Abbiamo intuito, girando per il web ed anche sollecitati da telefonate che dense tenebre si addensarebbero sul cast dello Chenier, che superato trionfalmente lo scoglio della cosiddetta primina, dopo una generale che avrebbe costretto il signor Pereira a manifestarsi in loggione, attende ed il pubblico della prima, da sempre più interessato ai risotti del dopo teatro, e quello delle repliche. Dell’esito del 7 dicembre non ci interessa granché primo perché fuorviato ed addomesticato e poi perché al di là dell’esito ben conosciamo la qualità tecnica ed artistica di tutti i convocati e richiamando una massima cellettiana “il canto non è l’arte della cabala” possiamo già sapere il risultato finale. E proprio sostenuti da questo adagio abbiamo pensato di dedicare, a guisa di triduo di preparazione per il Sant’ Ambrogio 2017, ai quei sub trentenni, che candidi dichiarano di non conoscere l’opera o di apprezzarne la trama (un pubblico ideale cui propinare sempre minestre di magro del venerdì, per citare Vamba) tre ascolti del capolavoro di Giordano dove oltre al canto rifulga l’arte direttoriale. Quell’arte, che discende dal solido e lungamente praticato mestiere, che consente anche in un titolo dove ci vogliono le voci di descrivere le atmosfere ed i luoghi cui Giordano, figlio del suo tempo, si è dedicato. Andrea Chenier è dapprima il falso settecento del primo atto, il tumulto popolare del secondo sul quale si dipana la vicenda d’amore dei protagonisti, poi, il lugubre quadro della prigione dove si estrinseca il Terrore come conosciuto nell’immaginario popolare ed infine il brevissimo quadro del carcere di San Lazzaro dove si coniugano l’autocelebrazione della poesia e della “nostra morte”. All’interno di ciascun atto si alternano nobiltà e popolo, odio di classe e di amore puro e sublimato. Chi dirige Chenier può limitarsi ad accompagnare e sostenere grandissimi cantanti che fanno sfoggio di acuti svettanti, ripiegamenti intimi, può, ma sarebbe più giusto dire deve sottolineare gli stati d’animo ed i sentimenti dei personaggi. Le false raffinatezze piuttosto che le esplosioni di amore, odio, spirito di patria, autolesionismo devono trovare, nelle scelte del direttore, sostegno ed amplificazione non solo sostegno al canto dei personaggi. Per questo quando Chenier è affidato ad un direttore di scuola middleuropea (Lovro von Matacic) appassionato e versato nel periodo che apre al ‘900 e per di più con disposizione un’orchestra di altissimo livello abbiamo una direzione che coi fatti (e magari anche un limitato numero di prove visto qualche svarione della Tebaldi) dimostra come Andrea Chenier possa essere non solo un’opera per voci grandi ed importanti.