In primo luogo dimostra come il canto wagneriano, se praticato con l’opportuno supporto tecnico non accorcia e non distrugge nessuna carriera e il più delle volte può essere praticato contemporaneamente a titoli ben differenti per esigenze vocali ed interpretative da quelli wagneriani, Mozart compreso.
Dimostrano poi e con particolare riferimento ad Heinrich Knote che le registrazioni acustiche possono restituire una immagine assolutamente parziale delle voci soprattutto sotto il profilo dell’ampiezza, penetrazione e vibrazione.
Heinrich Knote debuttò nel 1892, nei primi anni del XIX cantava ed incideva le più onerose parti di Wagner e gli estratti delle stese vennero riproposti in disco nel 1930. Nei venticinque anni, che intercorsero fra le due serie di registrazioni possiamo, con riferimento ai brani wagneriani, osservare come la voce si fosse un poco indurita, ma squillo, fermezza e saldezza in un cantante quasi sessantenne e con quella frequentazione di repertorio portano a ritenere che gli acustici del 1908 costituiscano immagine parziale delle doti vocali del cantante.
Siccome Knote sapeva cantare e con una linea di canto assolutamente scevra da ogni parlato non cantò mai a Bayreuth. L’ approccio al repertorio italiano e francese è quello di un cantante non forse fantasiosissimo, ma solido e tecnicamente di tale levatura da trillare nella aria di Manrico e capace di eseguire i passi di agilità, previsti da Flotow ,nell’aria dello Stradella, dove gli acuti suonano squillanti e penetranti, fatta la debita tara dei metodi di registrazione.
Quando esegue il repertorio italiano Knote restituisce anch’egli, senza la qualità timbrica eccezionale di Slezak un’immagine, scevra da ogni eccesso verista come accade nel duetto del secondo atto con Azucena, una Margarete Matzenauer, che nella propria esecuzione esplicita perché la zingara verdiana incontrasse i favori di cantanti di ascendenza, addirittura rossiniana, come la Borghi-Mamo o la Viardot.
Carl Jorn , che era lettone e coetaneo di Jadlowker è ancora più lontano da stilemi e gusto post ottocenteschi, anche eseguendo opere come Carmen e Cavalleria rusticana, che, della poetica e del gusto verista, sono gli assoluti paradigmi.
Nell’aria di don Josè l’incipit è dimesso, nessuna esagitazione e singhiozzo di marca verista, colpiscono nel passaggio di registro (l’aria non è affatto acuta) il pronunciato immascheramento dei suoni sicché quando arrivano i primi acuti la voce è squillante e brillante. Sul famoso si bem di “libero schiavo amor mi fe” Jorn esegue una prodezza, ossia inserisce una messa di voce, che nella nostra abitudine di ascoltatori è tipica delle voci femminili alla Olivero piuttosto che alla Caballé, golden age. Il suono è emesso con prevalenza delle risonanze di testa, che erano a regola dei tenori ante verismo e che per la verità venne anche praticata successivamente come attestano le registrazioni di Gigli e di Rosveange e di buona parte dei tenori di scuola francese. Andre d’Arkor sopratutti ed in tempi recenti Alain Vanzo. Altro accorgimento tipico della scuola antica (l’esempio nel bene e nel male è Fernando de Lucia) è attaccare piano o mezzo forte gli acuti per rinforzarli. Era un accorgimento che, sotto il profilo tecnico consentiva di controllare l’emissione del suono e sotto quello espressivo dava al canto, soprattutto d’amore una varietà di accento, oggi sconosciuta. A titolo di esempio e senza nessuna vis polemica invito a risentire l’ultima esecuzione dell’aria di Carmen ad opera di un tenore, oggi famosissimo come Marcelo Alvarez.
Fra l’altro in compagnia in Carmen di una della sacerdotesse del nascente verismo come la Destinn, e con un soprano wagneriano famoso per il rigore tecnico e stilistico come Melanie Kurt nei panni, invece di Santuzza, Jorn rimane sempre uguale a sé stesso, ossia composto ed attento ai segni di espressione, sempre misurato e con una voce, sotto il profilo della qualità, sorprendente ad onta di metodi di registrazione primitivi. Anche in personaggi, diciamo post romantici, Jorn non omette smorzature ed è prodigo di messe di voce, evita singulti e ricorsi al parlato. La differenza con la Destinn è assoluta. Sono, credo, due mondi che si confrontano. E se nelle frasi finali Jorn ricorre a qualche inflessione del declamato arrivato al “o mia Carmen adorata” canta e non grida.
L’esecuzione che desta stupore ed ammirazione agli ascoltatori moderni è quella del duettone degli Ugonotti e del duetto d’amore del Faust, due topici della vocalità tenorile ottocentesca. Le caratteristiche tecniche e stilistiche vengono esaltate e se anche l’attacco del re bem del famoso ” ah vien” è incerto, la nota, poi, si amplia e sviluppa. Ma ancor più colpiscono l’accento dolente della prima sezione del duetto dell’eroe spaventato per l’imminente fine cui succede, poi, l’innamorato. Come le acclamate primedonne degli ultimi cinquant’anni Jorn pratica una dinamica sfumata, sicchè ogni nota medio alta è sempre attaccata piano, rinforzata e smorzata, analogo procedimento viene applicato a suoni di lunga durata e il famoso “dillo ah dillo” vede Jorn schierato alla tradizione dei do bem eseguiti in falsetto, in falsettone (sarebbe più corretto dire con un misto) e, poi, a piena voce.
Nel ruolo di Faust Jorn appartiene alla tradizione dei protagonisti dalla voce scura e possente ( Faust, a parte il do della “presence”, non è affatto una parte acuta) ciò non gli impedisce di essere dolce e squillante al tempo stesso, di attaccare la sezione centrale “oh nuit d’amour” con un timbratissimo e squillante pianissimo, oggi sconosciuto e che rende il clima di estasi amorosa previsto dall’autore.
Dei tre tenori il più famoso fu Urlus. Il tenore olandese frequentò con poche esclusioni tutto il repertorio Wagner (fu il Tristano del primo cast al Covent Garden, al debutto di Lauritz Melchior, che gli subentrava in secondo), Mozart, ed il repertorio italiano, con una preferenza per Verdi e quello francese, dal grand-opera alla Carmen. Siccome operò in pratica in regime di monopolio in alcuni teatri come Lipsia, Monaco, sia pure sporadicamente si esibì nel repertorio post romantico. Sia detto per inciso il suo Mario Cavaradossi o il suo Rodolfo sono ben cantati ed anche ben interpretati, ma rimaneva un tenore di un’altra epoca e di un altro repertorio.
Il timbro, senza essere quello eccezionale di Slezak era bello, salvo qualche durezza e fissità negli acuti, specie nelle registrazioni dopo il 1920 (Urlus, allora era oltre i cinquanta ed in carriera da trenta).
Le osservazioni su Jacques Urlus devono essere le ultime perché credo che il tenore olandese, riassuma i pregi moltissimi ed i difetti pochi ( anzi personalmente non ne trovo se non certe durezze in zona alta) di tutti i tenori di area middle europea coetanei di Caruso, suoi antagonisti o metri di paragone al Met, interpreti tutti di rara completezza tecnica e misura interpretativa.
Una pattuglia così nutrita (la prossima riflessione e conclusiva sarà sui tenori di area francese) ricorda per caratteristiche tecniche ed espressive il plotone di agguerrite prime donne che seguì l’avvento della Callas. Solo che nel caso di questi cantori è estremamente difficili individuare un progenitore o un archetipo, anche perché il gusto e la tecnica italiana circolavano per l’Europa e spesso cantanti tedeschi, cechi, polacchi studiavano in Italia. Una cosa è certa il fenomeno Caruso, perché di fenomeno si trattò non li sfiorò neppure lontanamente. Basta per sincerarsene sentire Urlus che alterna la parte di Arnoldo a quella di Siegmund. E sino qui nulla di strano se non fosse che il nostro solido olandese squilla nei panni dell’eroe rossiniano ricordando la freschezza di un Tamagno o di un Escalais e regge senza sforzo (e in tutti e due i casi lo fece spesso in teatro) la scrittura centrale di Wagner. Nel primo caso senza strozzarsi nella zona di passaggio nel secondo senza uscire distrutto dalla scrittura. In realtà nella concezione interpretativa ( e qui so che i fautori di Wagner uber alles, grideranno allo scandalo) poco o nulla cambia siamo dinnanzi a due personaggi fortemente idealizzati, due eroi, che non possono che esprimersi che con il linguaggio aulico che all’eroe compete.
I pescatori, i commedianti, i seduttori di un assolato paese della Sicilia sono quanto di più lontano posse esserci dalla mentalità prima ancora che dall’esecuzione vocale del biondo tenore olandese.
Gli ascolti
Heinrich Knote
Flotow – Alessandro Stradella – Tief in den Abruzzen
Mozart – Die Zauberflöte – Dies Bildnis
Verdi – Il trovatore – Ah si, ben mio
Wagner – Die Meistersinger von Nurnberg – Am stillen Herd – 1906
Wagner – Die Meistersinger von Nurnberg – Am stillen Herd – 1930
Wagner – Die Meistersinger von Nurnberg – Morgendlich
Wagner – Lohengrin – Mein lieber Schwan
Wagner – Lohengrin – In fernem Land
Wagner – Die Walküre – Ein Schwert
Wagner – Siegfried – Nothung! Nothung!
Wagner – Götterdämmerung– Brunnhilde, heilige Braut
Karl Joern
Bizet – Carmen – La fleur que tu m’avais jetée
Bizet – Carmen – C’est toi?…C’est moi!
Gounod – Faust – Rien, en vain j’interroge
Gounod – Faust – Salut, demeure chaste et pure
Gounod – Faust – Il se fait tard (con Emmy Destinn)
Mascagni – Cavalleria rusticana – Tu qui Santuzza? (con Melanie Kurt)
Meyerbeer – Les Huguenots – O ciel! Où courez-vous? (con Emmy Destinn)
Wagner – Götterdämmerung – O heilige Goetter! (con Melanie Kurt)
Jacques Urlus
Massenet – Le Cid – O Souverain
Meyerbeer – Le Prophète – Pour Berthe
Puccini – Tosca – E lucevan le stelle
Rossini – Guillaume Tell – Ah, Mathilde
Verdi – Il trovatore – Ah sì, ben mio
Verdi – Aida – Celeste Aida
Verdi – Aida – O terra addio (con Melanie Kurt)
Verdi – Otello – Niun mi tema
Wagner – Lohengrin – In fernem Land
Wagner – Die Walküre – Annuncio di morte (con Melanie Kurt)