Abbiamo spesso avuto occasione di affermare che scopo statutario di un festival è quello di produrre spettacoli, che in ogni senso escano dai sentieri soliti e consueti per un teatro d’opera. E questo sia per la scelta dei titoli, sia per la qualità dell’allestimento, che necessariamente deve essere superiore e in qualche maniera fungere da modello per la definizione di nuovi paradigmi di eccellenza. Tutto questo si è inverato al Festival di Aix con la proposta, anzi la riproposta di Jakob Lenz, opera da camera (undici strumentisti, tre personaggi e un “coro” composto da altre sei voci, a volte impegnate in assoli, più spesso in passaggi polifonici) composta quarant’anni fa esatti da Wolfgang Rihm. Lo spettacolo con la regia di Andrea Breth (che ha curato personalmente la ripresa) è infatti nato nel 2014 a Stoccarda, coprodotto con la Monnaie di Bruxelles (dove lo spettacolo è stato filmato per un dvd di recente pubblicazione) e la Staatsoper di Berlino. Questo spettacolo “vecchio” è in effetti la cosa più interessante proposta quest’anno dalla manifestazione provenzale e uno degli allestimenti operistici più riusciti che si siano visti negli ultimi anni. Partendo dalla novella incompiuta di Georg Büchner, l’opera esplora le pulsioni autodistruttive del poeta Lenz, che nella placida ospitalità del rettore Oberlin si illude di trovare pace. Tormentato dai propri demoni e dall’incubo di un amore infelice, oltre che dal logorroico amico Kaufmann che auspicherebbe il suo rientro in famiglia, il protagonista affronta in dodici quadri (più un epilogo) la propria personale via crucis, fino a un “ritorno all’ordine” solo superficiale. Alla vicenda narrata dal libretto la regista sovrappone, secondo i dettami del Regietheater, la propria personale visione del dramma: Lenz, già recluso nella clinica gestita dallo psichiatra Kaufmann, ripercorre i propri incubi a occhi aperti in una dimensione in cui gli ambienti della vita quotidiana (interni borghesi e paesaggi di montagna) sono al tempo stesso riconoscibili e trasfigurati (l’effetto è accentuato da un tulle sospeso sul boccascena, che solo nell’ultima sequenza viene rimosso per dare spazio alla crudezza della luce “reale”, in una cella di manicomio che ospita, come relitti, parti della scenografia dei vari quadri dell’opera). Non ci sono forzature in questa lettura “psicanalitica”, anzi perfetta adesione alla lettera del testo poetico e musicale, immagini folgoranti (la prima apparizione del “doppio” di Lenz, un’entrata di grande effetto che produce come una lacerazione sulla monocroma tela della scenografia di Martin Zehetgruber, l’apparizione della camera da letto del protagonista, le onnipresenti rocce da cui sembra sgorgare acqua, come fiotti di sangue da una ferita), una direzione di attori (ché tali sono i cantanti coinvolti, nessuno escluso) di rara pregnanza anche e soprattutto nella sobrietà dei gesti e nell’incisività delle caratterizzazioni. Alla testa dell’Ensemble Modern, Ingo Metzmacher (che è stato per anni membro della formazione di Francoforte ed è ancora fra i suoi principali collaboratori) sottolinea con pari efficacia i preziosismi timbrici e gli improvvisi scarti dinamici della partitura, trovando in un suono gelido e rarefatto il veicolo ideale per una musica come questa: i momenti più riusciti in questo senso sono gli interludi (spesso rapidissimi) fra le diverse scene. Georg Nigl (che aveva già affrontato il personaggio nello stesso allestimento) canta (quando previsto) magnificamente, recita e si muove con la disinvoltura di un attore di prosa, insomma “entra” nel personaggio a tal punto da far dubitare della propria stabilità mentale; non gli sono da meno il dolente Oberlin di Wolfgang Bankl (subentrato all’inizialmente previsto James Platt) e lo sprezzante Kaufmann di John Daszak (magnifico soprattutto nella lunga scena “in prosa” del confronto filosofico-letterario con il protagonista). Uno spettacolo davvero, e finalmente, da antologia.
Il post si riferisce alla recita del 5 luglio
Registrazione della recita del 12 luglio:
https://www.francemusique.fr/emissions/le-concert-du-soir/jakob-lenz-de-wolfgang-rihm-en-direct-du-festival-d-aix-en-provence-74018
La musica riflette lo spirito di un epoca. Quindi guardando le opere scritte dagli anni 50 in poi sembra più una società di spostati mentali. Poi capisco perché la musica pop ha avuto il sopravvento su quello che una volta era un genere al contempo popolare ma anche colto. Complimenti alle avanguardie. In ogni caso l’opera in questione merita sicuramente e lo spunto di riflessione riguarda più il generico che lo specifico ossia l’opera oggetto della recensione.
In effetti il linguaggio musicale di Jakob Lenz è assolutamente tradizionale (l’atonalità non è certo una “conquista” delle avanguardie) e la struttura, così rigorosa e memore di forme classiche, ricorda tanto il Wozzeck quanto il Giro di vite (altra opera da camera, guarda caso). Più in generale, mi sembra che il teatro lirico degli ultimi anni guardi con insistenza al “classico”, nella scelta dei soggetti (di argomento storico o mitologico) come nella riproposta di un “recitar cantando” che sembra ricondurre alle origini stesse del genere. Di sicuro la musica “popolare”, oggi come oggi, è quella dei musical, che di fatto hanno sostituito l’opera nel ruolo di grande spettacolo “live” a base di azione, musica e balli.
Comunque trovo molto azzeccata la scelta dell’immagine dell’articolo che mi richiama indirettamente alla bellezza delle sculture classiche e che devo dire da perfettamente l’idea di quali emozioni e suggestioni la musica ispira in quest’opera.
E’ un’immagine che trovo emblematica della capacità della regia di trovare il bello nella proporzione (in ogni senso) e nel gusto per l’immagine anche forte, ma sempre strettamente collegata al testo rappresentato.
Grazie mille di questa recensione dal Festival d’Aix – uno dei pochi posti in cui negli ultimi anni si respira un po’ di aria buona dal punto di vista di scelta e messa in scena interessanti di spettacoli d’opera (mi viene in mente che, tra le altre cose, stanno portando avanti anche un ciclo di rappresentazioni di opere di Francesco Cavalli…).
Parlerai anche di “Grandeur et Decandence de la ville de Mahagonny” di Kurt Weill?
Mi son visto e goduto dal vivo la recita del 15 luglio – e devo dire che il discorso che si fa qui sopra nei commenti riguardo il “recitar cantando” nelle opere del ‘900 si applica anche ad alcune parti di Mahagonny. Proprio una interessante esperienza e mi spiace di non aver visto anche Jacob Lenz.
E’ in programma anche Mahagonny e (se riuscirò a finire di vederlo…) il Requiem.
A proposito di opera veneziana del Seicento, pare che l’anno prossimo in cartellone ci sarà la Poppea diretta da Leonardo García Alarcón (ma il programma ufficiale non uscirà prima dell’autunno).
Pare insieme a Wozzeck, Il gallo d’oro e Così fan tutte. Come sempre programmazione interessante.
Ammiro molto le regie di Andrea Breth, i cui allestimenti di Eugene Onegin a Salzburg e del Wozzeck alla Staatsoper Unten den Linden rimangono tra le cose migliori da me viste in Germania e Austria negli ultimi anni. Tra l’ altro, non è azzardato pensare che la Breth abbia visto nella vicenda di Jakob Lenz una forte affinità con la sua storia personale degli anni prcedenti il 2014, quando questa produzione fu allestita da noi a Stuttgart: lei aveva dovuto interrompere la messa in scena di alcuni lavori, tra cui l’ attesissima rappresentazione integrale del Wallenstein di Schiller al Burgtheater di Vienna, proprio a causa di una forte depressione fortunatamente poi curata con esiti positivi.