Il mentore fu Arturo Toscanini. L’opera venne eseguita in italiano.
Il cast proposto era composto di autentiche stelle fra cui Giuseppe Borgatti, che in campo tenorile era, soprattutto con Toscanini sul podio, il tenore wagneriano per eccellenza nei paesi latini al pari di Francesco Vinas, Antonio Magini-Coletti Kurnevaldo e Mansueto Gaudio quale Re Marke. Protagonista femminile Amelia Pinto. Abbiamo già proposto l’anno passato la Pinto nella morte di Isotta. La riproponiamo e aggiungiamo la Pinto nell’ascolto dell’arie di Ero e Leandro di Mancinelli e nel “Suicidio” di Gioconda. Si tratta di registrazioni primordiali (1902) precedenti il ritiro dalle scene della Pinto per motivi matrimoniali. Amelia Pinto fu un tipico soprano di forza, derivato dalla Stolz o dalla Titjens e che la onerosa vocalità dei lavori del repertorio tardo ottocentesco aveva portato in auge. Nonostante la tecnica di registrazione, la risaputa difficoltà a captare voci voluminose e ricche di vibrazioni della Pinto non emerge soltanto un poderoso registro basso, comunque privo di qualsiasi sguaiataggine verista, ma anche una voce dolce e ben modulata con emissione soffice e controllata al centro e acuti facili e penetranti. Peculiarità che deve avere il soprano drammatico, alla cui categoria Isotta appartiene. Tanto è vero che sin tanto che venne eseguito Wagner in italiano tutti i soprani cosiddetti di forza la tennero in repertorio con Brunilde e, talune, pure Kundry. Ultimo esempio in tal senso proprio Maria Callas nella prima parte di carriera.
Amelia Pinto, ufficialmente ritirata e nel frattempo divenuta la signora Contini, tornò quale Isotta alla Scala nel 1914 sotto la guida di Tullio Serafin.
Nonostante il primo cinquantennio del Novecento fosse epoca di rigorosa categorizzazione delle voci nel 1907 sempre sotto la direzione di Toscanini Isotta fu Salomea Kruscenisky, ufficialmente come peso e volume un soprano lirico o poco più, tanto è che nella stessa stagione le opere da soprano drammatico (ossia Gioconda e Forza del destino) toccarono alla Burzio, mentre alla Kruscenisky venne affidata Salome, prototipo di ruolo riservato alle cosiddette cantanti attrici.
La Kruscenisky nel corso della carriera, piuttosto lunga, fu Isotta, ma anche Salome ed Elektra, Aida e Selika ed è ricordata sopratutto come la Butterfly della riscossa bresciana dopo il fiasco milanese.
Stando alle cronache del tempo i personaggi erano risolti con la finezza del fraseggio, la penetrazione della voce (non certa l’ampiezza e la potenza) e, soprattutto, la bellezza ed il fascino della donna. Fascino nella particolare declinazione del fascino slavo, cui in primis Toscanini non era insensibile.
E che l’Isotta, pur in assenza di testimonianze discografiche, e più ancora i personaggi straussiani potessero essere risolti principalmente per virtù d’accento e penetrazione del suono è evidenziato dalle registrazioni di brani come la Lecouvreur, dove è assente ogni ostentazione di volume e vibrazioni.
Nel 1923, sempre sotto la bacchetta di Toscanini, ritorna alla Scala una Isotta “di tradizione”. La prima di area nordica ed una delle più complete rappresentanti del canto wagneriano, fatto di saldezza vocale e tecnica, capacità di sostenere il suono delle orchestre, timbro sontuoso e impostazione regale del personaggio: Nanni Larsen Todsen, soprano che, esattamente come Frida Leider (Brunilde scaligera nel 1928), senza difficoltà affrontò il repertorio del soprano drammatico anche nell’opera italiana e francese.
L’idea interpretativa della Larsen Todsen, protagonista sia della prima registrazione discografica made in Bayreuth sia in tutti i grandi teatri del mondo è quella della regina, dapprima offesa ed assetata di vendetta, poi, vittima essa stessa delle proprie pozioni magiche, abortiti strumenti di vendetta. La vera eroina romantica. E come ogni eroina romantica che si rispetti dalle documentazioni fonografiche la Larsen Todsen pratica maniere ineccepibili sotto il profilo vocale con acuti facili e penetranti e, nonostante l’indiscutibile monumentalità della voce è molto varia e sfumata e ci ricorda (vedi ad esempio il primo incontro con Tristano o il cosiddetto racconto di Isotta) che anche i soprani drammatici wagneriani possono filare e smorzare le note. Acuti compresi. In questo senso la Larsen Todsen è modernissima e smentisce l’assunto, caro anche a certa critica nostrana dedita alla damnatio memoriae a favore delle veline da casa discografica, di esecuzioni gelide e matronali. Preciso e continuo: il tutto espresso con un timbro bellissimo e nobile, omogeneo in tutta la gamma, tale da essere adeguato ai colori ed orditi orchestrali. In difetto, ovvero, con il ricorso ad espressioni parlate, che attentino il legato la regina, l’eroina perdono il prescritto tasso di eroica regalità. Aggiungiamo anche un altro particolare il timbro spontaneamente bello e nobile agevola il canto d’amore, come avviene nella sezione centrale del duetto del secondo atto.
Le osservazioni vocali ed interpretative, dedicate alla Larsen Todsen calzano anche Kirsten Flagstad (1947) e Gertrud Grob-Prandl (1951), che furono, dopo la Cobelli (di cui diremo poi) , le Isotte di de Sabata, che subentrò, dopo i fatti del 1929, Toscanini alla guida del massimo teatro italiano e al culto wagneriano. Non dimentichiamo che, a differenza di Toscanini, de Sabata triestino di nascita conosceva benissimo il tedesco ed era uomo di autentica, profonda cultura middle-europea.
Possiamo anche rilevare talune differenze vocali fra le due Isotte di de Sabata. Entrambe avevano un timbro realmente, ampio e nobile, bello (straordinario quello della Flagstad) di cui non si può discutere; i loro detrattori giurano anche (credendo obbligatorio eseguire Wagner come Berg) che l’accento fosse inerte e generico. La Flagstad, sopratutto nel dopo guerra aveva il proprio tallone d’Achille negli acuti estremi, invece, straordinari in Gertrud Grob-Prandl, che domina con irrisoria facilità lo strumentale del direttore triestino, svettando nella gamma acuta e sopra un autentico magma orchestrale.
Nell’ira di Isotta al primo atto, dove alla protagonista non è risparmiato nulla sotto il profilo della difficoltà vocale, o nell’attesa di Tristano all’incipit del secondo l’orchestra tellurica di de Sabata è in sintomia con una protagonista (la Grob Prandl) che, vocalmente può tutto ed alla quale forse si può solo rimprovare qualche suono schiacciato sui primi acuti. Gli estremi, invece, sono impressionanti, devastanti, si potrebbe dire. E questo nonostante una registrazione radiofonica pessima.
Ma in queste Isotte (cui bisogna aggiungere anche la Nilsson, protagonista nel 1960 con Karajan e nel 1964 con il giovane Maazel) la strapotenza vocale non è fine a se stessa; è, invece, la manifestazione della natura di fatto soprannaturale del personaggio.
In fondo Birgit Nilsson, l’ultimo autentico soprano drammatico wagneriano esibitosi in Scala, nonostante nel raffronto con le precedenti la nella gamma centrale fosse piuttosto vuota e limitata di volume non cambia indirizzo interpretativo. Il timbro gelido della Nilsson evidenzia la regalità di Isotta.
Da un ascolto anche superficiale delle quattro Isotte è evidente che la più italiana sia paradossalmente la Larsen Todsen, grazie ad una voce dal timbro nobile e solenne, ma anche molto femminile, mentre la regalità e l’astrazione del personaggio (sovrannaturale in Isotta è anche l’amore, quanto meno per la sua induzione) compete alla Flagstad e, pur limite e non virtù timbrica alla Nilsson, mentre alla Grob-Prandl pertiene la sfera della potenza del personaggio e l’esplosione dello stesso vuoi dell’ira che dell’amore.
Sono tutte declinazioni del canto wagneriano dove il suono è al primo posto e mi domando (interrogativa retorica) come non possa esserlo attese le orchestre wagneriani
A parte l’esperienza di Giuseppina Cobelli, donna bellissima, interprete del verismo nobile, amata dal pubblico scaligero. Giacomo Lauri Volpi in voci parallele non si astiene dal mettere in rilievo il limite della gamma acuta della cantante. Molti mezzo soprani acutissimi o soprani Falcon hanno vestito i panni di Isotta , esibendo magari al duetto d’amore un do faticoso e una chiusa di primo atto all’insegna della fatica vocale e ciò nonostante sono state considerate grandissime nel ruolo. Inoltre la scrittura è spesso centrale; i vecchi loggionisti scaligeri raccontavano come, proprio de Sabata, avesse tanto reiteratamente quanto invano offerto la parte ad Ebe Stignani.
La testimonianza dell’Isotta della Cobelli, proprio quella scaligera con de Sabata del 1930, riporta ad una idea dell’Isotta cantante attrice, forse non dotata di una voce straordinaria (nel raffronto con fenomeni come la Larsen Todsen, però), ma vigorosa, penetrante ed espressiva. Sempre nel rispetto del canto. Rispetto che oggi, senza polemica e senza sottrarre ad altri il proprio mi sembra un poco perduto.
Queste mie riflessioni sono dedicate, pur nella loro incompletezza e secondo alcuni animate da una devianza psicologica e mentale che mi porta a ritenere irrinunciabile il canto anche in Wagner, a quei coraggiosi che pochi giorni or sono hanno affrontato la via (dolorosa?) del Tristano scaligero ove il ruolo di Isotta è stato affidato a una voce che per colore, peso e resistenza potrebbe, forse, affrontare il ruolo di Brangania. Sto parlando della voce, non dell’aspetto fisico.
Gli ascolti
Bottesini – Ero e Leandro
Atto III – Splendi, splendi! erma facella – Amelia Pinto (1902)
Ponchielli – La Gioconda
Atto IV – Suicidio! – Amelia Pinto (1902)
Wagner – Tristan und Isolde
Atto I
Westwärts schweift der Blick…Wer wagt mich zu höhnen? – Birgit Nilsson (con Hilde Rössl-Majdan, Anton Dermota – 1959)
Wie lachend sie mir Lieder singen – Nanny Larsen-Todsen (con Anny Helm – 1928), Gertrude Grob-Prandl (con Elsa Cavelti – 1951)
War Morold dir so wert – Nanny Larsen-Todsen & Gunnar Graarud (1928), Kirsten Flagstad & Max Lorenz (1948)
Atto II
Horst du sie noch? – Nanny Larsen-Todsen & Anny Helm (1928), Kirsten Flagstad & Rosette Anday (1948)
Mild und leise – Giuseppina Cobelli (1930)
niente sulla anderson in norma a trieste?
Caro Germont,
contaci. Andremo e scriveremo
io fui venerdì alla prima e aspettavo trepidante un vostro commento…..!
………….quello che c’è sul tubo mi pare chiarissimo.
potrei già recensire, ma mi parrebbe di gettare l’occasione per una recensione importante….
perchè credo che June Anderson meriti il massimo dell’attenzione dal vivo
comunque per me quello che c’è sul Tubo dice che è la migliore Norma oggi al mondo, ed ha 56 anni!!!!….pur con le durezze che già ben conosciamo…….a meno di sorprese alle repliche ma non lo credo
Io se fossi nella dirigenza scaligera la andrei sentire per …la Contarini.
Anche io, sentiti i brani della Norma di Trieste, cercherei June Anderson per la Lucrezia Contarini dei Foscari, sarebbe una grande scelta che alzerebbe di molto il valore della produzione scaligera.
La Anderson era già imbarazzante non appena oltrepassava il la acuto nella Norma al Regio di Parma anni fa’. Per non parlare dell’inesistenza del registro medio grave in cui Norma deve fraseggiare con intensità in momenti chiave ed importantissimi dell’opera. Non oso immaginarmela adesso! Per la Contarini poi, lasciamo perdere, un soprano angelicato in un ruolo di stile agitato, per la carità………la Contarini alla Anderson :-DDDDDD
Ciaooooo!!!!!!!!!!!!!!
Lo sapevo che arrivavi!!!
Ed io ti dico di sentirla sul Tubo prima di scrivere.
Nessuno più di me può sottoscrivere quello che tu dici, ma la cantante ha corretto i suoni sotto. Il passaggio resta duro, ma al concerto di Aix l’ho trovata molto diversa dalla cantante che conoscemmo noi. Ad onta dei 56 anni. La stimo più oggi di quando era in grande carriera
Certo, se dopo averla sentita metti su un osprano come la Steber, la voce della Anderson si trova mezzo metro sotto.
Ma oggi come oggi resta la migliore Norma, per canto e stile.
Sentila sul Tubo….
a presto