Voglio soffermarmi, qui, su tre diverse interpretazioni: distanti l’una dall’altra, opposte – per certi versi – o incompatibili, eppure tutte e tre affascinanti: Herbert von Karajan, Sir Georg Solti, Leonard Bernstein. Innanzitutto il testo: mentre il primo incide la classica edizione Choudens (dandone, analogamente a quanto fece con il Boris Godunov nella revisione di Rimsky-Korsakov, l’esecuzione “definitiva”, una sorta di summa, esaltandone tutte le sue particolarità senza nessun senso di inferiorità rispetto a quella che diverrà, di lì a poco, l’edizione più diffusa dell’opera: e che comunque vorrà incidere, seppur solo nel 1982, ossia nel periodo più discusso e discutibile della sua parabola artistica), gli altri due si rivolgono alla ormai obbligatoria Oeser. Ma poco rilevano le scelte editoriali, quando è il disegno interpretativo imposto dai concertatori a marcare le differenze. Infatti ascoltiamo un Karajan che cesella ogni particolare della partitura, ogni dettaglio, con varietà e fantasia: una visione luminosa e mediterranea (priva però di cedimenti al facile folklore), ma allo stesso tempo trattenuta entro i limiti di un grande equilibrio ed una costante eleganza. La scelta dei tempi, i contrasti dinamici, la gestione dei colori: Karajan dà alla partitura un respiro unico, continuo, ininterrotto (e in ciò la versione solo cantata agevola: mai i recitativi di Guiraud sono risultati così legati alla musica originale di Bizet, sembrando quasi irrinunciabili). Giustappone le grandi scene di massa (dal suono pieno, maestoso, ma morbido) al lirismo dei momenti più intimi, senza mai allentare la tensione: Carmen è davvero il dramma della sensualità. Una sensualità ironica, a volte, ma spietata e mortale (si senta come vibra il tema del destino al termine del preludio). Differente l’approccio di Solti: la scelta della Oeser, e quindi il rifarsi all’originale opéra-comique, non comporta per il direttore ungherese, smorzare la passionalità che, seppur frutto di malintesi, l’aveva accomunata a certe espressioni del verismo musicale, nè significa un sottodimensionamento dell’opera a divertissement borghese, anzi, la sua lettura è infuocata e vibrante. Una Carmen coloratissima, dai ritmi incalzanti e frenetici, dal suono grasso e sontuoso: una cavalcata vitalistica attraverso tutte le stazioni che una passione sfrenata percorre, prima di giungere all’esito estremo. Ancora diversa la Carmen di Bernstein – che pure adotta l’edizione Oeser – quasi opposta alla precedente. I ritmi si dilatano e il colore si scurisce: una sensazione tragica e fosca compare fin dal preludio, che dimentica la brillantezza solita, per assumere un presagio luttuoso, con il lugubre cadenzare dei fiati. Un’orchestra dalle screziature decadenti, un coro solenne, un suono teso e i contrasti esasperati. La passione si trasforma in peccato e il destino diventa l’unico filo conduttore della vicenda: una visione disperata e pessimista, come in un quadro di Goya. Ma è opportuno soffermarci su alcuni esempi. Preludio: uno squarcio di luce quello di Karajan. Il tempo non è eccessivamente rapido, ma comunque vitale e scattante; la tavolozza strumentale è particolarmente equilibrata, senza il prevalere di uno strumento sull’altro (anche i piatti, diversamente dal solito, non sono ingombranti e chiassosi); i temi sono ben identificati, ma scorrono uno dopo l’altro senza soluzione di continuità, donando coerenza all’intera struttura (ad esempio, mai il tema di Escamillo è stato trattato con altrettanta delicatezza). Impressionante il tema del destino: pochi tocchi, il tempo un poco ritenuto, il vibrato nervoso degli archi. Un’ombra che per poco oscura la luce calda e mediterranea che il direttore diffonde sul brano. E quando si apre il sipario, davvero si “sente” una sonnolenta piazza di Siviglia, bruciata dal sole meridiano e popolata di passanti, curiosi, femmine e soldati che, accompagnati, dalla disinvolta e leggera orchestra di Karajan aspettano di “perdere tempo”. Con Solti, invece, il brano si apre in una esplosione di colore, esuberanza – forse un po’ troppo esteriore e forzato – i tempi sono rapidi ed incalzanti (a volte un pò affrettati), gli ottoni scandiscono, insieme alle percussioni, lo scoppio orchestrale, in un vitalismo molto immediato e solare. Nello stesso modo irrompe il tema di Escamillo: improvviso contraltare a questa sorta di ebbrezza, il tema del destino, in un contrasto quasi violento, tenuto largo da Solti, comodo e insistendo nel sottolinearne l’incombenza. Bernstein, infine, coi suoi tempi lenti e solenni, esplicita fin da subito la propria lettura del dramma (un trionfo della morte, quasi dannunziano, che già all’inizio mostra di ben conoscere l’unico esito possibile del dramma, rectius della tragedia): il preludio diventa una lugubre processione, con gli interventi allucinti degli ottoni e l’incedere cadenzato delle percussioni. In questa visione il tema del destino non appare senza preavviso, in contrasto con l’atmosfera precedente, ma ne è la logica conseguenza. L’entrata di Carmen, con l’habanera, è un altro momento in cui bene si evidenziano le differenti letture: dall’insinuante passo di Karajan (con il vellutato pulsare dei violoncelli), all’appassionata e più veloce versione di Solti, quasi frenetica (e, a mio giudizio, assai meno affascinante della prima: soprattutto laddove Karajan accompagna una straordinaria Price, che è Carmen, non la interpreta solamente), sino alla straniante esecuzione di Bernstein che, coadiuvato dalla Horne (e condizionato, direi, dalla stessa), pare trasognata e straniante (forse poco rispettosa dello spirito dell’opera ed in sospetto di lettura intellettualistica). E ancora nei tre entr’acte: ognuno con il suo diverso carattere (in relazione al diverso momento del dramma). Dal primo, insinuante e sensuale, con la sua melodia misteriosa segnata dal rullo dei tamburi, al secondo che immerge l’ascoltatore nella pace e nel silenzio di uno spazio indefinito tra le montagne e la notte, fino al terzo, tragedia nella tragedia, ossia la corrida. In questi brani, più che altrove e per quanto brevi possano essere, emergono chiaramente le differenti concertazioni: dall’eleganza di Karajan che domina ogni sfumatura senza mai indulgere negli effetti coloristici (rischio più che concreto in Carmen, e in cui molti sono caduti) in un equilibrio tuttora ineguagliato, agli eccessi di Solti (specie nel terzo, decisamente pompieristico) sino a Bernstein che accosta soluzioni interessanti ad abbastanza discutibili cadute di gusto, a volte volgari (si prenda ad esempio il terzo, di nuovo, con quel goffo rallentando verso la fine). Allo stesso modo la chanson del secondo atto. Difficile, poi, dirigere l’atto IV tenendosi lontani dal folklore, nella prima parte, e dagli eccessi veristici nel duetto e nel finale. Devo dire che, tra i tre direttori analizzati, solo Karajan ci riesce. Infatti mentre Solti si astiene dal caricare di effettacci l’ultima parte dell’atto, mentre eccede in dimensioni, impatto sonoro e colore locale nella grande scena di massa davanti alla Plaza de toros; Bernstein, pur imponendo una lettura trattenuta, drammatica e un pò inquietante agli interventi corali che aprono l’atto (forse dimenticandosi che la varia umanità che popola la piazza non è il Coro delle Eumenidi), condisce il duetto con spezie troppo forti, dandogli un che di posticcio e hollywoodiano (e un pò volgare e sguaiato) che carica di eccessivo pathos una costruzione musicale che davvero non avrebbe bisogno di tali vezzi per esprimere tutta la carica drammatica di cui dispone. Tre grandi interpretazioni, comunque – anche se qualche critico ha storto il naso per quella di Bernstein, forse più a causa di personali pregiudizi nei confronti della Horne che per serenità di giudizio e onestà intellettuale – tre letture originali e fondamentali nel percorso esecutivo dell’opera di Bizet. Percorso che, ancora oggi, deve a Karajan la vera chiave di svolta: la trasformazione da drammone pseudo verista (con caricature insopportabili, urla, berci e facile folklore) a vero capolavoro del teatro musicale, quello che Strauss tanto ammirò (e con lui Brahms, Ciaikovskij, Nietzsche).
Gli ascolti
Dirigere Carmen / 3
Preludio – Herbert von Karajan (1954), Leonard Bernstein (1972), Georg Solti (1973)
Atto I
L’amour est un oiseau rebelle – Giulietta Simionato (1954), Shirley Verrett (1973)
Entr’acte – Herbert von Karajan (1954), Leonard Bernstein (1972), Georg Solti (1973)
Atto II
Les tringles des sistres tintaient – Giulietta Simionato (1954), Marilyn Horne (1972)
Nous avons en tête une affaire – Marilyn Horne, Colette Boky, Marcia Baldwin, Russell Christopher & Andrea Velis (1972)
Je vais danser en votre honneur…Au quartier! Pour l’appel! – Giulietta Simionato & Nicolai Gedda (1954), Shirley Verrett & Plácido Domingo (1973)
Entr’acte – Leonard Bernstein (1972), Georg Solti (1973)
Atto III
Entr’acte – Herbert von Karajan (1954), Leonard Bernstein (1972), Georg Solti (1973)
Atto IV
A deux cuartos!…Les voici, voici la quadrille…Si tu m’aimes, Carmen…Carmen, un bon conseil…C’est toi? C’est moi – Giulietta Simionato, Nicolai Gedda & Michel Roux (1954), Marilyn Horne, James McCracken & Tom Krause (1972), Shirley Verrett, Plácido Domingo & José Van Dam (1973)