Pensavamo che la rubrica ‘Sister radio’, dedicata al secondo titolo wagneriano in programma alla Scala, fosse un primo approccio alla produzione milanese, riservandoci per una replica la visione dal vivo. La trasmissione radiofonica è stata impietosa ed inesorata nel convincere che potevamo fermarci all’ascolto radiofonico. Possiamo anche aggiungere che la sonora “tamburata” elargita a fine spettacolo al sig. Homoki responsabile della parte visiva secondo il nostro ascolto radiofonico dovrebbe estendersi all’intera compagnia di canto e più oltre, letto oggi il massimo quotidiano milanese, il cui critico, gradito alla Scala, ha recensito lo spettacolo.
Il preludio, che è uno dei passi in cui i grandi della bacchetta hanno dimostrato se ed in quale misura fossero tali, è stato il buon giorno di questa modesta esecuzione. Gli archi suonano secchi e acidi, una volta superato il marasma della raffigurazione dei flutti del mare abbiamo una specie di bassa marea, molle e informe sui temi della redenzione, che così eseguiti sembrano tolti di peso da un’opera di mezzo carattere, anziché da una fosca tragedia nordica. Nessun mistero in buca all’ingresso del protagonista ed alla sezione conclusiva, complice la “tecnica sopraffina” di Terfel, urla e clangori. Quando questo giovane Wagner si ispira a Meyerbeer e Donizetti come nel terzetto Senta-Daland-Olandese o l’intero incontro Senta-Erik del terzo atto abbiamo avuto un’esecuzione piatta e metronomica ed un’orchestra senza ampiezza e cavata. Ovvio che il finale dell’opera e la catarsi dei protagonisti nulla ha, con simili rumori orchestrali, del tragico e salvifico epilogo.
Mettiamoci, poi, il coro che ha toccato il suo “imo casso” nella scrittura acuta del coro femminile
nella casa di Daland con stridori e stecche o quello dei marinai al primo atto, sovente impreciso negli ingressi. E non possiamo dimenticare che nell’uso del coro come elemento ora di commento
ora di colore Wagner sia largamente tributario nella prima accezione alla tradizione italiana e nella seconda a quella del Franco cacciatore di Weber.
E poi arrivano i protagonisti. Dobbiamo domandarci il senso della scrittura di Rosalind Plowright, nel ruolo della nutrice Mary che esibisce voce usurata da comprimaria di seconda scelta. Aggiungiamo l’esecuzione ridicola e caricaturale per le stecche del Marinaio di Dominik Wortig sia nell’assolo del primo atto che negli interventi sul coro del terzo. Altro aggettivo non possiamo trovare. E quando poi approdiamo al quartetto protagonistico ci si domanda se Klaus Florian Vogt (il cui carnet d’impegni sembra quello di un giovane Max Lorenz) altro non sia che la caricatura di Juan Diego Florez, tanto ricorda un tenorino di grazia da Rossini ante Blake perché l’esecuzione dell’ assolo “Willst jenes Tags” ( che richiama l’incipit del duetto Raul-Margherita di Navarra) è impietosa nel palesare le difficoltà evidentissime, nonostante la scrittura centrale, del cantante.
Senza infamia e senza lode il Daland di Ain Anger, peccato che ad onta dei suoni cavernosi e della cronica mancanza di legato non possa certo dirsi che disponga di una vera voce di basso, quale Daland dovrebbe avere anche per differenziarsi dal protagonista che è un basso baritono.
E qui arrivano le note ben più atroci e dolenti perche Terfel, che con la corretta tecnica di canto sin dal lancio non ha dimostrato rapporto decente alcuno, non conosce come si canti nell’ottava acuta e negli acuti emette berci insopportabili e da dilettante. Cosa succeda nella sezione conclusiva dell’ingresso dell’Olandese dove la tessitura è particolarmente impervia nell’ incipit del duetto con Senta “Wie aus der Ferne” è difficile descriverlo perché è la più lampante declinazione del non canto.
Degna di tanto protagonista Anja Kampe. Come una cantante con la voce ed il peso specifico di Gilda possa cantare non solo Senta, ma le parti di hochdramatische Sopran è inspiegabile. Oltretutto l’accento è affettato, vedi proprio le prime battute della ballata di Senta, e quando arriva la sola difficoltà vocale della parte (ossia la salita al si nat con la scala alla fine del duetto con il protagonista) annaspa miseramente priva dell’accento sognante e al tempo stesso aulico e solenne che compete alla fanciulla, che si sacrifica per l’idea dell’amore.
Un qualche ascolto riparatorio è doveroso, e non per mero passatismo.
Ma Giulia, addirittura Fritz Reiner e Otto Klemperer! Con questi metri di paragone tutti escono distrutti. Ma sarebbe come dire che io sono un pessimo storico della filosofia perché non sono al livello di Ernst Cassirer o di Theodor Gomperz o di Max Pohlenz. Magari sono pessimo, ma non per questi motivi. E’ sempre il solito sistema, che per me è disonesto. L’ho sentito anch’io questo Olandese alla radio. Era un’esecuzione media come tante se ne sentono; e come tante chiaramente ce ne erano anche ai tempi di Reiner e di Klemperer. Non si può prendere un’esecuzione di oggi, abbastasnza mediocre, e confrontarla con i massimi livelli possibili del passato.
Marco Ninci
E no mio caro, non era un’esecuzione mediocre era una schifezza (sentito in sala)
ma se mi toccano dov’ il mio debole
http://www.youtube.com/watch?v=kG0BIOgl-aQ
!!!!http://www.youtube.com/watch?v=qTJ-brhNheo
senti Ninci, Noseda non è certo klemens krauss, ma ha diretto un olandese di qualità. e non è uno specialista di wagner.
questo direttore ha fatto pena. e questo olandese non era all’altezza di un grande teatro di blasone perchè no cantavano ma latravano. e’ ora di chiamare le cose con il loro nome!
comunque a leggere in giro c’è una netta spaccatura tra il pubblico plaudente(sic) e la critica in generale su questa recita,possibile che il pubblico della scala ormai non riesce piu discriminare,neanche dal loggione ?
Con tutta la buona volonta’ non riesco a trovare nella memoria un Olandese peggiore di quello recensito. Neppure in quello spavento vocale che erano le recite romane del 1970.
A Roma, pero’ almeno Casellato-Lamberti una risicatissima sufficienza la beccava.
Non ci sono scusanti, hanno ragione Bud e la Giulia.
Non ci sono scusanti.
Lo spettacolo tra l’altro, era di una scemenza infinita.
La Scala si gloria definirsi il primo teatro lirico del mondo e ci offre una esecuzione del Vascello Fantasma che neppure nella periferia della Germania sarebbe stata accettata. Circa il consenso del pubblico
mi viene da ridere al pensiero di quelli che hanno speso 250 euro
per un posto in platea e vederli fischiare uno spettacolo che gli è costato così caro; al massimo staranno zitti. Vi è un discorso da fare
sul vero pubblico – il loggione – che dopo Muti si è ridotto (direi decimato) con una scusa ridicola: “ragioni di sicurezza” a cui si aggiunge la immeritata nomea di “vedovi” di non si sa chi, ma invece insopportati dalla arroganza di chi dirige il teatro.
Da quando abbiamo il sovrintendente più caro al mondo abbiamo anche la qualità più scadente al mondo di proposta musicale.
Quando sarebbe avvenuta questa decimazione del loggione? E ad opera di chi? A quale muro sono stati fucilati i dissidenti? Tutto questo è stupefacente. Ancora più stupefacente è che si dica che i loggionisti scaligeri non meritino la qualifica di “vedovi”. Il Teatro alla Scala è la capitale mondiale della vedovanza; questo lo sanno tutti. I vedovi di Toscanini hanno reso la vita impossibile a De Sabata. I vedovi della Callas hanno reso la vita impossibile a chiunque abba cantato i ruoii della Callas dopo di lei; chiedere informazioni a Renata Scotto. I vedovi di Abbado hanno odiato Riccardo Muti più di ogni altra persona al mondo. Cosa abbastanza comprensibile, dato che, per esempio, una fan di fede incrollabile sosteneva di essere cresciuta a pane e Abbado. E chi più ne ha più ne metta. Se poi Rigoletto dice che Lissner è il sovrintendente più caro al mondo, avrà le pezze di appoggio per affermarlo. Mi aspetto che non soltanto mi chiarisca quali sono gli emolumenti di Lissner, ma anche mi enumeri gli emolumenti dei sovrintendenti di almeno una decina, se non di più, di teatri in tutto il mondo. Vorrei conoscere questi stipendi; altrimenti si parla vanvera e si fa la figura di cialtroni.
Marco Ninci
se ne sono andati perchè la sbobba servita fa troppo schifo!
Ma Ninci ultimamente non ti capisco ..Ti sei inutilmente inacidito e contraddici per il gusto di farlo, almeno a me sembra così. Una volta tanto che persino la cirtica “ufficiale” ha stroncato uno spettacolo scaligero (tranne forse la Repubblica evidentemente in fase buonista o facilona) trovi da ridire. Citando Reiner , Giulia non ha certo dato come termine di paragone un Toscanini o un Karajan…..(su Klemperer poi taccio, no lo amo ma sarà colpa mia). Io ricordo abbastanza bene l’Olandese diretto da Muti. Mi ero emozionato, gli ottoni durante l’Ouverture me li ricordo splendidi, Morris non sarà stato Hotter o Crass, ma non era male e cosi la Polanski. La regia di Hampe, poi, era magnifica. Le vele rosso sangue che si alzavano magicamente durante l’apparizione della nave dell’Olandese mettevano i brividi. Tutto il contrario di quello che si è visto ora in Scala, una penosa recita parrocchiale di un capolvaro del melodramma, pretenziosa e intellettuaolide per giunta…
caro billy, qui va di moda venire a contraddire per partito preso per poi dire che si ricevono berrettate, tipo tatiana qui sotto. Dunque ho voglia di iniziare a tagliare le provocazioni.
Ricordo quell’Olandese, con muti che ben cominciò poi al grande trio donizzettare a più non posso. Non aveva la cifra di wagner quell’olandese e i cantanti non erano gran che. Ma le stecche, i versi, gli inciampi orchestrali e del coro dell’altra sera non ricordo ci fossero. E quell’olandese non lo ricordo come un gran succeso….questoinvece non doveva andare in scena!
Quanta semplicioneria c’è signora Grisi nelle sue esternazioni! Quando si sono mai sentiti fischi dalla platea nell’era Muti…? e di cose da fischiare ce n’erano ben tante nelle varie stagioni, in allestimenti obsoleti o inutilmente incomprensibili o direzioni (anche non di Muti) mediocri o cantanti insufficienti! Come si fa a dire che tutti i problemi sono dell’attuale gestione? Ci andava Lei alla Scala ai tempi di Muti? Mi viene un serio dubbio, perchè non è possibile rimpiangere dal punto di vista qualitativo quell’epoca, a meno che non si avessero interessi diversi da quelli dell’esito musicale!
Un cordiale Saluto
non meriti nemmeno una risposta tanto sei fuori dal seminato. Se non capisci neanche il senso di quello che leggi, inutile parlare.
Concordo. Anche perché Muti può piacere o no, ma la qualità dell’orchestra era garantita..e i cast per quanto paradossale possa essere erano migliori e più affiatati rispetto a oggi
i pasticci indecenti che sentiamo in ogni spettacolo scaligero, coro incluso, con Muti non si sono MAI uditi. E di cose brutte e fiaschi ne ho visti tanti.
Caro Billy, Reiner era un grandissimo direttore; Klemperer poi era qualcosa anche di più, un autentico genio della bacchetta. Ma queste sono cose risapute. Io non è che mi sia inacidito; a parte il fatto che mi sembra abbastanza singolare che mi si rimproveri questo difetto in un luogo dove l’acidità scorre a vagonate. Via su…Io cerco soltanto difendere le mie concezioni, che non sono affatto provocazioni. Come io accetto tranquillamente e senza perdere la calma che mi si facciano notare le mie contraddizioni, così penso mi si debba trattare quando io, magari sbagliando, faccio notare le debolezze del discorso altrui. L’Olandese della Scala forse non è degno della Scala, è un Olandese di routine. Ma esecuzioni di questo genere, ed anche molto peggiori di questa, si possono trovare dappertutto in Germania e in Austria; e non soltanto in provincia, ma anche nei grandi teatri. Ho ascoltato un’Aida a Colonia diretta molto bene da Humburg e un’eccellente protagonista nella persona di Hui He. Ma gli altri erano mediocri. La regia di Erhard, trasformando Ramfis nel Papa, era cervellotica. Ma l’ultima scena, nella quale la tomba assumeva le fattezze di un magazzino in disarmo, era bellissima, stringeva il cuore. Ecco, magari uno spettacolo simile sarebbe stato qui considerato un’orrenda porcheria. E secondo me non sarebbe stato giusto. Tutto qui.
Marco Ninci
Mamma mia caro Marco ma sei di coccio? Uno spettacolo di routine significa uno spettacolo tirato via ma nel quale non si scende mai al di sotto di un’onesta professionalità. Non era questo il caso dell’Olandese scaligero. Grazie per avermi ricordato la grandezza di Reiner , mi indicheresti una sua incisone operistica di assoluto riferimento? (A me viene in mente solo il Requiem verdiano, che opera non è ma quasi ci siamo. L’altissimo risultato però è merito congiunto suo della Price e di Bjorling) Su Klemperer, ripeto, non dico nulla ma a me non piace , troppo teutonico e “ponderato” per i miei gusti. Sarà colpa mia , già l’ho detto, ma a me ricorda quei secchioni “primi della classe” : tutto a posto, tutto preciso, tutto regolare, ma noioso da morire. Prova a confrontare la sua direzione del Flauto magico o delle Nozze con quelle dirette da Fricsay, o da Karajan…..o il suo Mahler con quello diretto da Walter o da Abbado o il suo………..ecc.ecc. Poi , è chiaro, ognuno ha i suoi gusti e le sue preferenze.
una grande direzione di reiner la Carmen al Met l’introduzione del quarto atto senti il caldo la folla la Spagna geniale
Reiner è stato un grandissimo direttore..altroché Billy Budd!
Direi anche gli straordinari frammenti di Elektra.
live tristano flagstad melchio 36…mitico. Rosenkavalier steber met. Cofanetto a basso prezzo cbs su strauss…..che dischi billy. Che bacchetta suprema e …moderna!
Quel cofanetto di Strauss è splendido (e poi è davvero economico: lo consiglio vivamente)
Si cita Reiner, si fanno le pulci a Klemperer (per carità ognuno ha i suoi gusti, ma a mio giudizio ha inciso uno dei più straordinari Hollander della storia della discografia), si critica l’opportunità di confrontare i grandi a questo Haenchen, si parla di medie ponderate sulla routine più o meno alta etc… Tuttavia sfugge, a mio modo di vedere, il punto fondamentale: questo spettacolo non solo era di livello ben più basso della bassa routine, ma era indecente per il luogo in cui è stato eseguito e per l’occasione.
Lasciando stare la messinscena demenziale che ha spostato la vicenda in epoca coloniale al solo fine di inserire una tematica ancora inedita (almeno credo) nel catalogo delle fesserie registiche che l’opera wagneriana pare stimolare, ossia lo sfruttamento del bianco sul nero. Lasciando pur perdere il fatto che la suddetta “genialata” priva in un sol colpo l’opera del carattere romantico e gotico che costituiscono, in realtà, la sua principale essenza (mi si perdoni la metafora gastronomica, ma è come preparare il pesto e non usare il basilico)…ma che diamine abbiamo ascoltato?
1) Un’orchestra allo sbando non più in grado di eseguire una partitura che dovrebbe essere parte di quel repertorio fondamentale di ogni teatro d’opera (e Giulia ricorda bene Noseda – che pure non si picca di essere un direttore wagneriano – e Muti proprio in Scala).
2) Un direttore che scrive una ponderosa introduzione circa la filologia interpretativa, le versioni dell’opera, le volontà dell’autore, le novità della sua interpretazione…per far cosa poi? Per non riuscire ad andare a tempo ed esibirsi in una vergognosa contrattazione sindacale che ha prodotto un mostro (versione finale – quindi da eseguirsi senza pause – MA con un intervallo invece di due). Taccio poi dell’assenza di qualsiasi reale interpretazione, ricerca di atmosfere o colore…
3) Un cast improbabile dove spiccava l’inutile (e costosissima immagino) presenza della ex diva discografica Plowright e uno Steuermann che è riuscito a stonare il suo suggestivo lied all’atto I.
4) Un coro che pare l’ombra di quello che era sino a 10 anni fa.
5) Il tutto in una stagione che dovrebbe omaggiare Wagner e che dovrebbe eseguirlo con cura e grandeur…e invece si replica l’ennesimo Hollander (malfatto) che si ascolterà in mezza Italia e si concluderà la sciagurata Tetralogia di Barenbiom/Cassiers: produzione tanto bislacca e malriuscita che verrà ricordata solo per la sua inutilità.
Siamo in tempi di crisi, è vero, e di ogni genere. Ma l’attuale stagione scaligera mi sembra raggiunga e superi livelli di infimità mai sentiti e visti prima.
Quest’OLANDESE a me tocca in teatro mercoledì, al turno A.
A questo punto sono curioso di sentire, più che l’opera del cui esito ci si poteva immaginare i risultati dai commenti trapelati dall’interno del teatro medesimo durante il periodo delle prove, le (eventuali) reazioni del pubblico. Per il resto, ormai quando si va in Scala si lasciano le speranze -oltre che i ricordi- al guardaroba.
Guarda, Billy, io sarò senz’altro di coccio. Però una considerazione la voglio fare. A me Giuseppe Patané è sempre piaciuto. Ciò non toglie che tanti anni fa (anni Settanta) io abbia sentito alla Staatsoper di Monaco (bada bene, la Staatsoper, il più importante teatro tedesco, diretto allora da Sawallisch, non il Theater am Gaertnerplatz) un “Olandese” diretto da Patané al cui confronto quello della Scala è una meraviglia assoluta. Cantato in maniera raccapricciante, diretto talmente male da non sembrare neppure credibile. Questo per smentire chi ha detto che un simile spettacolo non sarebbe stato accettato in nessun teatro della provincia tedesca. Ma certo che sarebbe stato accettato. Lo sarebbe stato anche a Monaco, Amburgo o Berlino. Allora come oggi.
Marco Ninci
Nei teatri di repertorio (Vienna, Monaco, Met) – servizi pubblici con una media di trecento recite l’anno – è comprensibile, e oserei dire anche scusabile, imbattersi a volte in recite raccapriccianti (sta a noi saper scegliere).
Nei teatri a stagione come La Scala – con il suo dichiarato fine (in altri tempi spesso egregiamente raggiunto) di dar lezioni di teatro e di musica ad ogni alzata di sipario – ciò è assolutamente inaccettabile.
Naturalmente quanto ho detto si riferiva a un passato non troppo remoto. Ora il raccapriccio si è generalizzato perché NON CI SONO PIU’ CANTANTI.
Per quanto riguarda Andreas Homoki. Io non ho visto la sua regia. Tuttavia si tratta, in linea generale, di un grandissimo regista. Io ho visto in quel meraviglioso teatro che è la Komische Oper di Berlino, di cui Homoki è stato direttore per dieci anni e che ha visto agire per tantissimo tempo colui che in molti considerano il più grande regista d’opera di tutti i tempi, Walter Felsenstein, due spettacoli assolutamente splendidi: “Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny” di Weill e Brecht, “Die Fledermaus” di Strauss. Magnifici. Meravigliosi. Mi riesce difficile pensare che nella regia scaligera dell’Olandese tutto, ma proprio tutto fosse da buttare.
Marco Ninci
Ma allora, Lily carissima, che vogliamo fare? Andiamo allo stadio. Almeno Messi, Iniesta, Xavi, Cristiano Ronaldo, Rooney, Bale, Di Maria, Schweinsteiger, quelli ci sono. E il loro valore è indiscutibile e indiscusso. E di piacere ne danno a quintali. Perché non trasformiamo questo blog in un blog di calcio? Ci sarà meno da lamentarsi. O forse, più probabilmente, da lamentarsi ci sarà comunque. Vuoi mettere Yaschin? O Gunther Netzer? O Bobby Charlton? O Rivelino? O Garrincha?
Marco Ninci
caro ninci, il problema è generazionale. Voi, quelli della tua età, ci venite a dire, dopo avere sfasciato tutto, che dobbiamo farci andare bene ciò che c’è e tacere, perchè lamentarsi non è correct. Che fare? Ci venite a dire. La risposta, cari signori, è FARE, rimettersi a fare bene e finirla col vostro modo di guardare la vita. Chi ha distrutto è ora che almeno si faccia da parte e smetta di dirci che la soluzione è continuare ad adattarci al peggio. Occorre reagire. L’èpera è ridotta così per ragioni ben precise, per nulla evanescenti. Se la vogliamo ancora, perchè non è detto che la si voglia, occorre mettere mano ai nodi del problema. In primis la cazzologia visual imperante, poi i casting managers incompetenti, ridare modelli tecnici che siano vocali e non da fattoria di orwell, concorsi di canto puliti e non inquinati dagli interessi monetari di maestri e agenti che hanno vampirizzato l’opera. Trovo la nenia ..e allora che fare?..indegna e vergognosa. Smettere di puntare il ditino imbelle contro chi reagisce a questa costosa schifezza sarebbe già aver fatto qlcsa di utile.
Vedi, Marco caro, io dei meccanismi che regolano il mondo del calcio sono digiuna (ancorché non immune al fascino di una bella partita), quindi preferisco tacere. Certo, potrei sempre affrontare gli argomenti dal punto di vista ideologico, ma – da vecchia praticona dei palcoscenici internazionali – preferisco basare le mie analisi (e relative conclusioni) sulla mia cinquantennale esperienza diretta: una geografia che mi pare non solo tu ignori, ma verso la quale nutri una spiccata insofferenza poiché interferisce con i tuoi splendidi discorsi teorici (un esempio clamoroso: la tua apologia della Bartoli quale vittima della società dei consumi, una cosa che ha giustamente provocato la risata omerica di Mancini).
Ciò che tu percepisci come lamentazioni io la vedo come Resistenza. Se dovessimo dare retta a te non di calcio (cosa seria) finiremo di occuparci, ma dei romanzi di Valter Veltroni.
Potrei chiedere Signora Grisi, un esempio di teatro che secondo Lei OGGI (stagioni attuali) risulta ‘non vergognoso’?
Tanto per farmi un’idea di quello che mi sfugge quando apprezzo (e mi sembrano davvero straordinari!) spettacoli come ad esempio l’ultimo Lohengrin scaligero. Non voglio polemizzare, vorrei comprendere qual’è oggi uno standard secondo lei accettabile.
vergognoso è un temine che usiamo spesso per lo scandalo dei costi, o degli incensi i rapporto alla realtà artistica, come altre volte in rapporto al mero esito musicale.
dunque come posso risponderti? leggi il sito e troverai la risposta. Non polemizzo ma la cosa che mi hai domandato circa l’era muti dimostra che non hai ancora ben chiaro a chi scrivi, cioè cosa si pensa qui del teatro di questi anni, era muti inclusa. le recensioni qui contenute sono la risposta più esaudiente che ti posso dare. non tutto è recensito come vergognoso se leggi bene, ma con tanti e vari gradi di apprezzamento o non apprezzamento.
forse mi sono persa qualche intervento, ma mi pare di leggere quasi esclusivamente pareri negativi. non voglio difendere a priori alcuna istituzione e la mia età anagrafica non mi permette di fare confronti con spettacoli di oltre trent’anni fa; quello che comunque penso è che una valutazione obiettiva e costruttiva vada fatta confrontando quello che viene proposto oggi. Come qualcuno ha sottolineato sicuramente sarò più ingenuamente eccitabile di molti di voi, ma trovo il livello degli spettacoli della Scala, escludendo qualche eccezione, di buona qualità, soprattutto se paragonati a quello che c’è in giro (Europa compresa). Giudicando l’Olandese attuale, l’ho trovato migliore di tutti gli altri qui citati, incluso l’ultimo torinese, a mio avviso molto scadente, sia per lettura musicale che per interpreti e regia. Quanto ai critici, giudicati ‘faciloni’ o ‘bendisposti’, credo che sia solo questione di garbo e stile, perchè a ben leggere, i pareri negativi si comprendono facilmente senza scadere in volgarità fuoriluogo, ma anzi esposti a dimostrazione che si è compreso il lavoro, pur non gradendo l’effetto.
ma cosa scrivi,che l’olandese volante del Regio di Torino era inferiore a quella sconcezza che ho ascoltato per radio dalla Scala?è che il 95 x cento della critica non ha parlato bene,basta e avanza solo il modo con cui suona l’orchestra,lascia perdere il Regio di Torino,il quale se avesse i finanziamenti pubblici che gode l’ ex tempio della lirica,diventato il tempio della sconcezza,potrebbe dare delle stagioni piu complete e articolate.
e soprattutto sotto l’egida di una direzione italiana,non teutonica,come quella di quel che fu un famoso teatro lirico(adesso ha solo il nome e i soldi dei contribuenti)
mi fa ridere, pasquale, il fatto che solitamente si dica che la critica non capisce nulla e venga sbeffeggiata tra un post e l’altro, mentre in quei -RARISSIMI- casi in cui vi trovate, non dico d’accordo, ma su una linea in qualche modo condivisibile, la portate come giudizio a sostegno dei vostri pareri…un po’ comodo, non trova?
Ma insomma Tatiana, (ti piace l’Onegin? anche a me) il soprano alla Scala urlava o non urlava secondo te? perchè se tu non eri in grado di distingure un acuto decentemente emesso dagli urli grotteschi della signora in questione è davvero inutile parlare, ha ragione Giulia.
tatiana se persino i” buonisti£
hanno bocciato quell’olandese,vuol dire che era una ” enorme ” sconcezza,però se a te piace fatti tuoi,ma lascia perdere le altre recite,non bestemmiare.
Eh no, cara Giulia, il tuo è un autentico delirio, consentimi di dirtelo. Ora io e la mia generazione non soltanto abbiamo fatto il debitio pubblico (naturalmente questo è stato una conseguenza del divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro; ma è facile dare la colpa a una generazione intera). Non soltanto abbiamo rubato la vita ai giovani. Abbiamo anche sfasciato il mondo dell’opera. Io non punto il dito, specialità nella quale mi pare qui ci siano persone imbattibili. Soltanto penso che occorra, anche oggi, distinguere il valido dal non valido, perché di valido ce n’è ancora, anche se in senso diverso da quanto accadeva negli anni Venti e Trenta. Il mio sarà anche un dito imbelle, ma il tuo è squallidamente qualunquista. Veramente una cosa coraggiosa, davvero rivoluzionaria, sbatacchiare per l’ennesima volta Villazon; è stato detto centinaia di volte che si tratta di un orrore. A parte l’assurdità di inserire nella quaresima la Meier, Kollo o la Dernesch (per quest’ultima è vergognoso averla giudicata in un repertorio completamente estraneo a quello per lei abituale), la sequela quaresimale è stanca, ripetitiva, sempre uguale; l’umorismo che ne esce è, lui sì, davvero quaresimale.
Marco Ninci
caro ninci, a sentir voi va male ma vi comportate sempre come se fosse colpa di “altri”, come se gli altri non foste voi. ti esemplifico, con i tuoi colleghi: “l’Ateneo va male…è distrutto” mi dicono. si ma l’ateneo chi lo gestiva? chi sedeva nei consigli? gli allievi? gliassistenti o i capi? o è sempre colpa di berlusconi e basta. Nemmeno vi rendete conto di quello che dite e come vi comportate, è sempre solo colpa degli altri. il mondo va male, solo male, ma tutti sono presi ad adattarsi all’andazzo, mica a dire NO.
delirio un corno, Ninci, la generazione prima di voi guardava sempre e solo alla sostanza delle cose. al contenuto, all’obbiettivo. voi guardate sempre e solo alla forma. tutto è una truffa intorno a noi, ma perchè qualcuno arrivasse a dire “no” bisognava arrivare allo sputtanamento di tutto. e sai perchè? perchè dire no per questioni di principio per la vostra generazione era impossibile, l’importante era tirare avanti come se nulla fosse fottendosene delle conseguenze, cioè del futuro che andavate delineando per noi.In ogni cosa! e adesso siamo qui, e non per caso caro ninci. il tuo atteggimento verso questo sito è sempre stato in linea con questo modo di pensare, adattatevi allo schifo, noi abbiamo creato la KULTURA intorno al teatro, ci facciamo mille seghe mentali per raccontarci la frottola che ciò che vediamo è bello e colto anche se non lo è. e se poi qlcuno arriva e vi sveglia con dei bu, allora stabilite che è incivile, no che magari ci sente è non è ancora ridotto come voi a cazzeggiare sulle fole. ci credo che non puoi capire, ne sono certa, nemmeno ve ne rendete conto. ninci da dirci non abbiamo nulla, ed è per questo che qui ti senti sempre e solo dir eche provochi e che non sai nulla di canto. nemmeno hai i contorni del problema in testa né fai nulla per capire.
io sono della tua generazione e spesso sono in disaccordo con il tuo gusto e le tue opinioni, questo mio disaccordo lo apostrofi sempre come provocazioni solo perché cerco di sdrammatizzare tutto quello che tu prendi troppo sul serio tanto da offendere (vedi Tatiana) chi osa contraddirti. Comunque domani qualcuno di noi noto che sarà alla Scala più curioso che mai di verificare sul campo di battaglia la resa di questo Olandese che alla radio non mi é sembrato tanto peggio di molti altre produzioni di questo capolavoro.-
Vedi, Lily carissima, io di quel mio discorso sulla Bartoli sono oggi ancora più convinto. Perché per me quello che conta è il risultato artistico se uno fa il musicista; oppure di pensiero se uno fa il mio mestiere. Se un musicista, obbedendo a degli imperativi consumistici, tradisce gli ideali di un’arte sana e che era perfettamente alla sua portata, è una vittima. Può avere tutto il successo o i soldi che vuole; rimane una vittima, perché qualcosa in lui gli ha impedito di raggiungere l’unica cosa importante, un’espressione genuina di sé. La risata di Mancini, che fa sempre bei discorsi sul trascendente, dimostra soltanto che, ad onta di tanta trascendenza, in qualche modo anche lui non è che un bottegaio. Non riesce a ragionare in termini assoluti, secondo i quali un fallimento artistico è un fallimento artistico e chi lo mette in opera, avendo la possibilità di fare altro, è una vittima di se stesso e dei propri falsi scopi, pur se questi ultimi danno vantaggi e soldi. Da un certo punto di vista Mancini ragiona come la Bartoli odierna, la considera una vincitrice, pur se all’interno di un gioco degradato. E’ invece una sconfitta.
Marco Ninci
Prendiamo il caso di Mario Monti. Non ha mai scritto una riga che fosse interessante. Ha passato tutto il suo tempo nelle banche, nelle commissioni e nella politica. Grande potere, grande ricchezza. Ma è un fallito, perché il suo ruolo era quello dello studioso. E’ stato vittima di falsi scopi; sostanzialmente, un debole. Tutto qui; secondo me, così occorre ragionare quando non si è corrotti.
Marco Ninci
Marco carissimo, tra tuoi grandi ruoli (La Nanny, Teodora) noi – povere bottegaie ammiratrici – dovremo ora contare anche quello di Turandot.
Continua a stupirci.
Un abbraccio.
P.S. Lasciamo le categorie vincente-perdente agli americani. La signora in questione, con la sua ridicola filologia, è una sabotatrice e un’impostora, a prescindere da quanto ne ricava. Se decidi di legittimarla come potenziale artista, affari tuoi. C’è anche chi, appunto, è pronto a legittimare i romanzi di Veltroni.
E poi, Giulia, è l’ora di farla finita con questa storia dell’università, malauguratamente tirata fuori da quell’improvvido di Papageno. Quando mi dissero che l’ateneo era distrutto, questo era Siena; avrei dovuto far qualcosa per questo? E come potevo? Ero a Pisa e non ero certo fra i capi. Ma che vuoi da me? Sono stato due volte in commissione di concorso e tutte e due le volte hanno vinto persone che hanno fatto una brillantissima carriera internazionale. Quindi non ho nulla, ma proprio nulla da rimproverarmi. Smettila di parlare di cose di cui non sai niente e di trovare immaginarie reponsabilità collettive in cui sarei coinvolto. Mi hai seccato.
Marco Ninci
Il tuo discorso non fa una piega. Ma se passiamo dall’argomento Canto a quello dell’ETICA, vengono le vertigini…….
Un caro saluto
http://www.youtube.com/watch?v=WSyV3cjWLWY
(mi riferivo al discorso fatto da Marco poco sopra)
questa polemica sullo “scontro generazionale” sta assumendo tratti buffi, devo dire. cosa dovrei dire io che sono sotto i trenta anni? che è colpa delle vostre generazioni? che è colpa dei padri costituenti che han dato pochi poteri al capo del governo? che è colpa di cavour che è morto prima di fare l’italia? che è un poco colpa mia?
Torno a parlare di canto, ho ascoltato Olandese Volante da sister radio, ho sentito che è localmente molto mal cantato, ho fatto gli ascolti riparatori (Gadski a parte: lei mi risulta piuttosto inascoltabile, una Anja Kampe degli anni trenta). In effetti c’è da arrabbiarsi, e son felice di aver scelto di non calare a Milano per questa serie di recite (sospettavo che avrei sprecato troppi euro). Speriamo che le continue proteste cambino, nel tempo, l’andazzo canoro di oggi.
Una nota positiva, anche:
http://operaperu.blogspot.de/2013/03/soprano-jessica-pratt-debuta-el-rol-de.html
(un poco OT, forse)
cit. Giulia Grisi: “La risposta, cari signori, è FARE,”
eh… a chi lo dici….. :-/ :-/
P.S. attenta Madama, la tua critica generazionale ti si può ritorcere contro: non è che hai vent’anni…….
…tra poco ne avrà 202 di anni e molta saggezza! (già pregusto gli ascolti che madama grisi ci proporrà nel giorno del suo compleanno!)
Certo, questa cosa dello scontro generazionale nell’opera è talmente grottesca e assurda che mi ha messo di buon umore fin da ieri. Non mi ero mai accorto che, quando andavo all’opera negli anni Settanta e Ottanta, in realtà stavo scavando la fossa a quello che vedevo (scusate, ma non mi sono ricordato che ogni alzata di sipario è in genere un fatto superfluo quando non delinquenziale) e ascoltavo. Sempre la stessa cosa. Ogni giovane (ma Giulia è davvero così giovane? Da quello che scrive e da come lo scrive non direi) accusa chi è venuto prima di lui e alza il cipiglio vendicatore. Di questi tempi lo vediamo tutti i giorni in questi ragazzi che hanno invaso Roma. Pensano di rappresentare una novità assoluta e non si rendono conto (ma forse è necessario sia così) di rappresentare soltanto una parte, vecchissima e recitata da tempo immemorabile. C’è sempre qualcuno che si sente più giovane di qualcun altro. Aspetto il momento in cui si interpreterà in questo senso anche il pianto dei bimbetti; quello di tre mesi accuserà quello di sei di essere vecchio. E’ come la questione del nord e del sud. C’è sempre qualcuno più a sud di qualcun altro. Ho sentito io stesso una persona di Mazara dare del meridionale a uno di Lampedusa. Finché, andando verso il nord, le cose si ribaltano. I terroni sono al nord e i civili al sud. Ma invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia: incomprensione e stupidità.
Marco Ninci
purtroppo ninci è una constatazione. nulla ha a che fare con le rivolte sociali che tu ricordi e che ti appartengono per generazione. E’ una triste conclusione che non solo la sottoscritta ha tratto. Che i figli del 68 o del booom economico si siano comportati così è detto e ridetto per ogni dove. noi , caro ninci non vi puntiamo il dito contro. quello lo avete fatto voi contro le generazioni precedenti. ma, ripeto, quelli come te, hanno la tare delle orecchie, musicali e più in generale verso la vita. dalla tv non stai capendo niente professore? il rottamatore renzi secondo te non pensa questo quando dice che i padri ci hanno lasciato debiti da pagare, l’inquinamento e il collasso morale? pensi che, su un altro fronte, il 25 % che ha votato grillo non abbia questa idea? hai la fortuna del reddito fisso e del non doverti procurare un lavoro. dovresti provare a metterti in gioco sul mercato, a cercare un lavoro e a volerti permetter di pagare l’affitto e farti una famiglia che vorresti mantenere: allora i conflitti generazionali li capiresti. capieresti la differenza tra chi ha tutele e chi non ne ha. Tra chi è ancora precario e senza diritti per anagrafe e chi gli sbatte in faccia la proprie rendite di posizione ed un apparato di tutele oltre il legittimo.
Non occorre essere giovani per capire queste sperequazioni, basta guardarsi attorno e accendere i neuroni. Basta confrontare i percorsi dei padri con quelli dei figli, bastano i loro racconti. Non occorre vivere in prima persona certi problemi per accorgersene. E se si è stati fortunati, come mi ritengo tale di fronte a persone che conosco, non si è esenti dal guardare e dal riflettere: il mondo non si limita al proprio lato B, ma lo abbiamo intorno. Del resto, tu vai all’opera e non ti interessa il canto…….che ci possiamo dire? avrai lo stesso modo di (non)relazionarti anche alla vita reale. Infatti sei in un sito di vociomani a dire sciocchezze sul canto e a criticare chi se ne interessa e lo ritiene, come è, una forma d’arte altissima, e non l’orpello ai deliri dei registi e al superego dei direttori d’orchestra da sinfonica. non vado oltre
come sempre sbagli
io che non sono giovane e neppure in età da rottamazione trovo che la generazione dei miei genitori (età di elisabetta windsor o di giorgio napolitano) sia stata l’ultima depositaria di determinati valori e di molto buon senso e ragionevolezza nell’essere equilibrata fra il passato ed il presente ed è una generazione la cui adolescenza è stata profondamente segnata e nel sapere fare uso del “miracolo economico” e dei vantaggi che dallo stesso discendevano secondo l’adagio “est modus in rebus”. Purtroppo sono stati gli ultimi poi sono arrivati quelli che sono scesi in piazza fra il 1968 ed il 1977 credenso di avere solo diritti e nessun dovere e che secondo questo principio hanno condotto la loro vita umana e professionale. E questo modo si è trascinato anche nei miei coetanei alcuni dei quali (me per primo) hanno rifiutato schifati e disgustati sin dai primi passi ogni rapporto con il pubblico e la politica e quelli che, invece, lo hanno fatto si sono prontamente adeguati a mal costume e mascalzoneria. Vuoi trasferire per restare in tema il tutto in un teatro d’opera? Siamo funestati da una pletora di anziani che non fischiano, non riprovano, difendono i luoghi e le istituzioni, che ci propinano bellezze tipo l’olandese, e non contenti insultano gratuitamente per salvare l’indifendibile ed insalvabile. Non sarà un caso che i “grisini” siano under 30 e con un livello di preparazione musicale e culturale cospicuo, magari poliglotti etc….
Invece di rampognare, caro ninci, fatti qualche domanda per non dover applicare a te stesso gli ultimi due sostantivi del tuo precedente intervento.
ciao dd
Cara Giulia, dire che non mi punti il dito contro quando nel tuo post non fai altro che questo mi sembra singolare. Due cose rapide. Intanto i conflitti generazionali ci sono sempre stati; diventano più aspri in momenti di crisi. Ma la situazione giovanile non è data dalle nostre tutele. E’ giusto invece che siano estese a tutti. Non mancano i soldi; manca la volontà politica. Infatti dagli anni Ottanta, quando sono crollate le democrazie popolari, non si è più fatta politica di piena occupazione. Le democrazie popolari costringevano il capitalismo a dare il meglio di sé; il loro crollo ha portato ad un attacco ai salari e all’occupazione come non si era mai visto nel dopoguerra. Tutto ciò ha portato a una terribile redistribuzione verso l’alto. Più facile prendersela con noi; è la cosa più ovvia, anche se tutto questo non appare in televisione, cui gentilmente Giulia mi richiama. Oramai il lavoratore precario se la prende soprattutto con il compagno di lavoro che ha un contratto a tempo indeterminato; non con chi ha interesse al fatto che lui sia precario, sempre di più. Ma questa è la vulgata dominante, la più ovvia e scontata; proprio da televisione. Il tragico è che tale vulgata è condivisa soprattutto da chi ne è vittima, tanto l’ideologia liberista e antistatalista ha prevalso. Tutto questo durerà fino a che il liberismo non avrà compiuto danni tali, penso con l’esito di una guerra, che occorrerà invertire la rotta. Del resto, i rigurgiti nazionalisti che da tanti anni non si erano visti in Europa e che ora imperversano (basta leggere un qualunque giornale tedesco e austriaco) rendono questa diagnosi addirittura ovvia.
Marco Ninci
Brava Turandot! Cominci a ragionare…
Baci
(Baci da questa povera Liù, naturalmente)
penso che sia ora di tornare nell’alveo del blog…tanto se andiamo avanti cosi, tra un anno cominceranno i veri guai..spero di no..
Ma poi quello che viene detto sul debito pubblico è ridicolo. Questo negli anni Ottanta era al 60% sul Pil. In dieci anni è raddoppiato, ma non per le tutele, bensì per la spesa per interessi, portata dal divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro. L’avanzo primario, al netto degli interessi, era in attivo. Anche ora la BCE avrebbe tutto il potere di portare gli spread a un livello bassissimo; ma i trattati, attenti solo alla stabilità dei prezzi, glielo impediscono. Ci dobbiamo finanziare sui mercati e questo porta a interessi mostruosi. Ma questo non succede al Giappone, il cui debito pubblico è il doppio di quello italiano; però la sua banca centrale compra i titoli e questo gli permette di finanziarsi a tassi bassissimi. L’ideologia liberista dell’eurozona ha fatto ancora una volta i massimi disastri.
Marco Ninci
Volevo dire soltanto un’altra cosa e poi taccio; è tutto troppo fuori tema. A metà degli anni Novanta mi è capitata per caso tra le mani una copia del Gazzettino di Venezia.C’era una dichiarazione di Innocenzo Cipolletta, allora non mi ricordo se presidente o direttore generale di Confindustria. Testuale: “abbiamo costruito gli stati sociali per rispondere alla sfida delle democrazie popolari; ora che queste sono crollate, perché mai dovremmo mantenerli”? Elementare, Watson. Ogni tanto questi grandi capitalisti hanno il coraggio di essere sinceri e la loro brutalità è una boccata d’aria fresca, a fronte delle contorsioni della sinistra riformista.
Marco NInci
Chi sa, Lily carissima; magari posso chiamarti compagna Lily.
Ciao
Marco Ninci
Giudizio molto equilibrato. Solo dissento su Vogt, che più che ad Alva andrebbe paragonato a Jaroussky. Ecco, Vogt è il Jaroussky wagneriano
Per Marconinci: Alberto Bagnai -Il tramonto dell’euro
ma non si parlava dell’olandese scaligero ?
Ho ascoltato questa ‘cosa’ definita Olandese volante. Ritengo sia una esecuzione vergognosa, non solo per la Scala ma anche per un teatro di provincia.
Il cast era orrendo: Terfel può anche ritirarsi , il suo non è più un canto professionale.Non mi soffermo su tutti gli elementi del cast poichè non meritano attenzione alcuna.In certi casi eravamo alla parodìa (der Steuermann). La direzione d’orchestra spaventosa.