenga. Non basta lo schermo cinematografico rovesciato, non basta leggiucchiare Artaud o Corpo Teatro di Nancy, bisogna solo dire che ogni cosa a partire dalle voci è scolatura di pattume.

    • cito Marco Ninci: “Io però non saprei citare un tentativo di ritorno al passato che abbia avuto successo; non politico, non artistico, non filosofico. I fenomeni vivi non si presentano come ritorni al passato. La storia, di qualunque genere, non concede ritorni.”

      Verissimo, ma non credo che nessuno voglia tornare indietro nel tempo. Suppongo che la questione verta intorno al modellare l’Arte Vocale contemporanea fondandola sul sapere e sulle tradizioni che si sono sedimentate nei secoli – come storicamente si è fatto per tutte le Arti e i Saperi – invece di farne tabula rasa e piegarla alle esigenze contingenti del nostro mondo operistico. I cui frutti sono comunque dei buchi colossali, quindi qualcosa andrà per forza ripensato: chissà che almeno in questo ambito non si abbia l’idea di privilegiare il “mercato interno” dei melomani invece del “turismo artistico”? O di imparare a gestire le risorse musicali del territorio circostante al teatro?

      “Per esempio, Carreras era un cantante pieno di difetti. Eppure nel ’78 cantò alla Scala un Don Alvaro indimenticabile. Come indimenticabile era il suo Don Carlo, che ho ascoltato con Karajan. Questo per dire che anche la perfezione tecnica è un concetto problematico.”

      Mi permetto di obiettare che più che di tecnica quello di Carreras fu un problema di repertorio: se avesse evitato la frequentazione di certi ruoli avrebbe schivato i problemi nei quali era già incorso il ben più illustre predecessore a cui si ispirava.

  15. confermo andrebbe rivisto tutto quel periodo cui ho assistito e dove era ben chiaro l’ atteggiamento di supponenza verso opera cantanti e melomani. Se l’ opera non piace si può fare la sinfonica ma si deve chiamare le bacchette ed i cantanti che fanno l’ opera. Parlo per essere chiaro dell’ era abbado. E ne avrei anche per la sinfonica.

  16. Questo è un mondo dominato dalla tecnica. Si richiede una tecnica perfetta a tutti, in qualsiasi campo. Il livello delle orchestre è imparagonabile con quello anche di cinquanta anni fa. L’universo è pieno di strumentisti ragazzini che suonano in maniera impeccabile. Come sapete, io lavoro in un’università, anche se sono vicino al momento di andarmene. Sono circondato da una marea, da un’orda di lavori perfetti tecnicamente. Bibliografia completa, traduzioni adeguate, argomentazioni assolutamente à la page, per usare una lingua che adesso è diffusa quanto l’uzbeco o il mongolo, sopraffatta com’è da quella lingua comprendente quattrocento parole, quale si è ridotto l’idioma di Shakespeare e Dickens, sacrificato tristemente all’ideologia della globalizzazione. Eppure, di mille lavori quanti saranno quelli interessanti? Quattro, cinque, forse anche meno. Voglio anch’io porgere un omaggio all’inglese, anche se non precisamente a un inglese globalizzato: “The rest is silence”. Mi pare di leggere sempre lo stesso articolo, lo stesso libro. Mi ricordo di un filosofo sudamericano il quale sosteneva che oggi si permette a tutti di dire qualunque cosa vogliano, dal momento che tutti non fanno che ripetere la stessa cosa. Proprio così. Pareri anche opposti mi sembrano la stessa cosa, mi sembrano provenire dalla stessa fonte. La tecnica si è mangiata il pensiero. Curiosamente, fanno eccezione i cantanti, che in effetti non paiono molto ben provvisti quanto a tecnica; riescono a coniugare pochezza tecnica e scarsità di idee. Forse perché sono altri ad averli spodestati, registi e bacchette; lascio irrisolta la difficile questione di sapere se questi ultimi le idee ce l’abbiano.
    Marco Ninci

    • Perdonami, Marco, ma seguendo il tuo ragionamento allora sarebbe possibile, che so, vedere soggetti e musiche di Rossini Verdi Massenet Puccini Donizetti Bellini allestiti come un concerto di Madonna e con voci quali Lady Gaga Tom Waits e Jovanotti? In quel caso ci potrebbero anche essere idee geniali (tipo il palco dell’ultimo tour degli U2), ma sfido chiunque a chiamare la musica “classica” e il canto “bel”. Sicuramente un incasso fuori dal comune, ma sarebbe un’altra cosa sia con gli allestimenti di Guth che di Strehler che di Carsen. Non è che qui stiamo cercando giustificazioni per inquadrare in maniera storta l’essenza del teatro lirico in sè?
      O forse non ho capito nulla io e il nichilismo è l’unica strada percorribile quale ineluttabile “segno dei tempi”?
      D’altra parte è vero anche che la tecnica senza anima non porti da nessuna parte, ma mi pare qui si stia cercando quella linea che sta nel mezzo e non solo tecnica o solo interpretazione (altrimenti mi viene voglia di credere che in Inghilterra l’inno God Save The Queen sia possibile solo nella versione dei Sex Pistols).
      Onestamente, ho difficoltà a capire.
      Rimango dell’idea che ci sarebbe da ripartire dalla base, ovvero dai conservatori e da chi li dirige che è responsabile in buona parte di ciò che poi esce e che noi subiamo, a tutti i livelli.
      Provocazione accettabile?

  17. Salve a tutti,
    Ho visto questo spettacolo registrato oggi (sapeste che fatica…).
    Un ennesimo scempio della nostra epoca, ed un giro in più di Mozart nella sua tomba, che oramai, a forza di rivoltarsi avrà pure imparato a ballare il valzer… Di tutto quello che avete detto, e che in gran parte condivido, noto con piacere che avete omesso di descrivere l’oscillante performance del “commendatore dimezzato” vista la sua altezza, che venendo dalla cina con tanto furore si è dimenticato (o forse non ha mai saputo) che cos’è una tecnica di canto… Mattei invece non lo sopporto proprio, ho fatto una fatica ad ascoltarlo, sia per i pochi colori che aveva nel suo canto, piuttosto fisso e con poche sfumature ed anche per quello strano modo che aveva nell’emettere i suoni, che talvolta partivano piatti, senza vibrazione alcuna per poi acquisirla l’istante dopo tutta d’un colpo… Può essere che abbia avuto un impressione sbagliata, accetto volentieri le vostre critiche comunque…
    Un saluto, con affetto
    Niccolò della Ripa

    • Il signor Youn è cantante coreano, grande professionista e davvero bravo cantante nelle cose che gli stanno. Il suo Gurnemanz è una delle prestazioni vocali esceniche più belle e poetiche cui abbia assistito negli ultimi anni. Abbiamo rimarcato la sua prova negativa, ma oltre non andrei. Se fa le sue cose è un SIGNOR CANTANTE, a nostro avviso. Il commendatore non fa per lui e per il suo standard professionale

      • Ho parlato senza criterio (non conoscendo la carriera del signor Youn), chiedo perdono, lo ascolterò nei ruoli a lui calzanti per aver un miglior quadro della sua vocalità.
        Forse l’oscillazione era data da un tentativo di enfatizzare eccessivamente la parte del commendatore… comunque non vado oltre e mi fermo qui.
        Un saluto, con affetto
        Niccolò della Ripa

          • Gentile Giulia,
            le mie scuse erano riferite al fatto di aver criticato integralmente ed in maniera gratuita la persona di questo cantante senza conoscerlo, tutto qui…
            Ringrazio per la cortesia
            Niccolò della Ripa

        • Quel tipo di oscillazione è caratteristica di quella che Richard Miller definisce “German School”, visto che è il risultato tipico di alcuni tratti caratteristici di quel tipo di emissione: enfasi sull’allargamento dello spazio faringeo e “spinta” sulla parte bassa dell’addome. Non so come canti normalmente Youn, spero sia solo un infortunio passeggero, ma mercoledì aveva davvero un’oscillazione da mal di mare…

          • Diciamo bene Cotogni, una “German School” degenere, giacché la Germania fino a metà del secolo scorso ha prodotto cantanti di grande qualità, con emissioni di voce esemplari. Io credo che quello di Youn altro non sia che una sorta di affondo…

          • Ops! non avevo letto lo scambio tra Mancini e Cotogni quando ho scritto il mio commento delle 23.18. Comunque vedo che siamo arrivati alla medesima conclusione… scusatemi se ho dato l’idea di non leggere i commenti ma stavo facendo diverse cose contemporaneamente.

      • Giulia, sinceramente stento a crederlo: la sua voce ballava più di Roberto Bolle!
        Però sul Tubo si trovano ragguardevoli interpretazione. Tuttavia resto dell’opinione, forse un po’ severa, che se uno canta bene, può tutt’al più dimostrare le sue difficoltà. Non far schifo come l’altra sera.

        • Dall’ascolto radiofonico era molto evidente quel continuo ballamento della voce, invece domenica ascoltandolo in teatro non me ne ero accorto: sarà perché in teatro di questo commendatore non si sentiva niente. Dico davvero: inudibile. Ora, sarà anche un professionista preparato (la linea di canto è precisa), ma l’emissione è orrenda, è una voce morta, tutta “dentro”, per dare volume non può far altro che spingere provocando quelle oscillazioni, spia di un appoggio diaframmatico scorretto.

          • C’è sul Tubo un suo Gute Nacht dal Winterreise che può sembrare convincente, perché la voce è di qualità e intonata, ma… Ma a mio avviso sull’emissione casca l’asino: secondo me è in fin dei conti anche lui un discepolo della scuola del muggito. Operando un confronto con la versione di Talvela, cui il basso coreano assomiglia quanto meno per colore, secondo me Youn produce suoni affondati. A me pare evidente nei gravi e credo sia il suono affondato che, in fondo, produca le vituperate oscillazioni.

          • Rispondo qui al messaggio di Mancini di sopra: certo che parliamo di “German School” degenere!! Quando Miller usa questa classificazione si riferisce a quello che ha riscontrato lui come tratti caratteristici dell’insegnamento del canto in Germania al momento del suo studio (che da quanto ricordo si riferisce ad un arco temporale di circa 25 anni tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta). Effettivamente i tratti di questa scuola sono quelli che tipicamente si attribuiscono a quella che in Italia definiamo scuola dell’affondo.

  18. Del pubblico di una volta si diceva che non era più quello di una volta; e così via. Forse neppure sparando (letteralmente) sui cantanti si accontenterebbe l’ansia di severità che si vuole dal pubblico. Severità con gli altri, naturalmente, ché per quanto riguarda se stessi ben altrimenti stanno le cose. Come dicevano? “Tutte le donne sono puttane, tranne mia madre e mia sorella”.
    Marco Ninci

      • Marco la fa troppo semplice e la sua disamina è rozza e semplicistica. Prendersela col pubblico equivale a dire che se hai la febbre la colpa è del termometro. M poi è difficile credere che Dio o chi per lui abbia deciso di far nascere le voci dal…. al…. e poi stop! Mancano i preparatori veri e non solo per quanto riguarda la tecnica di canto, ma del ripasso spartito, come manca ai cantanti attuali la voglia di sacrificarsi e approfondire. Mancano poi le “bacchette” vere, quelle che non arrivano all’ ultimo momento, che sanno delle sfumature della lingua, del testo e non vedono solo l’ aritmetica nella musica.
        Le voci ci sono anche oggi, ma pensano solo al suono a come produrlo senza sapere che quello che conta è ciò che si vuol rappresentare con quel suono e che il grande attore nel teatro lirico deve essere prima di tutto attore vocale, con buona pace dei Carsen e di chi li ha inventati.

  19. Scusa, Gianguido, io non me la prendo col pubblico. E’ la Casolla che lo fa. Penso invece che il pubblico sia sempre stato uguale. E poi anch’io ho detto quello che penso dell’ascolto per radio. E’ extramusicale anche quello? O no?
    Marco Ninci

  20. E poi io non dico quello che Gianguido mi fa dire. Io dico che è scomparsa la centralità del cantante; è scomparso il fatto che i titoli delle stagioni siano scelti a seconda dei cantanti a disposizione. Questo è scomparso. Non dico certo che i buoni cantanti siano scomparsi a partire da un certo anno. Sarebbe assurdo. Che la storia possa tornare indietro da questo io non lo credo. Però posso sempre essere smentito. Non mi credo mica il Vangelo.
    Marco Ninci

    • La centralità del cantante non è assolutamente scomparsa e rimarrà sempre centrale: se così non fosse, non ci sarebbero le opere sotto forma di concerto (che vengono fatte in Italia soprattutto per carenza di soldi per costumi e scene, ma che se si facessero più spesso non sarebbe male!).
      Infatti un’opera senza scene e regia è possibile in quanto potrebbero bastare i cantanti; un’opera senza cantanti è impossibile (per quanto si sforzino a cercarli di pessima fattura).
      Quello che Marco afferma mi sembra un modo veramente arrendevole di affrontare la questione: riassumendo “i cantanti non sono capaci, amen!” è come accettare che l’aranciata si faccia senza arance (cosa che peraltro la UE stava per approvare tempo fa salvo protesta dei consumatori e produttori di arance).

  21. Ho il netto presentimento (a naso) che il buon Marco stia applicando una nota tecnica usata dai docenti per stimolare il dialogo nei discenti, ossia dire il contrario di quel che dice o afferma.
    Una tecnica molto utile se il docente è perito nella materia ed ha una sua opinione: senza nessuna offesa, credo che Marco non abbia molto da dire in materia di canto. Peraltro siamo in totale assenza di docenti e discenti.
    Dire quindi che l’opera può prescindere dal canto è una fesseria: non ci sono assolutismi nell’affermazione, in quanto dire che l’aria può prescindere dall’ossigeno, che l’acqua può prescindere dallo stato liquido, che un falegname può prescindere dal legno sono delle ASSURDITA’!

    PS mi spaventerebbe pensare che questa costellazione di commenti relativi all’opera e al canto lanciati da Marco siano degli ami lanciati a caso per poi essere raccolti tra qualche giorno in una reductio ab absurdum studiata a tavolino che risulterebbe molto fastidiosa e di carattere disturbatorio.

  22. Due cose al volo. Che la centralità del cantante nello spettacolo operistico sia scomparsa non lo dico io; qui lo dicono tutti, assolutamente tutti. Tant’è che se ne lamentano a voce altissima e in continuazione. Io dico in più soltanto che da qui è molto difficile tornare indietro. E la disperazione e la rabbia che trasudano da molti interventi fanno capire e intendere che qui molti la pensano come me. Che poi questa scomparsa io la consideri un progresso mi piacerebbe sapere dove mai l’ho detto. Io questo non lo penso per una semplice ragione: nella storia non ho mai visto nessun progresso. E verso quali mete poi?
    Marco Ninci

  23. Oltretutto, io cerco sempre di capire a fondo quello che mi viene detto. Mentre molto spesso i miei interlocutori non fanno altrettanto, preoccupoati solo di ribadire le loro certezze e infischiandosene bellamente di quello che viene loro detto. Proseguendo, nei miei interventi in questa occasione sono stato molto problematico; ho posto cioè problemi, senza offrire nessuna soluzione. E ho fatto dei rapporti con ciò che esiste al di fuori della musica, i famoso interventi extramusicali che sempre mi vengono rimproverati. Cosa che io reputo molto interessante, interessante almeno quanto l’atteggiamento di chi si limita a inveire, senza nemmeno l’aura poetica di chi cantava “maii où sont les neiges d’antan?”.
    Marco Ninci

  24. Eh no, caro Misterpapageno, in questo blog non viene detto che in certi spettacoli è scomparsa la centralità del cantante. Viene invece detto che nei nostri tempi è scomparsa la concezione dello spettacolo operistico visto come manifestazione che ha al proprio centro la figura del cantante. In caso diverso, che senso avrebbe la proposta di un ritorno al passato? Del resto, non ci vuole una grande acutezza ad accorgersene. Quando vengono presentate le stagioni dei teatri europei e americani, si tratta delle stazioni lacrimevoli e desolate di una operistica via crucis. Sono anni che seguo questo blog. Quante recensioni positive ci sono state? Un numero assolutamente irrilevante. E’ proprio una concezione generale dello spettacolo che è scomparsa. Se poi questo sia un bene o un male non sta a me dirlo, non mi interessa dirlo, non traccio strade.
    Marco Ninci

    • Caro Marco, premesso che non vedo la differenza tra le due affermazioni, a meno di avventurarsi in sottilizzazioni che poi risulterebbero astratte dalla realtà, vorrei precisare una cosa.
      Qui non si vuole un ritorno al passato, per lo meno chi scrive.
      Si vuole che i cantanti tornino a cantare sul fiato e a pensare e potere ( tecnicamente ) esprimere qualcosa col canto e rispettare le intenzioni dell’autore.
      Qui no si pensa che non cidebbano essere i registi, ma si pensa ( dato che si sono visti per anni quegli spettacoli) che i registi non siano despoti degli spettacoli e il parametro di scelta di un cantante sia la bellezza più della bravura. Prima il canto poi se c’è anche il resto.
      Si vuole che i direttori non concepiscano l’opera come un accessorio alle loro carriere ( ormai sono dei brocchi anche nel fare sinfonica, perchè dopo le genrazioni degli Abbadi, Muti, etcc… non vediamo molto in giro, no?..), ma come un genere, anzi UN GENERE MUSICALE, che ha delle proprie dinamiche e gerachie di valori, tali per cui il direttore ha funzioni diverse da come oggi la magigor parte intende e vive il rapporto con l’opera.
      Se questo è un ritorno al passato….vabbè. Non farci dire che vogliamo un testro vecchio e nostalgico, ma solo UN TEATRO D’OPERA CHE FUNZIONI.

  25. Brevemente la mia opinione:
    Regia: più che soddisfacente, e del tutto degna del 7 dicembre scaligero, segno lampante che anche se non si utilizzano 300 chili d’oro il risultato è bello comunque. il paragone con strehler (non mi riferisco a nessuno del sito) non regge: a mio modestissimo avviso la produzione del Maestro è sicuramente di altissimo livello, ma talmente replicata dal teatro milanese che ormai risulta, sempre a mio parere, noiosa e un tantino superata.
    Voci: Magnifico il Don giovanni di Peter Mattei, voce pulita e tecnicalmente preparata, mentre sguaiato e sfiatato il Leporello di Bryan Trefel. Filianoti è un Don Ottavio inascoltabile a dir poco, senza tecnica ne un minimo di espressività, Donna Anna della Netrebko insuperabile, così come Barbara Frittoli nella sua Donna Elvira.
    Direzione: Barenboim ce lo vedo molto più in Wagner che in Mozart, ma (sebbene con molte pecche) ci presenta una direzione accettabile

    • Grazie Stefano per la tua testimonianza, con la quale però non concordo soprattutto dopo aver ascoltato la registrazione dell’antegenerale, la diretta radio ed una recita dal vivo.
      Ho già detto cosa ne penso (anche il pur correttino Mattei non appoggia un suono che è uno ed è completamente inespressivo, terrificante Terfel, stremati la Frittoli e Filianoti, inesistente da qualsiasi punto di vista la Netrebko, insipida e insignificante la non-regia, inutili gli altri, sbrindellato Barenboim) ed è appunto grazie a questo Non Giovanni, a questa grande “qualità” a questo “meglio” così astratto e inqualificabile se farò ben volentieri a meno della Scala per tutta la stagione con grande risparmio per le mie tasche ed i miei nervi.

      Marianne

      • La non regia di questo Non Giovanni non è stata donata al teatro come segno di amistade e atto d’amore per l’opera… l’hanno pagata, oh se l’hanno pagata… che bello bruciare i soldi!

        Marianne

      • Caro Antonio, preciso che io sono il primo ad amare le rappresentazioni “kolossal” (ho già prenotato i biglietti per il 23 dell’aida), ma credo che in tempi come questi anche solo una parvenza di sobrietà sia un gesto buono da parte di tutti. sull’insuperabili riconosco il mio errore: ho spinto un po’ troppo sull’aggettivo, ripensandoci, potrei dire Netrebko Molto Bene e Frittoli Benino. :)

        • Guarda che questo tipo di allestimenti costano come e più di quelli tradizionali.
          Forse Carsen, per illustrare meglio il concetto di sobrietà ha inserito la donna nuda per simbloeggiare l’ attuale crisi finanziaria?
          Sulla Netrebko, io ribadisco che urla, stona e alla prima ha anche steccato.
          Poi, come dicono a Napoli “ogni scarrafone è bbello ‘a mamma soja”…

          • caro Mozart2006, preciso che io non sono un sostenitore della Netrebko, ne di Mattei, ne della Frittoli, ne di tutti gli altri. io non ho un idolo nella musica operistica, io esprimo solo la mia opinione vedendo i fatti, non appoggio nessuno. la donna nuda si poteva risparmiare, cosiccome Bolle in perizoma nel 2006, ma dato che quello era Zeffirelli evidentemente si ripete la tua citazione: “ogni scarrafone è bello ‘a mamma soja”.

        • Carissimo,
          il paragone che fa lei è a mio avviso privo di significato. Bolle è un ballerino, e nell’ Aida i ballerini danzano da sempre in abiti succinti. Io ho visto almeno una ventina di Aide a Verona nelle quali i ballerini avevano lo stesso abbiagliamento, senza che nessuno ci facesse caso.
          La donna nuda di Carsen al contrario è una sottolineatura estrememente forzata e becera di un concetto che la musica e il libretto già esprimono per conto loro. Noi lo sappiamo bene che Don Giovanni è uno che vuole portarsi a letto le donne e non abbiamo bisogno che il signor Carsen ce lo venga a spiegare con questi mezzucci.
          La differenza è tutta qui.
          Ma poi, posto che Zeffirelli a me non è mai piaciuto, l’ alternativa è solo Carsen?

          • no, certo, ci sono anche altri registi molto più bravi di Carsen :io non sostengo che il suo Don Giovanni sia un capolavoro assoluto, non credo che rimarrà nella storia (nel bene o nel male) dico solo che tra tutte le ultime produzioni del 7 dicembre da quando la scala è riaperto i battenti secondo me è una delle migliori: L’europa riconosciuta di Ronconi (parola di uno che ha avuto la fortuna di esserci quel 7 dicembre) era priva di senso, L’idomeneo non aveva regia, l’Aida era di per se molto bella, ma tutte le produzioni di Zeffirelli sono fatte con lo stampino, il Don Carlo è forse stata la produzione più brutta che la scala abbia mai messo in scena, il tristano e isotta mi era piaciuto, la Carmen orrenda e cruenta (quello era sbattere in faccia al pubblico cose che il libretto esprimeva già) e la walkiria accettabile. io la vedo così. sempre pronto comunque a sentire una sua impressione sull’argomento.

    • …mi hanno parlato di circa 4000 euro al mq per lo specchio…calcola l’area e fai il conto della cifra fuori di testa, per un ‘idea vacchia e già vista, a cominciare dalla produzione precedente…..

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