Lunedì 21 marzo, la Scala ha ospitato Mariss Jansons e la sua Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks: in programma la Sinfonia n. 7, Op. 60 in Do Maggiore “Leningrado” di Dmitrij Šostakovič. L’esito del concerto è di quelli che si ricorderà per lungo tempo: magnifico. L’orchestra della Radio Bavarese è uno dei complessi strumentali più straordinari e idiomatici al mondo: il suono terso, luminoso, morbido, sfumato la differenziano dalle grandi colleghe europee (a Berlino, Dresda e Vienna) che, al netto delle peculiarità di ciascuna, presentano una monumentalità che non è nello spirito bavarese. Colpisce innanzitutto la luminosità e la delicatezza delle tinte orchestrali, la ricchezza delle sfumature che pulsano nella trama strumentale: tutti gli elementi e i piani sonori sono delineati e distinti tra loro (la differenziazione degli archi è, in questo senso, esempio di virtuosismo estremo), senza mai perdere coesione e tensione narrativa. Ogni sezione merita un elogio particolare, come si farebbe ad un solista d’eccezione: dai legni e gli ottoni con il loro timbro chiaro e brillante che irradiano di luce il suono orchestrale, al calore e alla morbidezza degli archi, sino alla presenza calibratissima delle percussioni. Una gioia per l’orecchio. A tirare le fila un Mariss Jansons che si conferma essere uno dei più grandi interpreti dei nostri tempi: la sua lettura è umanissima (come già nella Terza di Mahler coi Wiener lo scorso giugno) e partecipe dei dolori di quella guerra che ha ispirato il compositore. C’è chi avrebbe preferito interpretazioni più “novecentesche”, più aspre, più drammatiche, ma non credo siano questi i caratteri dell’opera di quel Šostakovič. La Sinfonia “Leningrado” venne composta in pochi mesi alla fine del 1941, all’inizio del lungo assedio che per 900 giorni avrebbe stretto la città, e dedicata alla capitale della Rivoluzione Bolscevica e alla sua coraggiosa resistenza all’invasione tedesca. Šostakovič, tuttavia, non intende “rappresentare” oleograficamente la guerra o le sofferenze del popolo sovietico, ma denunciare i crimini di ogni guerra, di ogni invasione. L’opera si compone di quattro movimenti. Il primo (Allegretto) presenta due temi combinati nella struttura classica della forma sonata: sul primo tema, maestoso e popolare – senza scadere nel folklore – composto ed ampio nella raffigurazione della pace nell’Unione Sovietica prebellica, si inserisce un secondo – sull’ostinato ritmico del rullante – che rappresenta l’invasione nazista attraverso la ripetizione della melodia variata nella strumentazione e nell’impasto timbrico, in un crescendo costruito similmente al Bolero di Ravel, sino all’esplosione in fortissimo per poi ripiegare sul tema iniziale, riletto in chiave nostalgica dal solo di clarinetto (quasi una memoria alla pace prima della guerra). Dopo il Moderato in forma di scherzo, dal ritmo danzante, il terzo movimento (Adagio) propone un tema struggente affidato agli archi per poi arricchirsi in una complessa elegia che si sparge come un canto sulla desolazione e la sofferenza del popolo e della patria. Il quarto (Allegro non troppo) è il movimento più drammatico e celebrativo della resistenza della città, sino ai trionfali accordi finali (un auspicio più che una descrizione, dato che le truppe tedesche solo nel gennaio del ’44, due anni dopo la prima esecuzione della sinfonia). L’opera venne subito accolta come omaggio alla lotta contro il nazismo e come emblema della resistenza: fin dalle prime esecuzioni, in una Leningrado colpita dai bombardamenti tedeschi, nacque il mito della Settima, celebrato in tutta l’Unione Sovietica e all’estero, dove la partitura era giunta clandestinamente attraverso un microfilm, divenendo presto simbolo dell’antifascismo internazionale grazie ad un uso propagandistico del brano: in particolare per la bacchetta di Toscanini che ne diresse la prima esecuzione in USA (peraltro il compositore non gradì affatto le attenzioni riservategli dal direttore italiano – che lo invitò pure pubblicamente, dalle pagine del Times, a recarsi negli Stati Uniti – tanto da definire, secondo alcune testimonianze, la sua lettura della Settima “tutta sbagliata: spirito, carattere, tempi. Una cosa sciatta, tirata via, meschina” e ancora “Toscanini mi ha fatto il dubbio onore di dirigere alcune mie sinfonie: ne ho udito le registrazioni, e sono infami”). Insieme all’Ottava e alla Nona, la “Leningrado” fa parte della cosiddetta trilogia bellica e testimonia il travaglio interiore del compositore alle prese con la complessità del rapporto tra potere, ideologia e indipendenza dell’artista (questione che non può essere risolta con le volgari schematizzazioni del mero dissidio tra libertà e propaganda, che non appartiene al compositore). Il concerto scaligero, purtroppo, ha però mostrato tutte le criticità della politica del teatro in termini di promozione artistica: la sala era, infatti, mezza vuota, con quasi 600 posti ancora disponibili poche ore prima del concerto, così, per evitare la pietosa figuraccia di fronte al prestigioso ospiti di offrirgli una platea semideserta e una sequenza di “forni” tra i palchi, il teatro ha offerto l’upgrade gratuito dei biglietti di galleria (esaurita). Io stesso – e i mie tre colleghi del Corriere – abbiamo usufruito del beneficio in ben due palchi, così da riempire tutte le prime file. Molto vi sarebbe da dire sia sull’opportunità di mettere i biglietti sino a € 150 (quando in altre sale cittadine si ascoltano interpreti altrettanto prestigiosi ed internazionali spendendo al massimo un terzo), sia sulle reali capacità di gestione e promozione di grandi eventi musicali da parte della presente dirigenza scaligera. Ma tant’è… Un ultimo appunto: ho letto in rete che i tanti posti liberi potevano essere regalati all’orchestra scaligera e al suo attuale direttore principale, così che capissero come si fa musica per davvero. Beh faccio mio questo auspicio, anche se credo ai diretti interessati neppure passi per l’anticamera del cervello.
In ascolto, quattro differenti letture della Sinfonia:
Gli ascolti:
1 – Mariss Jansons – Royal Concertgebouw Orchestra:
2 – Evgenij Mravinskij – Orchestra Filarmonica di Leningrado:
3 – Kirill Kondrašin – Orchestra Filarmonica di Mosca:
4 – Vasilij Petrenko – Royal Liverpool Philharmonic Orchestra:
Non ho sentito il concerto, quindi non mi azzardo a fare commenti, ma sapendo come dirige Jansons e conoscendo dalle incisioni la qualità dell’orchestra bavarese è facile immaginare la veridicità di quanto scrive Duprez. Mi pare poi di aver sentito solo poco tempo fa a RAI 3 su La barcaccia parlare di una recentissima esibizione del M. Jansons con la stessa orchestra e lo stesso programma, con recensioni entusiastiche e l’invito ad accorrere alla Scala a sentirlo. Evidentemente molti a Milano non ascoltano La barcaccia o non ascoltano la buona musica tout court.
E qui passiamo al tema di cui voglio trattare: la politica scaligera della vendita dei biglietti, su cui Duprez ha esposto le sue considerazioni. Qui non si rasenta il ridicolo, si è già in pieno. Non è possibile che in una città come Milano un programma appetibile come quello proposto porti ad un mezzo forno. Il problema deve essere alla base. Il poi riempire la platea con i loggionisti (guarda caso il loggione era pieno, pova che appasionati desiderosi di sentire il concerto c’erano!) è ridicolo ed è solo la reiterazione di cose già avvenute. Lo scorso anno un mio amico con il biglietto di galleria si è visto il Lucio Silla dalla prima fila di platea.
non era meglio mettere i biglietti a 50 euro e riempire il teatro?
Questo modo di gestire la biglietteria da parte della dirigenza scaligera mi pare possa condensarsi in poche parole:
incapacità;
s……à;
co….ne;
id….a;
danno erariale
Grazie della bella recensione!
Mi infastidisce molto sapere che c’erano così tanti posti vuoti! Mi mette tristezza che una città con molte possibilità non le sfrutti a dovere. Io volevo proprio venire a Milano ad ascoltare Jansons, ma non potevo
(ho però partecipato al concerto del lunedì precedente, in cui un’orchestra di Budapest ha eseguito la Terza di Mahler…)
Concordo: lettura coinvolgente e orchestra superlativa!
Peccato per i posti vuoti: anche a noi è stato offerto l’upgrade e ci siamo goduti il concerto da un palco piuttosto centrale. Politica dei prezzi folle…