Lo scorso 19 dicembre, ci ha lasciato, a 88 anni di età e dopo una lunga e onorata carriera, Kurt Masur. Nato a Breslavia – all’epoca parte della Germania – ha dedicato gran parte della sua vita musicale a Lipsia dove, dopo aver compiuto gli studi musicale, divenne Kapellmeister dell’antica e prestigiosa Gewandausorchester dal 1970 al 1996. Dal 1991 al 2002 fu anche direttore principale della New York Philarmonica, riuscendo a traghettarla dalla decadenza dovuta ai 20 anni della pessima gestione Metha, a nuovo splendore. Masur, a discapito della grande e importante carriera, è da noi poco conosciuto e poco stimato: spesso considerato un solido professionista o un corretto esecutore. Uno dei tanti. Non è così: purtroppo paga lo scotto di essere rimasto ai margini dello star system direttoriale e, soprattutto, dall’etichetta gialla che, in quegli anni, imponeva lo strapotere di divi come Karajan: non c’era spazio per le orchestre idiomatiche e fortemente identitarie (con un loro storia e un’immediata riconoscibilità) che non si riconoscevano nel cosiddetto mondo “occidentale”. Masur pagò il prezzo di non essere fuggito all’ovest, e di rimanere legato a quell’esperienza storica e culturale troppo che fu la DDR, frettolosamente liquidata e condannata dall’ubriacatura del capitalismo trionfante e di una superficialità ostentata come modello di vita. Il legame di Masur con la sua terra non significò, tuttavia, cieca fedeltà: è noto il suo impegno nell’89 a frenare i colpi al mondo musicale del regime ormai al collasso. Proprio il suo prestigio evitò inutili persecuzioni. Ma non certo per “Ostalgie” si deve celebrare Kurt Masur: ma per il profondo amore per la musica, l’eccellenza tecnica, la solidità e soprattutto l’ispirazione nelle letture di un repertorio vasto, certo, ma incentrato sul grande sinfonismo tedesco. Interpretazioni scevre dal technicolor imposto dai big dell’epoca o dall’occhio al marketing, ma sempre gelose dell’identità di un suono da preservare e rinnovare attraverso la storia e le tradizioni di un’orchestra antichissima. Questa difesa di identità culturale, questa salvaguardia della diversità ne fanno un musicista di prima importanza, capace di portare il proprio vissuto, la propria storia personale (dal dramma della guerra e del crollo di un mondo, al trauma della divisione del proprio paese sino ai difficili rapporti con il potere). Un musicista che non è semplicemente un nome o un’etichetta da mettere sulla copertina dei dischi, ma soprattutto un uomo che percorso un secolo travagliato nel segno della musica. Riposa in pace Maestro.
Gli ascolti:
Ludwig van Beethoven: “Leonore”, Overture n. 3:
Felix Mendelssohn: Sinfonia n. 3 “Scozzese”:
Franz Liszt: “Tasso. Lamento e trionfo.”:
Johannes Brahms: Sinfonia n. 2:
Posso dire una bestemmia ? Che ci fa una bacchetta in mano ad altri direttori? Un po’ di coreografia ?, un simbolo
di un potere, che non c’è più? : attendo spiegazioni, magari da un certo Duprez, detto l’enciclopedico!
Io non credo che masur sia stato poco conosciuto e stimato. Gli ultimi anni sul podio di santa cecilia ha ricevuto autentiche ovazioni, che rasentavano l isteria ed erano francamente esagerate. Con tutto rispetto per chi è passato a miglior vita, abbiamo sentito di molto meglio. Riposi in pace.
Concordo con Duprez, anche se “solido esecutore” a mio avviso è tutt’altro che una “diminutio”…magari ne avessimo qualcuno in più, al giorno d’oggi…io confesso che, Mendelssohn a parte (trovo splendide le esecuzioni di Masur, anche delle poco conosciute giovanili sinfonie per archi), non mi ha mai entusiasmato come direttore del repertorio tedesco “storico”. Invece apprezzo moltissimo alcune sue esecuzioni novecentesche, come i Concerti per pianoforte di Prokofiev con Béroff e lo splendido doppio CD con la New Philarmonic con Jeanne d’Arc au bucher e Persephone e Pulcinella. Due esecuzioni che fanno rimpiangere non esistano altre sue incisioni del periodo neoclassico di Stravinsky.