Da un cinquantennio si usa anzi abusa la parola Renaissance. In genere serve a consacrare interpreti, scoperte di spartiti negletti, fortunosi ritrovamenti. E se il termine poteva essere condiviso quando riguardava Armida di Callas-Serafin, il Donizetti di Leyla Gencer e certe entusiasmanti serate degli anni Ottanta dove riascoltammo Tancredi, Semiramide, Maometto II, il più delle volte, ormai, sappiamo che si tratti di uno specchietto per allodole o per allocchi. Nella maggior parte dei casi, infatti, inesorabile appare il frusciante suono di un 78 giri a ricordare una modalità interpretava ed esecutiva, che mette in riga, quando non ridicolizza quello che ci viene spacciato per scoperta e risurrezione. È quanto accede con l’esecuzione del duetto del secondo atto di Ugonotti dove si incontrano il cavalleresco omaggio alla propria futura regina del giovane cavaliere ugonotto, casto secondo i principi della religione riformata, ed il desiderio, tutt’altro che casto della reine Margot, qui più che altrove nel capolavoro di Meyerbeer, aderente al ritratto di Dumas. Nel duetto eseguito in forma pressoché integrale si fronteggiano e si misurano Frieda Hempel ed Hermann Jadlowker, due dei maggiori cantanti del Theater Charlottensbourg ante primo conflitto mondiale, spesso in coppia sulla scena e, colgo l’occasione per ricordarlo, interpreti di una serie di duetti, che per qualità tecnica, gusto, memoria di un perduto modo di interpretare, non temono confronti ed, anzi, evocano altri storici cantanti. L’esecuzione di questa straordinaria coppia smentisce in primo luogo che le voci maschili non fossero versate al canto di agilità. Con riferimento al tenore lettone questo duetto è la conferma di quanto in maniera ancora più alta con l’esecuzione della grande aria “Fuor del mar” e la cavatina del Conte del Barbiere rossiniano. L’aspetto che più rileva è che la voce di Jadlowker è ampia e potente (eseguiva Verdi e Wagner). E questo si sente perché il cantante è ammirevole e incomparabile, rispetto alle esecuzioni meyerbeeriane dell’ultimo cinquantennio, anche per ampiezza e nobiltà di fraseggio come accade nel breve recitativo e nell’arioso “oh beltà” e per la capacità di smorzare i suoni senza che la voce scada nel falsetto perché il sostegno del fiato è costante. Poi quando poi Jadlowker emette un suono in misto, come conviene ad un tenore legato ai canoni vocali ed interpretativi ante verismo, il suono è morbido e dolce e squillante nel contempo. E’ un tipo di suono cui, da tempo, non siamo abituati (i falsettacci di ansimanti Domingo, Carreras e, da ultimo, Kaufmann sono manifestazioni di gravi limiti di tecnica e di gusto e non di raffinatezza interpretativa) ed al quale dobbiamo riconoscere valenza espressiva nel disegnare il giovane eroe romantico puro e nobile.
Il possesso del mezzo tecnico come mezzo espressivo è paradigmatico nell’esecuzione della Hempel, uno dei più famosi soprani d’agilità del primo ventennio del XX secolo, il cui repertorio oltre ai titoli caratteristici del cosiddetto leggero comprendeva Violetta e Marescialla. Infatti anche in un disco “primordiale” risaltano pienezza ed ampiezza della voce, che consentono alla cantante un’esecuzione languida e intrisa di “coquetterie” oltre che di un virtuosimo trascendentale. Aggiungo una rapida osservazione ed un raffronto con Joan Sutherland, la cui regina di Navarra è giustamente ritenuta un modello, rilevando come, a parità di precisione e slancio acrobatico, la Margherita di questo disco abbia una zona medio grave sonora e perfettamente a fuoco, una articolazione fluida ed una capacità di modificare intensità di suono. Altro aspetto “dell’interpretare a 78 giri” la Hempel, altrove prodiga di picchettati e staccati, nell’ornamentazione aggiunta si attiene abbastanza fedelmente alle idee dell’autore ovvero privilegiando arpeggiati e volate, che ricordano l’ascendenza rossiniana di questa pagina del capolavoro di Meyerbeer.