Funerali di terza classe per Tito.

clemenza_salzburgAnni fa, prima che il file sharing diventasse una piacevole consuetudine, Domenico Donzelli chiese a un amico, tecnologicamente più ferrato, di riversare da audiocassette la registrazione dell’Otello di Nizza (1995). Riascoltando il cd, frutto di quella operazione, Donzelli si accorse che, in un passo del finale primo, la musica di Rossini lasciava spazio al Laudate Dominum, dai mozartiani Vesperae solennes de confessore, nell’esecuzione di Lella Cuberli (evidentemente un “bonus track” fuori posto). Per celia, si era ipotizzato che Desdemona inserisse una scena di preghiera presso la Basilica di San Marco, onde propiziare il lieto esito del legame clandestino con il Moro. La stessa sensazione di sorpresa e divertito imbarazzo ho provato giovedì sera ascoltando la Clemenza di Tito trasmessa in diretta dal Festival di Salisburgo. O per meglio dire, la sorpresa e l’imbarazzo c’erano, latitava però il divertimento, dal momento che l’aggiunta di passi della Messa in do minore K 427 e di altri brani a carattere “meditativo” (l’Adagio e Fuga K 456 e la Musica funebre massonica K 477) non era frutto del caso, ma una scelta deliberata del direttore Teodor Currentzis, che avrebbe in questo modo (così le interviste, trasmesse dalla radio bavarese durante l’intervallo) conferito una dimensione spirituale altrimenti ignota a un’opera di stampo sin troppo “antico” e manierato. Nella stessa direzione andavano, viene da pensare, i robusti tagli (peggio che negli anni Cinquanta) ai recitativi secchi (con la brillante motivazione che non sarebbero opera dell’autore, ma del suo allievo Franz Süssmayr – in effetti il ricorso a collaboratori è una pratica assolutamente non attestata nella storia dell’opera settecentesca…) e la soppressione di un intero numero (“Quello di Tito è il volto”, numero 18 della partitura), “reo” di non accordarsi con il Konzept dello spettacolo, secondo il quale (pare di capire) Tito rimane effettivamente vittima dell’attentato compiuto nel finale primo e trascorre la seconda parte dello spettacolo in agonia, per morire durante l’ensemble conclusivo. Basterebbero queste osservazioni per liquidare l’operazione salisburghese come un’autentica bufala pseudoculturale, per giunta perpetrata nel luogo in cui le composizioni mozartiane dovrebbero, più che altrove, essere ben conosciute e congruamente eseguite. La Clemenza (testo che non presenta problemi testuali o lacune di sorta, che possano ostacolarne l’esecuzione) conobbe numerosi adattamenti nei trent’anni successivi alla première praghese (nei prossimi giorni ci soffermeremo su queste “varianti”), pertanto, se il Festival di Salisburgo, che ha proposto il titolo con una certa continuità fin dal 1949 (dirigeva Krips e cantava Julius Patzak – scusate il passatismo!), avesse voluto allestire uno di questi “arrangiamenti”, sarebbe comunque arrivato dopo altre manifestazioni assai meno blasonate e danarose, ma avrebbe comunque compiuto opera meritoria di approfondimento e divulgazione nei confronti di un repertorio stranoto, eppure ancora assai ostico (specie per chi è chiamato a metterlo in scena, verrebbe da pensare). E allora perché realizzare un pastone (ricorro volentieri a un’immagine, che avevamo usato per un analogo, analogamente catastrofico e ridicolo Mosè in Egitto pesarese), un collage di musica operistica e sacra (qualcosa che né Mozart, né nessun compositore dell’epoca avrebbe tollerato, data la distanza siderale fra il genere teatrale e quello “da chiesa”), un patchwork inedito e inascoltabile, che mortifica l’invenzione musicale non meno che quella drammatica dell’opera, trasformando il tutto in una sorta di messa cantata (da Te Deum il primo atto, decisamente in zona Requiem il secondo)? Quali le ragioni e le radici, scientifiche, filologiche e musicologiche, di un simile scempio? Si voleva “migliorare” Mozart? Renderlo più “facile”? Temo che la risposta sia quella consueta in questi casi: siccome l’opera è nota, si crea (o si dice di creare) qualcosa di “nuovo”, e in quanto tale bello e anche istruttivo, e chi dissente dimostra scarsa apertura mentale. Non so che dire, così come non riesco a comprendere in che cosa consista la grandezza di una direzione musicale che predica di voler “avvicinare” questa musica al pubblico (o viceversa) infliggendo un onnipresente basso continuo a base non solo di Hammerklavier e violoncello, ma di liuto e chitarra barocca, alternando senza sosta (e soprattutto senza criterio) tempi slentati e altri vorticosi (con conseguente difficoltà nel tenere assieme buca e palco, soprattutto nei passi corali), sonorità rococò e “strappate” degli archi che, più che lo Sturm und Drang, evocano una classe, non particolarmente dotata, di Conservatorio. Il mistero si infittisce quando si consideri il palcoscenico, occupato da un tenore incapace di emettere un acuto e che passa di fatto tutto il secondo atto a rantolare (non si sa se per esigenze sceniche o per sopravvenuta stanchezza), un basso che sembra la caricatura di Simon Estes e un quartetto di voci femminili tutte uguali, senza distinzione di sorta fra la primadonna tragica (Golda Schultz, reduce dalla Susanna scaligera… detto tutto), il surrogato di castrato (Marianne Crebassa, già limitato Cecilio e qui in affanno, complice la voce costantemente bassa di posizione, nella coloratura e più ancora nel canto patetico, che di Sesto costituisce il registro espressivo privilegiato) e le parti di fianco (più in ordine – ma sempre nella media odierna – solo perché molto più abbordabili delle altre due). Nota di colore: il pubblico, lo stesso che, pochi anni or sono, aveva contestato con veemenza e durante tutta la rappresentazione una produzione del Pipistrello, iconoclasta ma nel complesso assai più “timorata” di questa Clemenza (e ben altrimenti valida sotto il profilo della direzione musicale), ha ascoltato in silenzio e tributato un bel successo all’esecuzione, con limitati dissensi “di stima”, ai saluti finali, per Sellars. Forse Strauss figlio ha, a Salisburgo, ammiratori più accesi di quelli del genius loci?

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18 pensieri su “Funerali di terza classe per Tito.

  1. A conferma del mio post precedente, sottoscrivo tutto in pieno. Povero Mozart…si sarà cosi rigirato nella sua fossa comune che stavolta lo trovano davvero….che tristezza. Ma oltre che colpevolizzare ovviamente gli artefici di tale schifezza, sarebbero da appendere a testa in giù le menti malate che pensano queste oscenità da dare in pasto ad un pubblico di beoti che solitamente a Salisburgo applaude a volte non allo spettacolo ma a loro stessi.

    • Ho assistito alla rappresentazione dell’Opera. Dapprima disorientato via via penso di aver compreso l’insieme della rappresentazione. E non mi è piaciuto!
      Posso capire l’aver profondamente piegato i tempi del canto e della musica, rallentando talmente l’azione da giungere fino alla sua sospensione con un complessivo danno alla progressione drammatica dell’opera. Va bene ridurre il canto in alcuni passaggi quasi al silenzio, e la luce al buio, infarcire l’opera di pietismo. Va bene e sopportiamo anche l’americanata del letto d’ospedale e di un Tito imbarazzato e imbarazzante….. Ma arrivare a voler “ricomporre” l’opera! Ma questa non è “La Clemenza di Tito”! Questo è un pessimo esercizio di onnipotenza da parte di Currentzis! Persino il finale è stato cambiato…. E la gente ha applaudito e tanto. Perchè il pietismo di facciata è rassicurante ed è anche ignorante ripsetto alle proprie pulsioni aggressive. Si applaude questa “Clemenza” e poi si chiudono le frontiere con l’Italia!
      Ho anche pensato che visto che siamo in tempi di crisi si sia voluto dare una sorta di Mozart on sale! Prendi 3 (Tito, un pezzo di messa e due pezzi orchestrali) e paghi 1! Io comunque per questo Tito avrei preferito uno sconto sul prezzo! (E che prezzo!).

  2. Scusatemi, avete avuto occasione di valutare il trittico di Da Ponte realizzato su disco per la Sony Classical da Teodor Currentzis? Nella lunga intervista rilasciata a Repubblica il 29 luglio u.s. il direttore ha affermato “Io sono qui per (…) recuperare la trascendenza, lo spirituale nell’arte , affinché chi assista a un concerto si senta coinvolto. Diversamente quattro ore di opera diventano una condanna” (pagina 44 e 45). Vi ringrazio.

  3. Giulia…Abbado in Mozart non mi ha mai fatto impazzire ma a sua parziale discolpa la Freni non doveva interpretare la Contessa ma Susanna. La Contessa doveva essere la Ricciarelli che rinunció e si trovarono a rimescolare un po’ tutto il cast mettendo la Freni al posto della Katia nazionale. Comunque non é un granché….

  4. Non avevo programmato l’ascolto. Esco in macchino e accendo Radio3: “caspita conosco ‘sto pezzo, si’ si’, bello, ah, ecco cos’e’: l’adagio e fuga in Do minore. Scendo e faccio commissioni. Risalgo e riaccendo. Kyrie dalla messa in do minore. “Cazzo, bello ‘sto programma, prima adagi e fughe e poi la messa in do minore. Mi piacerebbe sentirlo tutto”.

    Secondo me e’ da tenere l’idea: un programma adagi e fughe + messa in do minore, in una bella chiesa austriaca con campanili a cipolle e pascoli intorni.

    Ah, era la clemenza di Tito, vabbe’…

  5. Ho sentito solo, per puro caso, una decina di minuti del secondo atto dell’orrido Tito salisburghese e mi è bastato ed avanzato; di più non ce l’ho fatta. Che dire? Nulla di più di quanto scrive Tamburini. La direzione pareva una cosa da neurodeliri con strappate degli archi, quasi tipo le gioiose sonate di tiorbe ed arciliuti nella gloriosa Poppea di Harnoncourt/Ponnelle, ma che qui c’entravano come i cavoli a merenda. Tempi frenetici. Mi sembrava di stare sentendo un’opera molto diversa dalla solita Clemenza di Tito che ho sempre sentito. Proprio tutt’altra cosa. E non ho avuto modo di udire gli “inserti”!
    Il basso, per le 2 frasi che ho sentito, inascoltabile, pura sQuola del rutto (per usare una vecchia boutade credo di Gualerzi), voce sgancherata come poche. Oscena. Il tenore pessimo; come peso vocale siamo, vivaddio, ad un peso ben maggiore di quello di certi “tenorini mozartiani” flebili flebili flebili cui si osa affidare parti di tenore eroico coturnato da opera seria settecentesca quali Idomeneo o Tito, ma che schifezza di canto, che schifezza di linea vocale, che schifezza di tecnica (tecnica?). Il mezzo, come secondo quanto scritto da Tamburini.
    Poi, a leggere l’articolo, non posso non pensare al crimine di lesa maestà mozartiana e contro la filologia. Cosa ci azzeccano gli inserti con l’opera? NULLA.
    Ho visto sulla rete alcune foto ed un piccolo filmato dell’opera. Ma che schifo anche la regia del “genio” Peter Sellars. Io continuo a preferire Peter Sellers; lui almeno faceva ridere. L’altro provoca altri effetti. Sempre le stesse cose. basta. Siamo stufi. Poi a vederlo con quel suo ciuffone alto sulla testa, sembra uscito da un cartone animato o da un film demenziale made in USA anni ’80. Ricacciatelo lì.
    Si vede che Salisburgo ha un rapporto non troppo felice con il Tito. 14 anni fa avevo assistito, sempre nella Felsenreitschule alla prova generale della Clemenza di Tito diretta da Harnoncourt con (ahimé) un’orrida regia di quell’altro bel genio di M. Kusej. La messa in scena anche allora era una schifezza, piena di insensatezze, stramberie, idiozie, incendio fatto con nafta vel similia, con conseguenti fumi e pompieri veri che arrivano alla fien del primo atto a spegnere il tutto a sirene spiegate. Il tenore Schade era penoso (chi lo ha sentito alla Scla nei Maestri capisce; non capisce chi ha avuto il coraggio di scritturarlo per i Maestri, dopo che non è in grado di fare una parte non improba di Mozart); arrivato al “Se all’impero” non aveva più voce e neanche accennava: proprio non cantava. Sesto della Kasarova quasi decente, per quello che c’è in circolazione, ma non memorabile. Molto bravi Pisaroni, Garanca (mai sentita prima, ma che mi aveva impressionato fin dalla prime note, per la bellezza del timbro; e poi, che bella! nonostante l’orrida mise in cui l’aveva messa il solito registucolo) e Bonney. Non mi ricordo in modo particolare della Vitellia, ma almeno aveva una voce abbastanza potente. Il direttore aveva fatto dei tagli, ma la direzione era tutt’altra cosa rispetto a Currentzis. Quando poi, tempo dopo, ho risentito il Tito al Regio di Torino, cme tito c’era Filianoti, che, rispetto a Schade, era un novello Hermann Jadlowker. Tutta un’altra cosa. Prima di tutto cantava, con voce sana e bel timbro e si sentiva.
    Quanto a Currentzis, mi ricordo di aver sentito a La barcaccia qualche brano delle sue registrazioni mozartiana con la Kernes (!). Le critiche erano, per così dire, non proprio troppo positive. Poi la Kernes! Che roba! Da TSO! Ovvio che Freni e Reining sono altra cosa…. loro due sapevano cantare.
    Sono poi sbigottito del fatto che la tutt’altro che memorabile Susanna delle ultime orrende Nozze scaligere venga messa a cantare Vitellia.
    Se avessimo proposto ad una qualche Susanna storica deli anni ’50 e ’60, tipo Sciutti, Carteri, Freni di cantare Vitellia, secondo me si sarebbe messa a ridere.

  6. Un ricordo di tipo molto personale. Anni fa frequentavo con una certa assiduità un vecchio docente universitario in pensione, ormai defunto da lungo tempo, che cortesemente mi aiutava a preparare il dottorato di ricerca, consentendomi di utilzizare la sua fornitissima biblioteca. Il vecchio professore era anche un melomane (ed un gran tifoso della Juventus). Mi raccontava delle opere che aveva sentito nella sua giovinezza, di un Boris e di una Aida a Vercelli (!!!), di Pertile e della Toti in Lucia al Regio di Torino, di Fagoaga, della Turner etc.
    Fra l’altro mi aveva raccontato che nel secondo dopoguerra era andato a Salisburgo, al Festival ed aveva sentito La clemenza di Tito, di cui non ricordava più gli interpreti. Debbo immaginare che fosse l’edizione ricordata da Tamburini con Patzak. Bei tempi! Altro che oggi….

  7. Leggo su facebook dottissimi dibattiti sui criteri interpretativi adottati da Currentzis e Sellers per questa produzione. Secondo me, non è il caso di spremersi troppo le meningi: il Konzept si rifà chiaramente alla frase di Claudia Gerini in “Viaggio di nozze” di Carlo Verdone. “Amò, stanotte famolo strano!”

  8. Anni fa questo coso diresse o meglio storpio’ un macbeth in quel di parigi. Fui l unico a fischiare in piedi dal centro della immensa platea di bastille. Mi fa piacere riscontrare a distanza di anni come effettivamente non fossi né sordo né pazzo.
    Saluti

  9. Ero a Salisburgo alla Felsenreitschule domenica sera. Veramente sconcertante. La versione Currentzis-Sellars de “La Clemenza di Tito”, essendo di fatto una compilation di arie, andrebbe ribattezzata: il Salzburger Festspiele avrebbe dovuto chiamarla “Mozart Greatest Hits”.

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