Sabato sera con circa cinquecento posti invenduti ha avuto luogo l’ultima rappresentazione de “Il pirata”. È stata una produzione criticata sin dal benevolo pubblico della generale,fischiata costantemente le prime quattro sere ad onta delle apparizioni del sovrintendente sul palcoscenico a riferire bollettini medici, opportuni rinforzi di pagati compratori in teatro ed interventi della stampa ben pilotati ed esemplari per piaggeria ed esercizio del cosiddetto mestiere più antico del mondo. Di questi soggetti, che disonorano la professione che fu, limitatamente alla musica, di Rodolfo Celletti, Eugenio Gara e Franco Abbiati, abbiamo il dovere di parlare in altra, prossima occasione. Rimane, invece, da ribadire come le opere di cosiddetto belcanto (cui Pirata appartiene solo negli accidenti) sono per loro intrinseca natura il terreno più pericoloso e scivoloso per cantanti, direttori e responsabili artistici improvvisati e ci sia consentito così impreparati da non sapere in quali vie dolorose possano trasformarsi quei titoli.
Non sarà, infatti, un caso che Lilli Lehmann, la più grande cantante d’opera, testimoniata dal disco dicesse che era assai più ardua una recita di Norma, che le tre Brunilde del Ring. In primo luogo la scrittura vocale che sempre richiede ed impone la capacità di spaziare in tutta la gamma della voce, talora in zone scomode (senza scendere nel dettaglio il primo passaggio per le voci femminili e quello superiore per le maschili) di alternare declamato, arioso, agilità di grazia e di forza in tutte le figure e, poi, di legare i suoni, di dare senso ad ogni frase, di esibire dizione chiara . Poi ci sono i ruoli al di sopra di questa diffusa ed alta difficoltà. Gualtiero del Pirata è uno di quelli come lo sono Norma, Armida, Falliero. E come il reperire una Norma è sempre stata una impresa ardua e non sempre felice e fruttuosa il Pirata lo si propone quando è disponibile un tenore in grado di reggere la scrittura acutissima e le variegate esigenze di accento del bel tenebroso belliniano. Il che lo chiariamo subito non significa cantare tutte le note di Rubini, ma restituire al pubblico quelle che furono le straordinarie capacità di Giovan Battista Rubini. Trasporti all’ottava, tagli nei passi agilità, che ornano le code degli allegri, suoni acuti spinti non ci dicono solo della già raccontata inadeguatezza del cantante prescelto, ma di quella del direttore e del sovrintendente.
La legnata riservata a Riccardo Frizza, che da tre lustri viene presentato come un demiurgo del bel canto, dice che il pubblico ha veramente compreso l’inadeguatezza del direttore bresciano a cogliere l’ alternanza di languore e furore, amore ed odio, che connota questo primo esemplare prodotto del romanticismo. Poi come accaduto, secondo uno stantio e penoso copione, si possono far inondare le pagine di quotidiani e riviste di ingiurie da disponibili penne, altre le si possono convocare in ufficio per minacciare e blandire nel vaneggiamento di future, prestigiose produzioni dei capolavori belliniani, quali Sonnambula, Norma. Spiace, ma questi ingredienti sono tali da assicurare altri fiaschi perché per non scivolare maldestramente come puntualmente accade con le opere del primo trentennio dell’800 serve cultura e preparazione, esperienza ed indipendenza dalle solite agenzie, fornitrici di avariati prodotti,immessi sul mercato bloccandone od osteggiandone altri assai più capaci e pronti per certe operazioni.
7 pensieri su “IL PIRATA: le ragioni di un T(ri)ONFO”
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Ottima analisi. Vi prego traducetela anche in inglese affinché i melomani non italiani capiscano e traggano le dovute conclusioni!
Poca lungimiranza da parte di tutti. Ecco il risultato. Ero indeciso fino all’ultimo se acquistare i biglietti ma se già sai come sono andate le prime recite che senso ha? E poi con tutti i tenori giusto giusto pretti?
Ho ascoltato pretti una sola volta a Roma, quale duca in Rigoletto. Lo trovai del tutto inadeguato, in estrema difficoltà nel passaggio, scarso in volume, con un timbro che per il mio gusto è assai ingrato, non ostante quanto si dica, e comunque tremendamente noioso. Frizza è notoriamente uno scadente battisolfa. Quanto al regista, usando un eufemismo, non è proprio maestro di buon gusto e soprattutto non mi sembra che possa aggiungere alcunché a drammaturgie che gli sono culturalmente distanti.
Ora, cosa ci si poteva attendere da una produzione che nasceva sotto queste cattive stelle? Ad un certo punto, non credo si debba infierire sugli artisti, comunque rei di aver accettato parti al di sopra dei loro mezzi, quanto piuttosto su chi li ha scritturati. Inoltre, mi sembra molto giusta la vostra critica contro certa stampa, per cui tutto è bello a prescindere. Forse la risposta più sensata a tale situazione l ha data il pubblico, che si è astenuto dall’ andare a teatro.
In realtà non era l’ultima rappresentazione, ce ne sono due in questa settimana. Ieri sera la Scala ha dato un’altra eccellente dimostrazione di essere il primo teatro del mondo, con una coda lunghissima (70-80 persone) perchè non funzionava “il computer” e tempi di 8-10 minuti per emettere un biglietto….
Per quanto riguarda lo spettacolo si salva, ma non oltre, la Yoncheva, drammatico Pretti sempre ai limiti dell’urlo e noioso Frizza.
ancora due recite agonia prolungata per cantanti e scarso pubblico!!!! evviva le vecchie code in piazza scala sotto il portico
Caro Donzelli e cari tutti del Corriere della Grisi, sono ormai parecchi anni che leggo, con interesse e con piacere, il vostro blog, tanto pregevole e stimolante. Oggi è la prima volta che intervengo anch’ io, con alcune considerazioni e con una proposta, relativamente alle stagioni, presente e prossima futura, del Teatro alla Scala. Mi presento: sono un vecchio docente universitario, in pensione da alcuni anni, ma da sempre molto appassionato di musica seria (lirica, sinfonica, da camera). Vivo con mia moglie (anche lei docente universitaria in pensione e appassionata di musica) in Lombardia: ogni anno riusciamo ad andare alla Scala 10-12 volte a opere o a concerti (non balletti), comprando per tempo online (quando possibile!) biglietti per posti numerati di prima o di seconda galleria.
Nei miei giudizi, sono sicuramente meno severo della maggior parte di voi, anche perchè non mi sento nè così preparato nè così competente come voi nell’ ambito della vocalità. (A proposito, complimenti vivissimi a Donzelli per il suo splendido saggio sulla vocalità di Rubini!)
Da gennaio a oggi, mia moglie e io siamo stati a 6 spettacoli d’ opera alla Scala: Orfeo e Euridice, Don Pasquale, Francesca da Rimini, Fierrabras, Fidelio, Il Pirata (ieri, 17 luglio, settima e penultima recita). Per quanto riguarda il Pirata di ieri sera, mi dilungherò un pò nel post scriptum.
Ecco i miei giudizi sintetici (da appassionato, non solo di lirica, ma non così competente in fatto di voci) su questi spettacoli.
Regie: buona (nel suo genere) quella di Fierrabras, discreta quella del Pirata, invadenti e/o stravaganti le altre (con qualche buono spunto nella Francesca da Rimini (II atto) ).
Direttori: eccellente Chung e ottimo Harding; buoni Mariotti e Luisi; discreti Frizza e Chailly (ma Chailly è ottimo in Puccini (sempre) e in Verdi (quasi sempre) ).
Cantanti: ottimo Florez nell’ Orfeo; buoni Werba, Richter e la Roschmann nel Fierrabras, Pisaroni e la Liebau nel Fidelio………..per tutti gli altri (ahimè!) giudizio dal discreto in giù (anche con varie insufficienze, alcune gravi).
Caro Donzelli, cari Amici del Corriere della Grisi, dunque concordo, di massima, con voi sulla debolezza di molti cast vocali alla Scala………e sono preoccupato per quanto comunicato per la prossima stagione 2018/19.
Forse non ci sono più, nel mondo, cantanti di alto livello
per la maggior parte dei ruoli operistici ?
Ecco la mia proposta (un gioco!), che giro a Donzelli e agli altri supercompetenti di voci.
Prendiamo le opere in programma alla Scala nella stagione 2018/19. Lasciamo pure stare i titoli non italiani (Chovanscina, Ariadne auf Naxos, Die tote Stadt, Agyptische Elena), che richiedono interpreti “volonterosi”: a proposito, fare eseguire queste opere ogni tanto, anche solo in modo decoroso, è un punto di merito per la Scala!
Restano dunque in gioco: Verdi (Attila, La Traviata, I Masnadieri, Rigoletto); Puccini (Manon Lescaut, Gianni Schicchi); Rossini (La Cenerentola); Donizetti (L’ Elisir d’ Amore); Mozart (Idomeneo): Handel (Giulio Cesare).
Sarebbe bello se (ammesso che ne abbia voglia e/o tempo) Donzelli o qualcun altro supercompetente di voci (e di direttori; lasciamo perdere i registi !!!) indicasse, per ognuna di queste opere “italiane”, ruolo per ruolo, il migliore cast oggi possibile al mondo, direttore compreso……ovviamente, considerando solo cast dal buono in su in tutti i componenti, ammesso che ci sia per ognuna delle opere……….
Termino il mio lungo sproloquio (??), salutando Donzelli e voi tutti con tanta stima e cordialità. A presto.
Gurnemanz
P.S.
1) Post scriptum, come promesso, sul Pirata di ieri sera (17 Luglio) alla Scala. Teatro con molti vuoti (780 posti ancora disponibili, soprattutto in platea e palchi, sul sito della Scala, a due ore dall’ inizio). Mia moglie e io eravamo in seconda galleria. Pubblico attento, applausi cordiali (non entusiastici) (con pochi e isolati buu) alla fine degli atti.
Regia (con scene e costumi) discreta, ma non di più. Direzione discreta e efficiente, talvolta un pò pesante e un pò carente di colori.
Pretti: discreto, in relazione alle difficoltà della sua parte.
Alaimo: ricordavo un suo buon Falstaff, ma Ernesto non fa per lui.
Yoncheva: voce potente e forte temperamento, ma parecchi suoni sgradevoli, soprattutto negli acuti; canta quasi tutto con dinamica dal mezzo forte in su.
2) Non siamo stati finora, nel 2018, a concerti alla Scala,
a causa di sovrapposizioni di impegni. Ricordiamo tre splendidi concerti ascoltati alla Scala nel 2017: Haitink (Beethoven); Thielemann/Buchbinder (Beethoven e Bruckner); Janssons (Bruckner).
Sono rimasto stupito dallo scarso pubblico per le recite di questo Pirata: alla Scala altre opere allestite a questo livello o anche a livello peggiore non hanno fatto simili impressionanti vuoti. Non è escluso che abbiano contribuito al fiasco la stagione estiva e la debole attrattiva del titolo, di fondamentale valore storico ma sicuramente non irresistibile ( siamo ancora lontani dagli esiti formidabili di Norma e Puritani ). Rimane poi il problema dei prezzi: credo troppo alti per molti , specie in tempo di crisi. La Yoncheva – pur sfoggiando una voce di primissima qualità – nel ruolo di Imogene mi ha convinto poco , soprattutto per i disagi nel registro acuto e nella coloratura ( altrove mi è anche piaciuta molto ). Non mi sentirei di crocifiggere Pretti : alla fine è riuscito a mio parere a cavarsela dignitosamente, dimostrando un certo coraggio nell’affrontare una parte irta di immani difficoltà. Alaimo, che considero un buon cantante, avrebbe dovuto evitare un ruolo assolutamente estraneo alle sue corde. La buona direzione di Frizza è stata la cosa migliore. Ma veniamo al punto. Recentemente ho assistito a Zurigo a una recita della monteverdiana Incoronazione di Poppea: penso che raramente o mai abbia ascoltato un tale rivoltante ciarpame vocale ( tralasciando l’aspetto registico fitto di gag in tutto e per tutto degne del più corrivo cinepanettone ). Il pubblico peraltro ha apprezzato, rimanendo deliziato e divertitissimo e dunque – con mio sgomento – ha calorosamente e lungamente applaudito . Quello che intendo dire con questo esempio: altrove ( anche in teatri più importanti dell’Opernhaus ) non è che si ascoltino cose di qualità superiore rispetto a quella della Scala, teatro che rispecchia il valore del momento storico e non può inventarsi interpreti differenti da quelli che sono oggi sulla piazza. Alla Scala in compenso il pubblico non applaude immancabilmente qualunque cosa incontri, cosa che succede ormai praticamente ovunque. Non sempre condivido i dissensi ( che talvolta trovo indizio più di presunzione che di competenza ) ma sono comunque segno di una vitalità critica estinta altrove.