Si tratta di letture pregevoli, con diverse frecce ai rispettivi archi, realizzate con solido mestiere e in alcuni punti con qualcosa di più del mestiere. Eppure nessuna delle tre registrazioni può definirsi pienamente soddisfacente, soprattutto se confrontata con alcune di quelle esaminate nelle puntate precedenti. Nessuno dei tre direttori (due dei quali considerati da buona parte di critica e pubblico esempi di perfezione assoluta e assurti, in vita, agli onori degli altari) coglie fino in fondo la natura di Carmen, quella mescolanza strana e perturbante di comicità, tragedia e lirismo.
Si consideri ad esempio l’edizione diretta dal giovane Mehta, che segue la versione tradizionale con i recitativi di Guiraud. La scelta di tempi stringati e scarsamente indugianti è funzionale alla presenza, nel ruolo eponimo, di una Resnik che potremmo definire madre spirituale dei sopranisti oggi in cospicua attività, non solo nel barocco ma anche in repertori affini a quello bizetiano: una voce sgraziata perché emessa alla bell’e meglio, di soprano lirico-leggero, per giunta afonoide in prima ottava, tutta vezzi e birignao (già rodata Clitennestra, Erodiade e Contessa della Dama di Picche, la signora, al culmine dello sfascio, avrebbe di lì a poco debuttato la Marchesa di Berkenfield). È chiaro che con una simile Carmen i margini di una lettura drammatica e accesa siano assai limitati, ma ciò non toglie che in orchestra, soprattutto negli interludi sinfonici, occorrerebbero altra varietà di colori e altra sapienza agogica per costruire il mondo che ruota attorno alla fascinosa (in altre edizioni) gitana. Il preludio, ad esempio, evoca, più che la Spagna della corrida, mondo gioioso e terribile, il celebre parco Disney nei pressi di Orlando. Idem dicasi per il quarto atto, in cui la sfilata dei toreri assume dimensioni giustamente grandiose ma non conserva traccia del caldo soffocante, dell’attesa fanatica e spasmodica, della violenza latente della feria sivigliana. Al massimo siamo sulla 34° Strada in occasione della Festa del Ringraziamento. Fortunatamente l’edizione è illuminata dalla presenza di uno dei massimi Don José “dopo il 78 giri”, vale a dire Richard Tucker, che a cinquant’anni abbondantemente suonati, e malgrado acuti un poco forzati (ma la parte è, nel complesso, assai centrale), si conferma protagonista di assoluto riferimento, per la cavata impressionante, il fraseggio duttile ma privo di sbracamenti nel parlato o semplicemente nell’effetto gratuito, e la facilità con cui nel finale ultimo riesce a smorzare i suoni in zona di passaggio, dimostrando che in questo modo, e non in altri, si è grandi cantanti e si può, di conseguenza, aspirare ad essere grandi interpreti.
Abbado, alla testa della London Symphony Orchestra e alle prese con l’edizione Oeser (con qualche taglio qua e là, ad esempio il da capo del duetto Don José-Escamillo), è ammirevole per precisione e leggerezza di tocco, cogliendo nelle parti più “leggere” (habanera, seguedilla, quintetto, morceau d’ensemble al terzo atto, dialogo fra Carmen e le amiche prima del finale) lo spirito del genere opéra-comique e assecondando al tempo stesso come meglio non si potrebbe la protagonista, Teresa Berganza, la cui Carmen, costruita a partire dal modello di Conchita Supervía, costituisce una delle creazioni più fascinose dell’artista madrilena. Priva di voce privilegiata in natura e sprovvista, nel registro grave, dello spessore richiesto da scene come la chanson bohème e il terzetto delle carte, il mezzosoprano spagnolo si serve di questi limiti per disegnare un personaggio lieve e sfuggente, sommamente enigmatico, che solo nel finale sembra rendersi conto di essere finita, quasi per gioco, alle soglie della vita e della morte e si accorge, per la prima volta, di avere paura, perde il controllo, sfida per l’ultima volta don José ma senza l’antica leggerezza, e firma così la sua condanna a morte. Una simile protagonista avrebbe richiesto un direttore meno simile a lei, un Mitropoulos, capace di descrivere, in orchestra, la battaglia interiore che Carmen vive quasi a propria insaputa, e non un accompagnatore abile e attento, ma invariabilmente freddino, come Abbado. Il maestro milanese riesce, per contro, a fare un grande servizio all’altro protagonista, il solitamente assai brado Plácido Domingo, aiutato da tempi ragionevolmente spediti ma senza irragionevoli accelerazioni: si ascolti ad esempio la romanza del fiore, in cui il morbido tappeto sonoro cesellato da Abbado compensa splendidamente le pecche del tenore (e i suoni assai avventurosi in fascia sol-sib acuto) e al tempo stesso gli consente, con opportuni rubati e sapienti indugi, di gestire il fiato in modo da arrivare ragionevolmente integro al termine del brano. Purtroppo si cercherebbe invano un’identica sapienza orchestrale negli interludi sinfonici, assolutamente qualunque, fin dal Preludio, solfeggiato e ben poco fascinoso.
Resta da dire di Carlos Kleiber, che per certi versi si ricollega al filone delle Carmen monumentali alla Karajan, per altri se ne distacca decisamente, senza però trovare un equilibrio fra grandeur ed estroversione drammatica. L’edizione seguita è una strana mescolanza di edizione tradizionale e revisione di Oeser, con apertura di tagli quali il mélodrame Don José/Moralès e la riproposta dei dialoghi parlati, cui però a volte si sostituiscono i recitativi di tradizione (ad esempio quello, bellissimo, che introduce l’aria di Micaela). A ciò si aggiunga lo spostamento dell’ultimo entr’acte, collocato qui dopo il coro d’introduzione “A deux cuartos”, e utilizzato quale divertissement coreografico. Un patchwork a-filologico che, con buona pace dei puristi, non disturba più di tanto e che si fonde piuttosto bene con il celebre e lussuoso spettacolo di Franco Zeffirelli. L’orchestra è impressionante per vigore e precisione negli interventi solistici (anche nei momenti di maggiore tensione, come il tumulto delle sigaraie e la chiusa della chanson bohème, a conferma del fatto che le esasperazioni agogiche sono raccomandabili solo e unicamente a quei direttori che posseggano un perfetto controllo dell’arte loro), ma risulta spesso un poco fracassona, segnatamente nel gruppo degli ottoni. La scelta di tempi esasperatamente stringati è, ancora una volta, funzionale alla prova dei protagonisti, Elena Obraztsova, di voce grande quanto sgangherata, e il già citato Domingo, qui ancora più provato che nella recita di Edimburgo. Fra l’altro la Obraztsova, prima di scatenarsi nella chanson bohème e poi, davvero senza limiti, nel duetto finale, è insolitamente contenuta e sorvegliata nel mélodrame dell’arresto, evidentemente per ordini “superiori”. Gli stessi che, di concerto con un tempo moderato, ma non artificiosamente dilatato, e un’orchestra mantenuta nell’ambito di sonorità raccolte, consentono alla non più che modesta Isobel Buchanan di sortire un bell’effetto dall’aria di Micaela. Aria che per inciso fu, forse non del tutto impropriamente, considerata “degna di una corista” dal soprano cui era stata affidata la prima esecuzione del ruolo a Londra, nel 1878. Purtroppo nel “Fiore” non si riscontra, da parte del direttore, analoga perizia, e la prova di Domingo si colloca, di conseguenza, a un livello drasticamente inferiore rispetto a quella dell’anno precedente. Nel complesso quella di Kleiber è una Carmen di grande effetto, ma che, forse per il desiderio di evitare il folklore da operetta e il “grazioso” di maniera, enfatizza le tinte, esaspera i contrasti e perde così di vista l’aspetto più fascinoso e in fondo insondabile dell’opera, la leggerezza che tanto affascinava Nietzsche. Il rischio in agguato è quello di ridurre la bruciante tensione drammatica a una sorta di parodia involontaria. E questo, lo ribadiamo, malgrado il braccio sicuro del Maestro non lasci nulla al caso o all’approssimazione.
Gli ascolti
Dirigere Carmen / 4
Preludio – Zubin Mehta (1969), Claudio Abbado (1977), Carlos Kleiber (1978)
Atto I
Avec la garde montante – Zubin Mehta (1969)
Au secours! au secours! n’entendez-vous pas?…Tra la la, coupe-moi, brûle-moi – Elena Obraztsova (1978)
Près des remparts de Séville – Teresa Berganza (con Plácido Domingo – 1977)
Entr’acte – Zubin Mehta (1969)
Atto II
Les tringles des sistres tintaient – Elena Obraztsova (1978)
Nous avons en tête une affaire – Teresa Berganza, Nan Christie, Alicia Nafé, Gordon Sandison & Geoffrey Pogson (1977)
Halte-là! Qui va là? – Richard Tucker (1969)
Je vais danser…Au quartier! Pour l’appel! – Regina Resnik & Richard Tucker (1969)
La fleur que tu m’avais jetée – Plácido Domingo (1977, 1978)
Entr’acte – Carlos Kleiber (1978)
Atto III
Mêlons! Coupons!…En vain, pour éviter les réponses amères – Teresa Berganza (con Nan Christie & Alicia Nafé – 1977)
Je dis que rien ne m’épouvante – Isobel Buchanan (1978)
Holà! Holà! José! – Regina Resnik, Richard Tucker, Judith Raskin & Justino Díaz (1969)
Entr’acte – Claudio Abbado (1977)
Atto IV
A deux cuartos!…Les voici, voici la quadrille…Si tu m’aimes, Carmen…Carmen, un bon conseil…C’est toi? C’est moi – Regina Resnik, Richard Tucker & Justino Díaz (1969), Teresa Berganza, Plácido Domingo & Tom Krause (1977), Elena Obraztsova, Plácido Domingo & Yuri Mazurok (1978)
Devo dire che, in generale, tutti i post sulla Carmen sono su un livello altissimo… Complimenti davvero a tutti… Quello sull'edizione Oeser, in particolare, è una meraviglia… Ho sempre pensato anch'io che quella di Oesere fosse un'edizione "bufala" (ma non si potrebbe dire tra gli addetti ai lavori, almeno in Italia e Germania!!!). Condivido anche gran parte dei giudizi sulle Carmen esaminate finora… Con alcuni distinguo, però. Innanzitutto la Carmen di Kleiber… Francamente non ho mai sentito una direzione dell'opera di Bizet così improntata al colore e, perchè no, anche al "colorismo" che – come elemento – è assolutamente presente sia nella novella di Merimée che nell'opera di Bizet (perchè negarlo?… Non si addice agli ambienti snob!!!)… L'ultimo atto di Kleiber è una meraviglia di colori e suoni lussuregianti pari solo all'edizione Karajan (che è un vero e proprio faro della discografia di tutti i tempi)…
La Carmen della Resnik: certamente nel '69 la voce è alquanto dissipata (da più di dieci anni di repertorio folle… Da Otello di Verdi a Don Carlo con doppio ruolo… E poi Azucena, Puccini, Donizetti e così via, fino a Poulenc…): ma è indubbio che figuri un personaggio affascinante, che certamente doveva ricevere notevole risalto dalla recitazione della cantante. Voglio poi ricordare come la Resnik abbia inciso una splendida Carmen in studio (1959), con – udite! udite! – Joan Sutherland nel ruolo di Micaela, una Micaela splendidamente cantata come non accadrà più (comprese Freni & C.). Nell'incisione la Resnik dipinge una personaggio splendido: sfuggente, femminile ma non atteggiato, una donna che sfugge la sua stessa sensualità; insomma: un'esecuzione certamente non ortodossa, ma che trovo affascinante.
La Carmen di Abbado: tralascio ogni discorso sulla Berganza, che cmq trovo in assoluto la Carmen meglio cantata della discografia, sebbene abbia qualche riserva sulla lettura interpretativa della grande spagnola, secondo il mio parere troppo signora borghese… Il lato cosiddetto "paesaggistico" o "di contorno" o "folklorico" dell'opera è importante: non fermarsi su di esso è doveroso, ma non lo si può nemmeno eludere per passare oltre… La Berganza non ha voce per Carmen, c'è poco da fare o dire, non ostante tutti i distinguo che si possono e devono fare di fronte a un canto davvero immacolato… Ma la Carmen di Abbado, secondo il mio parere, è una meraviglia: una direzione che a volte si nasconde nello spartito, ma credo volutamente… La Carmen – come avete sostenuto anche voi – è una meraviglia dal punto di vista strumentale e musicale in generale… Ed Abbado si è accorto di questo nella maniera più assoluta e completa, quasi più di Karajan e Bernestein. Lascia "parlare" la partitura, eseguendola con una pulizia, un equilibrio tra le varie sonorità, una gestione delle notazioni espressive assolutamente eccezionali. In alcuni punti può sembrare addirittura sciatta: ma, forse per la prima volta, tutti i particolari dello spartito, entrate di strumenti, accompagnamenti (che cos'è l'accomnagnamento del violino e violoncello solo alla canzone di Carmen nel I atto!!!!), piani sonori, tempi, sono nitidi, chiari… Lo spartito ne esce per quello che realmente è: un CAPOLAVORO MUSICALE ASSOLUTO…
"Scrivo…tre righe a volo".
Sto seguendo con attenzione le varie autopsie ed analisi della Carmen tanto amata.
Personalmente preferisco la versione con i recitativi cantati probablimente perchè io l'opera l'ho conosciuta così. Penso che in un teatro grande il "parlato" perde la sua forza o comunque le sue nuances. Forse un'edizione al Teatro Strehler o posto simile potrebbe farmi apprezzare meglio quel tipo di trattamento.
Poi, diciamo la verità, non tutti i cantanti lirici delle GRANDI edizioni sarebbero stati capaci di giocare con il testo e forse non avremmo avuto la possibilità di sentire questi stessi GRANDI cantanti in questi ruoli e… diciamolo pure, forse l'opera non avrebbe avuto la popolarità della quale gode oggi. Chi può dirlo? Comunque, si tratta di una cosa personale.
Voglio solo dire, anzi, gridare, "BRAAAAVIII!" a voi, come una volta si faceva in teatro, per il grande lavoro che state facendo. Continuate così. Credetemi è molto apprezzato.
A presto.
@Velluti: …Poi quella edizione della Resnik in studio, che amo quanto quella di von Karajan con la Price, ha la direzione di Schippers (scusate mentre sospiro)… E sì, quella splendida Micaela della Sutherland che non è la solita provincialotta che porta, insieme alla lettera da mammà, una colazione di formaggini e pane di campagna. Secondo me, la Micaela della Sutherland sa benissimo il "passato" di Don José e ne dipinge pure un bel personaggio.