Fra pochi minuti si alzerà il sipario sulla Tosca che inaugura la stagione scaligera.
Per la verità il velario virtuale si è già aperto da giorni, anzi da settimane, con le cronache dell’acquisto dei biglietti per la “primina” e annesso panegirico dei giovani melomani in attesa al freddo e al gelo (e meno male che le temperature sono state clementi con i giovani, anche quelli evidentemente a disagio con la procedura di acquisto on line). Cronache che si sono poi mutate in uno stillicidio di anticipazioni, “foto rubate”, fattarielli di scarsa consistenza (alludo alla conferenza stampa disertata dalla signora Netrebko) per culminare nel resoconto della suddetta “primina”, trionfale in virtù di dodici minuti di applausi, tributati da un pubblico che sarebbe eufemistico definire benevolo. E allora, giusto per chiarirci rispetto ai trionfi veri, quelli raccolti di fronte a un pubblico in ogni senso pronto a tutto, proponiamo a confronto la registrazione di una Tosca proposta la bellezza di sessantacinque anni fa al Teatro San Carlo di Napoli. Non solo non c’è romanza che non venga accolta da ovazioni clamorose, ma spesso il pubblico sottolinea (come in una celebre Butterfly, anno di grazia 1961, dal medesimo teatro) l’effetto particolarmente riuscito di questa o quella frase, su tutte “la vita mi costasse” di Cavaradossi, arrivando a chiedere (e ottenere) il bis di “Vissi d’arte”. Naturalmente la registrazione va proposta non solo come testimonianza di tradizione (o folklore, come lo definirebbero certi accorti operagoers oggi à la page) di ascolto, ma soprattutto per riflettere sulla qualità del prodotto artistico che quelle reazioni è in grado di suscitare. La protagonista, Maria Caniglia, era alle soglie dei cinquanta anni di età e dei venticinque di carriera, una carriera generosamente costruita sui titoli più onerosi del soprano lirico spinto e drammatico, affrontati in tutti i maggiori teatri del mondo. Nonostante la nomea (odierna, ma non solo) di cantante poco musicale e approssimativa sotto il profilo tecnico, la signora Caniglia “cannoneggia” ma è anche perfettamente in grado di cantare piano e pianissimo, addirittura sfumato nella zona più propizia della voce (quella medio-alta), mentre in basso compaiono suoni a volte sgangherati, propiziati dall’età non più freschissima. Gli acuti sono poi impressionanti e in grado di rivaleggiare con quelli di Mario Del Monaco, certo più generico della collega nell’accento ma altrettanto gagliardo quanto a slancio e qualità del materiale vocale. Esemplare, per entrambi gli amorosi, la dizione, cruciale in un titolo come questo. Colpisce in positivo anche un cantante, generalmente ritenuto becero e verista nel senso più deteriore del termine, come Giangiacomo Guelfi, che soprattutto nel primo atto riesce a essere uno Scarpia insinuante, mellifluo, davvero inquietante. Il maestro Rapalo, un direttore in ogni senso di casa al San Carlo (di cui fu per decenni una delle colonne), dirige con sicuro e onesto mestiere.
Buon ascolto della diretta dalla sala del Piermarini.
9 pensieri su “E vai con la Tosca: centovent’anni di DIVE !!! Speciale Sant’Ambrogio: TOSCA San Carlo 1954”
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Allora, davanti alla TV:
– cosa cavolo e’ successo dopo la prima uscita di Tosca ? Panico i9n sala, credo ?
– non mi piace, e’ un parere personale, ovviamente, questo andirivieni di elementi sul palcoscenico, su e giu’ del quadro (troppo grande, direi), personaggi che si muovono avanti e indietro con candele, ma Angelotti deve proprio rifugiarsi in una botola e spuntare da un’altra parte ? E perche’ i 2 amici, quando parlano di Scarpia, si inginocchiano ?
– Angelotti parla e urla abbastanza
– il Sagrestano ha cominciato non male, ma poi, dalla notizia di Marengo in poi, parla, urla e piange: d’altronde, gli puntano addosso delle pistole …………
– la Netrebko con solita emissione criptica e ingolfata, e un po urla anche
– Meli forza molto e il vibrato si sente, eccome: “la vita mi costasse, Vi salvero'” ce lo dimentichiamo volentieri; di squillo, nessuna traccia,: il finale dell’Aria, “ah l’alma acquieta: sempre t’amo Ti diro?” sono emblematici
– il baritono lo salverei, avra’ i Suoi limiti, ma lo salverei
Ecco: “Non e’ arte, e’ amore”. “si’, si’ Ti credo”, per me sono una novita’ assoluta, ma credo di capire perche’ di solito non li sentiamo: sento odore di telenovela, parere personale, anche questo.
La Carlucci ci ha informati che Cavaradossi e’ stato interpretato, in passato, da grandi tenori come Domingo e Di Stefano; forse anche qualcun altro ? Magari anche un briciolino piu’ grande ?
Ma goditi la Tosca e non menare il belin! Se non ti piace, cambia canale
Io non meno proprio nulla e non vado maleducatamente a dire a chi se la gode di “non menare il belin”. Chi se la vuole godere se la goda ma nessuno pretenda che io mi faccia da parte per non rovinare la festa a chi intende godersela: costoro sappiano godersela rispettando il giudizio altrui, anche se profondamente diverso., cosi’ come io ho diritto di guardarla e non godermela senza dover cambiare canale, rispettando, come faccio, il pensiero altrui.
Ma cosa combina ? “Chi m’assicura” ripetuto a sproposito, obbligando il baritono ad arrabattarsi ripetendo “l’ordin ch’io gli daro’ Voi qui presente”, poi ha rappezzato riprendendo con “Le darai passo; bada: all’ora quarta”.
Posto che Spoletta e’ assolutamente improponibile, non mi piacciono quelle donne velate che vanno avanto e indietro e sono le stesse che nel Primo Atto portavano le candele.
Perche’ poi i “birri” o il “birro” sono diventati “sbirri” e “sbirro” ? Angelotti dice che “vedea ceffi di sbirro in ogni volto” ma io “ricordavo “birro”. e
E poi “i vostri sbirri invano frugar la villa” Anche qui, ricordavo “birri”.
Libretto e spartito riportano “birro”, ma dal momento che Chailly ha voluto rifarsi alla stesura originale – che pochi conoscono – immagino che “sbirro” sia una scelta consapevole, considerando che anche i sottotitoli davano “sbirro” e “sbirri” .
Si’: in effetti potrebbe essere una scelta di Chailly, come anche il fatto che Scarpia si riferisca al “tempo che passa” dopo l’Aria. E quell’altra aggiunta di cui parlavo al Primo Atto (” non e’ Arte, e’ Amore”, “si’, si’ Ti credo”): secondo me, e’ proprio brutta, comunque …. .
Un saluto particolare ai cafonal-vips che vengono solo per abboffarsi alla cena post-spettacolo, ricordando quello che disse Adriana Panni, leggendaria presidente dell’ Accademia Filarmonica Romana, quando accompagnò Strawinsky, che era notoriamente assai tirchio, a un ricevimento dopoteatro: “A Straví, magna e nun te preoccupà che è tutto pagato!” 😂😂😂
Il noto aneddoto rivelerebbe come i presunti cafonal-vip sarebbero in ottima compagnia se non fosse che le abbuffate siano ormai irrimediabilmente passate di moda in quegli ambienti, presso i quali credo sia molto più diffusa la pratica del digiuno intermittente e della restrizione calorica, cosa certificata dalle stazze sempre più smilze. Il che non è comunque garanzia di competenza musicale.