Qualcosa di nuovo nel Belcanto: Jessica Pratt


Il Belcanto oggi soffre. Soffre l’imperversare di interpreti inadeguate, imposte da teatri, case discografiche, organi di stampa, critici compiacenti e pubblici disposti a sorbirsi qualsiasi cosa venga loro concessa. Ogni tanto tuttavia sembra vi sia qualche eccezione. Ho assistito alla prima cremonese della Lucia di Lammermoor. E come dice la Sutherland, oggi, se sei fortunato, vai a teatro e senti una sola voce decente.. stavolta evidentemente, siamo stati fortunati ed una l’abbiamo trovata!
In uno spettacolo funestato da un tenore improponibile, un baritono non all’altezza ed un direttore assolutamente non in grado di affrontare la partitura, con sbavature di ogni tipo, attacchi sporchi – soprattutto gli ottoni: i corni in particolare – tempi velocissimi e sbrigativi (mai sentito un “Verranno a te sull’aure” così veloce) e lettura assai approssimativa e superficiale (per non parlare degli innumerevoli tagli inferti senza pietà e rispetto al testo, degni della peggior routine anni ’60), ecco apparire qualcosa di assolutamente rilevante. Jessica Pratt: Lucia. Chi è? Confesso di non averla mai ascoltata prima. Apprendo dalle sue note biografiche che ha 28 anni, è australiana, ha vinto una serie di concorsi in patria e si è piazzata ai vertici di importanti premi internazionali, ha partecipato a varie master class con Joan Dornemann, Yvonne Minton, Jonathan Summers, Sir Donald McIntyre e, soprattutto, Dame Joan Sutherland, ed è – credo tutt’ora – allieva di Renata Scotto. Un curriculm interessante dunque. Ma torniamo alla sua Lucia e alla sua voce. Innanzitutto colpisce lo spessore, il corpo: pieno, robusto, saldo. Gli acuti sono sicuri e svettanti, disinvolti e facili. I centri non sono sempre impeccabili, ma comunque notevoli (e ha tempo per correggersi, è da pochissimo sulle scene). La coloratura è perfetta e le agilità sono eseguite con estrema precisione e spavalderia, sono fluide e mai sbiadite, mai confuse. A ciò si aggiunga un ottimo gusto nelle variazioni. Il respiro e i fiati sono ampi e distesi. La dinamica e la tavolozza espressiva è estremamente estesa e varia. Splendidi i piani – delicati e morbidi – e pieni e sonori sono i forti. Dà la sensazione di poter mettere la voce dove vuole. Ciò che impressiona maggiormente, tuttavia, è l’estrema sicurezza del canto. Sicurezza che è data da una corretta emissione ed una perfetta tecnica (sempre questo è il punto dolente, il punto che i seguaci di una sorta di “pensiero debole” del canto tendono a relativizzare, sostenendo che non esiste una tecnica corretta, ma che tutto deve essere lasciato alla soggettiva impressione del fruitore). Credo che solo con una tecnica corretta si possa affrontare il Belcanto (e anche tutti gli altri generi, per la verità..) con risultati convincenti. L’emissione della Pratt era perfetta (si sentiva ovunque in teatro – e la scenografia non aiutava di certo, essendo uno spazio vuoto privo di quinte – al contrario del tenore, che non si sentiva mai), e lo era perchè utilizzava una certa tecnica. E la differenza si sente. No ha avuto bisogno di urlare, di sbiancare la voce, di emettere grugniti, di agitarsi come una tarantolata (come è usa la Sig.ra Dessay) per essere convincente, ha semplicemente espresso con il canto e seguendo le indicazioni espressive segnate da Donizetti, ciò che la musica vuole comunicare, dall’ansia dell’attesa all’illusione di un amore impossibile, dal dolore astratto al delirio della pazzia, senza mai sbracare, senza mai esagerare e senza mai annoiare (alla faccia di chi sostiene che solo esagitandosi in scena, con abluzioni personali e lavacri o bagni di sangue o strip-tease schizofrenici, si rende drammaticamente la vicenda di Lucia e il suo personaggio). Ma voglio analizzare i momenti salienti di quello spettacolo. Ovviamente la prima aria, dopo lo struggente solo di arpa, la Pratt disegna un “Regnava nel silenzio” con fiati molto lunghi e fraseggio morbidissimo, in modo da esaltare l’ampiezza della melodia, e dare un senso di estrema tensione e unitarietà all’episodio, in una perfetta via di mezzo tra passione e astrattezza notturna. Segue la cabaletta “Quando rapito in estasi” affrontato con estrema sicurezza nelle agilità impeccabili e fluenti: il da capo è variato con ottimo gusto e spavalderia. Il tutto senza mai perdere la concentrazione drammatica, senza nessuna sbavatura. Salto il duetto con Edgardo perchè il tenore era inascoltabile! Splendido il duetto col baritono così come la scena col basso e il sestetto. Voglio correre però alla scena della pazzia, momento topico dell’opera, risolto egregiamente dalla Pratt, con pathos sempre controllato, cercando di esprimere con la voce e la coloratura, il delirio, senza scorciatoie sceniche ed esteriori. E’ una pazzia interna, segno esterno di un dolore esploso di dentro, mai sguaiato e mai sgangherato (come invece lo è quello della Dessay, che arricchisce il brano con urla e pianti assolutamente fuori luogo). La cadenza è quella classica, col flauto, con il quale la Pratt dialoga fino a non riuscire a distinguere le due voci, tale è la perfetta sintonia, la perfetta sovrapposizione. Emozionante. Ed era tanto che non mi succedeva a teatro! Un nome, quello di Jessica Pratt, da tenere d’occhio dunque. In un panorama sterile e desolato, in cui sopranini dalla voce chioccia, piccola, poco estesa, stridula e scorretta, affrontano ruoli per loro proibitivi, forse sta nascendo qualcosa di veramente nuovo e interessante. E sta nascendo grazie al ritorno ad una tecnica corretta, che ha come modello cantanti come la Sutherland, e che riporta il Belcanto a quella notturna astrattezza che è necessaria ad esaltare la potenza e la bellezza della musica (dopo l’attuale predominio di baccanti urlatrici, di strillone sguaiate che hanno scambiato Lucia o Amina per Santuzza o di bamboline con voce querula), rifuggendo da certi superficiali e volgarissimi effettacci interpretativi. Concludo con una speranza, quella cioè di non vedere tra pochi anni la Pratt trasformata in declamatrice e alle prese con Elektra o giù di lì: tale è, infatti, la disabitudine a sentire una voce con corpo e potenza nel belcanto, ora appannaggio di sopranini lirici, che a qualcuno potrebbe venire in mente di utilizzarla per cantare certo Verdi o di massacrarle la voce con Strauss. Spero invece che venga restituito al Belcanto ciò che è suo.
Post Scriptum: sulla sua pagina web si possono trovare due bellissimi ascolti: “Der Holle Rache” e “Qui la voce sua soave”.

3 pensieri su “Qualcosa di nuovo nel Belcanto: Jessica Pratt

  1. Ero alla recita di domenica e sottoscrivo in pieno il giudizio di Duprez. Aggiungo solo che la Pratt ha davanti a sé un sentiero in salita… nel 2009 l’attende Elcia a Chicago! Incrociando le dita, direi che ha le carte in regola per superare la prova con onore, se non brillantemente.

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