Il motivo di interesse del Comte Ory proposto a Dortmund qualche settimana fa era il debutto di Jessica Pratt nel ruolo della Contessa Adele; l’ascolto radiofonico, purtroppo, ha confermato che tale debutto era, effettivamente, l’unico motivo di interesse di un’esecuzione spenta e poco ispirata del gioiello rossiniano.
La responsabilità maggiore è chiaramente imputabile al direttore Giacomo Sagripanti che, pur alla testa di un’orchestra che sa il fatto suo e di un coro di buon livello (WDR Rundfunkchor Köln e
WDR Funkhausorchester Köln), non ha fatto altro se non ammantare di grigiore una partitura di qualità musicale straordinaria: tutto uguale, indifferenziato, smorto, privo di brio e di poesia e, come se non bastasse, scelte di tempi molto spesso insensate con rallentamenti e accelerazioni esasperati. In seconda battuta, la responsabilità del pessimo esito spetta al cast assai mediocre raccolto per l’occasione: pessimo il governatore di Oleg Tsybulko, giovane scoperta pesarese dalla voce ingolata e già vecchia, insipido l’Isolier di Jana Kurucová, soprano corto che non fa grandi danni ma non dice neanche nulla, fuori luogo il Rimbaud di Roberto de Candia, parlante più che mai; infine, i comprimari di Stella Grigorian (Ragonde), Monika Rydz (Alice) e Gheorghe Vlad (Coryphée) che non spiccavano certo positivamente.
La prestazione di Lawrence Brownlee nei panni del Conte lascia quantomeno interdetti. Brownlee, ormai considerato tra gli “specialisti” odierni del repertorio belcantista, regala un’imitazione pressoché sistematica del suo modello, Juan Diego Florez (l’Ory per eccellenza degli anni 2000), di cui copia non solo le variazioni, ma anche il modo di fraseggiare. La voce microbica, il belato caprino, la pronuncia francese imperfetta e la mancanza di eleganza vanificano presto l’illusione: avere le note, padroneggiare discretamente la coloratura e possedere (grazie al cielo!) più brio di Florez non bastano, infatti, a renderlo un’interprete credibile. Bisognerebbe poi tornare sulla prassi antistorica di affidare il ruolo di Ory, un ruolo Nourrit, a tenorini leggeri, svolazzanti e, soprattuto, impossibilitati per tecnica e natura a uscire dall’alveo del canto di mezzo carattere (Florez in testa), ma non è questa la sede opportuna.
Veniamo, dunque, al debutto di Jessica Pratt, la quale ci regala – almeno lei! – una prestazione assolutamente positiva. Fin dalla grande aria di sortita la Pratt ha dimostrato di essere tra le pochissime cantanti odierne a sapere come si canta Rossini: la voce è ben impostata, il legato e le dinamiche ci sono, l’impeto e il virtuosismo anche. En proie à la tristesse è stata eseguita con grande attenzione a caratterizzare i dispiaceri della Contessa senza scadere nell’eccesso; nella successiva cabaletta le cose sono filate ottimamente (coloratura sgranata, precisione d’esecuzione, mordente) fino alla seconda parte della ripresa, laddove la cantante è stata letteralmente affossata dal direttore che ha scelto un tempo dissennatamente rapido compromettendo l’esecuzione precisa e corretta della coloratura che alcuni sopracuti di splendida fattura non bastano a far dimenticare. Un consiglio alla Pratt: in alcuni casi è bene dire di no, specie se il direttore ha intenzione di trasformare in farsaccia una delle più belle arie di Rossini e se si è messo in testa di tenere un tempo che avrebbe creato problemi alla stessa Sills. La prova della cantante australiana è andata in crescendo e, finalmente, ci è stato dato ascoltare un’Adele realmente ben cantata in tutta l’opera, lontana anni luce dalle scarse soubrette che da troppi anni hanno monopolizzato un ruolo che è agli antipodi da tale vocalità (come del resto lo è, in generale, la musica rossiniana). Mi auguro che la Pratt abbia modo di affrontare il ruolo in altre occasioni per poterne approfondire il lato interpretativo (specie sul versante comico) con un direttore capace che le dia modo di cantare senza troppe preoccupazioni.