Venerdì 18, inaugurazione di stagione al Teatro Coccia di Novara con l’Ernani di Verdi, assente dalle scene novaresi da ben 92 anni. Essendo la prima, c’erano fotografi e TV e si è potuto assistere ad una sfilata di abiti di gusto (e disgusto) quanto mai vario, sia per le signore che per i signori, su cui non mi soffermo oltre.
Principale motivo di interesse, la presenza, quale Don Carlo, del baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat, che già aveva avuto un notevole successo a Novara due anni fa in Nabucco (opera appena cantata a Parma) e di cui avevo sentito dire un gran bene da più persone che lo avevano già udito cantare. Sempre come Nabucco lo stesso aveva sostituito Leo Nucci la scorsa stagione in un’esecuzione concertistica a Lione, riscuotendo un trionfo tale da venire subito ingaggiato per un Ernani, sempre in forma concertistica (ma con il genere di regie che impera a Lione ciò non è un male), che sarà diretto da Daniele Rustioni ad inizio Novembre e di cui l’esecuzione novarese costituisce una specie di anteprima.
Diciamo subito che – come da previsioni – Amartuvshin Enkhbat è stato il trionfatore della serata. Serata su cui si sono abbattuti gli strali dei mali stagionali, dato che il soprano titolare del ruolo di Elvira, Courtney Mills, per malattia, è stata sostituita da Alexandra Zabala ed il tenore protagonista Migran Agadzhanyan è stato annunciato indisposto prima dell’inizio dell’opera.
La cantante sostituta non ha convinto affatto come Elvira, parte di cui non possiede affatto la voce. Dotata di voce di scarso volume, carente di ampiezza, problematica nell’esecuzione, difettosa nella tecnica, è risultata l’elemento più debole della distribuzione.
Il tenore, stante l’annunciata indisposizione, risulta un po’ difficile da giudicare. Il timbro è bello, c’è una buona pronuncia italiana e la voce parrebbe portata all’acuto. Però il fraseggio era generico, con scarso uso della dinamica, che si rifugiava in un costante mezzoforte o forte, non possiamo dire se per carenze interpretative o per necessità dovute allo stato di salute. Il soggetto è però apparso interessante e sarebbe bene riascoltarlo quando è in perfetta forma.
Bravo Simon Orfila come Silva. Non per niente il basso spagnolo ha una certa carriera internazionale (per quel che oggi vuol dire…), pur non essendo dotato in natura di uno strumento vocale eccezionale (ma dalla biografia si vede che è stato allievo di Kraus e questo spiega molto per quanto attiene a tecnica, stile e gusto). La voce non è di quelle potentissime, estese e tenebrose di certi Silva d’antan, tipo Siepi e Christoff, però, per un cantante dei giorni nostri, sa cantare meglio della media, con una voce ben udibile in sala e soprattutto, con un intelligente uso della dinamica e dei colori. Insomma: sa interpretare. Il che non è mai una cosa sgradita.
Come già preannunciato, la palma del migliore non può che essere attribuita al baritono Amartuvshin Enkhbat quale Don Carlo, tanto che quasi l’opera si sarebbe potuta denominare “Carlo V”, senza problemi di confusione con l’omonima opera di Krenek (ma chi la conosce da noi?), tale e tanta è stata la centralità che il baritono mongolo ha conferito alla sua parte.
Siamo di fronte ad una vera voce di baritono verdiano nell’accezione che a tal termine si dava quando c’erano le voci, piena, possente, ricca, omogenea in tutta la gamma e con notevole facilità in acuto, tanto per capirci del genere Bastianini, Protti, Cappuccilli, MacNeil. Insomma, una voce tale, davvero notevole per quantità e qualità, come non capitava di sentire da tanto tempo
Le note della parte ci sono tutte e sono raggiunte con invidiabile facilità, si tratti del registro grave o di quello acuto. Buona anche l’interpretazione, con una dinamica varia, e con un buon uso dei colori, anche se il personaggio viene fuori più di potenza che di finezza (ma il cantante è ancora abbastanza giovane ed avrà tutto il tempo per eventuali rifiniture, l’importante è che ci sono voce e tecnica). Più che il “vieni meco”, i momenti migliori sono il “lo vedremo o veglio audace” e l’aria del terzo atto, conclusa da un acuto fuori serie, non scritto, forse fuori stile, ma semplicemente entusiasmante. L’esecuzione, infatti, è stata salutata dal più grande applauso della serata e da richieste di bis.
Corretti nelle loro parti Marta Calcaterra, Albert Casals ed Emil Abdullaiev.
Tutt’altro che appassionante la parte orchestrale. L’orchestra, soprattutto nel primo atto, aveva delle vere sonorità bandistiche, e copriva il coro. E la direzione del M° Matteo Beltrami appariva pesante e non abbastanza rifinita. Bene, invece, il Coro Sinfonico di Milano “Giuseppe Verdi” che si è ben fatto valere nel “Si ridesti il leon di Castiglia”.
Estremamente tradizionale e piacevole alla vista lo spettacolo di Pier Francesco Maestrini, con scene e costumi di Francesco Zito che riproduceva sul più piccolo palcoscenico del Coccia una regia di Beppe De Tomasi nata anni fa per la grande scena del Massimo di Palermo.
Scene prospettiche dipinte secondo le migliori tradizioni della scenografia italiana, per intenderci quella che dai Bibiena e dai Galliari arriva fino ai vari Benois, Zeffirelli, Samaritani, Frigerio e Pizzi. Particolarmente spettacolare la scena del secondo atto, anche se più che una sala nel palazzo di Silva sembrava una cattedrale gotica. Belli i costumi, tutti di tipo rigidamente storicistico.
Regia fedele a quanto previsto nel libretto con la sola variante, nel finale (ma già era così a Palermo) di Elvira che – come in Hugo – si uccide dopo Ernani.
L’opera è stata eseguita con il taglio delle riprese delle cabalette. Nei soprattitoli del terzo atto la frase “Ad augusta, per angusta” diventava “Ad augusta, per augusta”, mentre nel quarto atto, tale essendo l’abito del personaggio, il coro si chiede chi se ne stia “vagolando in rosso ammanto” invece che nero come da libretto.
Alla fine dell’opera i maggiori applausi sono ovviamente stati per il baritono, dopo di lui chi ne ha ricevuto di più è stato il basso, poi il tenore, poi il soprano.
Grandi complimenti per chi ha lasciato acceso il telefonino che si è messo a squillare nel bel mezzo di un brano cantato in pp. Ovviamente, alla faccia degli annunci, molti spettatori avevano i cellulari accessi pronti a riprendere lo spettacolo, con evidente fastidio dei vicini. Qualcuno ha persino usato il flash. Nella parte posteriore della platea c’erano poi vari fotografi intenti a fare scattare le loro macchine. Gli scatti erano notevoli, prolungati e fastidiosi, dato che spesso erano chiarissimi al di sopra della musica. Evidentemente c’erano macchine fotografiche con otturatore a tendina, ed allora io mi domando e dico se non è possibile fare in modo che chi fotografa uno spettacolo musicale debba usare apparecchi fotografici non rumorosi, ovvero ad otturatore centrale, oppure apparecchi digitali messi in modalità zero rumore. Non mi pare una cosa così difficile.
(Recita di venerdì 18/10/19)
2 pensieri su “Le cronache di Don Carlo de Vargas: Fine settimana lirico in Piemonte, parte prima. Ernani a Novara”
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Pesante fu la sua direzione dei puritani di anni fa. Non riesco a capire perché la nuova generazione faccia tutto questo chiasso da banda. non un colore un emozione un sentire lirico..nulla
Rispetto all’amico Don Carlo, io ho assistito alla recita della Domenica, quella con il baritono Cavalletti al posto di Enkhbat. Non c’erano fotografi, tv e non c’era nemmeno tantissimo pubblico per essere un’opera di Verdi. Dalla prima galleria, lo spettacolo è apparso ottimamente riuscito dal punto di vista scenico e concordo con l’amico recensionista. Dal punto di vista musicale, non ho notato l’andamento “bandistico” del Maestro Beltrami che mi è parso piuttosto corretto e in sintonia con i cantanti. Dal punto di vista canoro, stessi problemi della prima recita. La signora Mills prova a cantare il primo atto con grossi limiti e tante difficoltà. Poi cede e lascia il posto allo stesso soprano che l’ha sostituita alla Prima che, pur con tanta volontà, evidenzia gli stessi problemi di cui sopra. Idem, il tenore viene annunciato con problemi influenzali ma resiste e porta a termine la prova ovviamente non ben giudicabile per i riferiti problemi di salute. Orfila strappa gli applausi più calorosi. E, infine, Cavalletti nei panni di Don Carlo: a mio parere, un bel timbro piuttosto scuro ma la voce ha molti limiti per essere del tutto “verdiana”. Gli acuti non sono puliti, le mezzevoci tenute a malapena, certo la potenza vocale è discreta, accettabile ma manca di una certa incisività a cui il baritono tenta di sopperire fortunatamente con la parte recitata ideale per rendere bene Verdi. E, infatti gli applausi sono a scena aperta specialmente dopo la nota aria del 3° atto. Certamente, Enkbat, che ho avuto modo di sentire in Nabucco lo scorso anno proprio a Novara e poco fa a Parma, ha qualche marcia in più sia vocalmente che stilisticamente. Molto bravi anche per me coro e orchestra. Spettacoli così con queste messe in scena ce ne vorrebbero assai!!!