La seconda puntata del nostro piccolo, insignificante (come questo giornalino, diranno i soliti) percorso di avvicinamento alla première ambrosiana non poteva che passare dalla proposizione scaligera del marzo 1949, che celebrava l’autore, scomparso solo pochi mesi prima. Il direttore di quello Chénier è il dedicatario dell’odierna inaugurazione, e ci auguriamo che il direttore, che oggi riveste alla Scala il ruolo che fu di De Sabata, sappia trarre partito da un simile esempio. A fronte di interpreti dotati di voci splendide quanto della tendenza a risultare veementi e talvolta a scivolare nel teatro di prosa (specie Del Monaco) De Sabata riesce a mantenere un perfetto controllo dell’orchestra, che narra e descrive senza che la tensione sottragga spazio alla definizione del dettaglio e viceversa. Esemplare in questo senso quanto resta dei primi due atti, in cui maggiormente il direttore è chiamato a evocare il Settecento. Colpisce altrettanto, se non di più, la capacità del direttore di indurre Maddalena (soprattutto nella parte centrale della romanza) a cantare piano e cercando sfumature, che almeno in parte contraddicono l’immagine di interprete diciamo accademica, abitualmente associata alla Tebaldi.