Il Festival di Aix presenta per la prima volta nella sua storia Tosca. Circostanza curiosa se si considera che proprio il Novecento, non solo francese, è stato uno dei pilastri portanti della manifestazione provenzale sin dalla fondazione, con spettacoli d’opera e concerti dedicati a Debussy, Poulenc, Milhaud, De Falla, Schönberg, Stravinsky e molti altri. E non è verosimile che si tratti del solito e ancora piuttosto diffuso snobismo nei confronti della musica percepita come “popolare”, dal momento che il Festival è sempre stato aperto a una pluralità di musiche e di linguaggi, che vanno ben oltre il repertorio consueto o la musica di ricerca (quest’anno, poi, il cartellone è dominato da una nuova produzione di Mahagonny di Brecht/Weill, di cui diremo nei prossimi giorni e che richiama sotto diversi aspetti il genere della commedia musicale). Quello che è sicuro è che una produzione più abborracciata sotto il profilo musicale e più deficitaria sotto quello visivo sarebbe stata impossibile da mettere insieme. Una produzione che è talmente nulla da non avere ottenuto, alla prima rappresentazione, che una dose tutto sommato contenuta di contestazioni. Ma di sicuro in un contesto meno attento alle glorie (vere o, come in questo caso, presunte) schierate dalla locandina il successo di stima avrebbe assunto tratti decisamente più foschi. Lo spettacolo di Christophe Honoré, coprodotto dall’Opéra di Lione (che “presta” alla produzione i suoi complessi orchestrali e corali), trasforma l’allestimento dell’opera in una specie di prova all’italiana, che si svolge inizialmente nel salotto di una diva sfiorita (Catherine Malfitano, che canta alcune frasi del ruolo di Tosca all’inizio del primo atto e l’intervento del Pastorello al terzo), diva che però interviene anche in un prologo recitato (con testi, cretini, in inglese e in francese) e addirittura interrompe l’esecuzione del duetto del primo atto per richiedere alla giovane cantante una maggiore sensualità nell’interpretazione. Insomma, prova o masterclass che sia, siamo sempre nell’ambito della pagliacciata, impressione che si rafforza quando assistiamo al Te Deum trasformato nell’assedio dei fan adoranti in attesa dell’autografo (della Malfitano?). Nel secondo atto si ammicca al teatro della crudeltà, arrivando a proporre l’anziana diva in improbabili situazioni di amplesso con il suo giovane cameriere, mentre alle spalle della giovane cantante, parata con un abito di scena che ne ricorda uno celeberrimo di Maria Callas, sfilano i video di storiche interpreti del ruolo, dalla summenzionata Callas alla Crespin e alla Kabaivanska (e non manca la Tosca della Malfitano, come se avesse qualcosa che fare con quel filone). Nel terzo atto siamo in una specie di rappresentazione concertante del titolo, con i cantanti in abito da sera e la diva (ormai esausta, al pari del pubblico) che vaga fra gli orchestrali e finisce per tagliarsi le vene in coincidenza con la (mancata?) fucilazione di Cavaradossi. Se ci siamo dilungati su questo autentico orrore (e non scendiamo nei dettagli per non perdere altro tempo, ma la qualità parrocchiale di scene, costumi e luci è qualcosa di davvero avvilente), è perché una simile ciofeca è la più plastica dimostrazione dello stato pietoso in cui finisce per ridursi lo spettacolo d’opera nel momento in cui spasmodicamente ricerchi “la novità”, “lo scandalo” e altri feticci paraculturali. E non sono i cassamortari della Grisi a certificarlo, ma una gloria della musica francese, Pascal Dusapin, compositore in piena attività (la prossima opera, Macbeth Underworld, debutterà in autunno alla Monnaie), che in un incontro pubblico (avvenuto a Aix dopo la prima di questa Tosca) ha osservato come nessuno ricordi chi abbia curato il primo allestimento di Mahagonny (o di Tosca, aggiungiamo noi), mentre la musica è, ancora oggi, la vera ragione per cui il pubblico desidera continuare a vedere Tosca, Traviata o Così fan tutte. Crediamo non ci sia altro da aggiungere in proposito, salvo il fatto che simili trovate (ma altri e ben più pregnanti, benché volgari, sarebbero i termini da utilizzare) potrebbero applicarsi con eguale proprietà (prossima allo zero) a qualunque titolo del repertorio, purché provvisto di una consistente prima parte femminile (Traviata, Adriana Lecouvreur, Lucia di Lammermoor sono i primi esempi che vengono in mente). Quanto alla realizzazione musicale, assistiamo al solito arrabattarsi da parte di esecutori anche volonterosi, ma in ogni senso limitati (non solo a causa della mortificante cornice data dall’allestimento). Piatta, spenta, priva di colori o inflessioni che restituiscano anche solo un riverbero del dramma originario la direzione di Daniele Rustioni: l’orchestra esibisce anche un bel suono, ma quadri come il finale primo e l’alba su Roma sono meno di una cartolina turistica. Da Joseph Calleja ci saremmo francamente aspettati una realizzazione altrettanto piatta ma meno stonacchiante e in sentore di falsetto nei parchi tentativi di smorzare e addolcire i suoni, anche perché un Cavaradossi che non svetta al “Vittoria! Vittoria” deve per lo meno esibire, al primo atto e soprattutto al terzo, la tenerezza malinconica dell’amante, che solo una linea di canto esemplare permette di veicolare sino in fondo. Meno peggio del previsto, solo stomacale nell’emissione ma non becero nel fraseggio lo Scarpia di Alexey Markov, mentre la “diva in fieri” Angel Blue (già sottodimensionata Violetta scaligera nell’ultima stagione) dà prova di una certa facilità in acuto (il do della “lama” è la cosa migliore), mentre al centro e soprattutto in basso apre, anzi, svacca come in una brutta caricatura di Milanov e Price (tanto per proseguire il paragone “stellare”), il tutto con una voce che sarebbe perfetta, in Puccini, per Musetta e Lauretta, anche per Mimì in un teatro di contenute dimensioni, certamente poca e povera cosa (oltre l’aspetto tecnico) per Butterfly e, per l’appunto, Tosca. Quanto alla Malfitano, che al suo meglio è stata un soprano lirico applicato per sistema a un repertorio in ogni senso troppo oneroso, siamo oltre l’imbarazzo. Come si dice in questi casi: non ci sono parole. Purtroppo c’è ancora il cachet e, viene da pensare, la necessità di incassarlo a ogni costo.
8 pensieri su “Festival di Aix 2019, prima puntata: Tosca (in streaming).”
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Rustioni non mi convince in nessun repertorio. Quanto alle realizzazioni se pensiamo alla Carmen del Covent Garden vestita da scimmia ( una delle tante di quella regia) questa in confronto è consolante.
Quanto scrive Tamburini concorda con quanto riferitomi da una persona che è stata a vedere la Tosca aixoise. Alla prima c’erano molti che buavano, altri, invece, gridavano “merveille, merveille”!
Oltre a tutto ciò in questi giorni ad Aix c’era un caldo pazzesco, il che immagino rendesse ancora più difficile sopportare simile robaccia.
Che M. Honoré faccia siffatte corbellerie non mi stupisce, anzi! A Lione – dove, evidentemente, lo tengono in gran conto – anni fa aveva messo in scena “Les dialogues des Carmelites”; mi hanno raccontato che l’opera aveva una scena unica, i cantanti erano in abiti moderni e, nel finale, al posto della mannaia della ghigliottina, le monache erano buttate giù da un balcone (sic!).
https://www.forumopera.com/spectacle/non-ma-fille-tu-niras-pas-prier
Del Don Carlos dallo stesso ammannito a Lione lo scorso anno ho già riferito su questo stesso sito e rimando a quanto scrissi allora (http://www.corgrisi.com/2018/04/don-carlo-de-vargas-a-lione-prima-parte-don-carlos/). Se non una ciofeca al 100%, almeno all’80% lo era.
Circa le parti parlate inserite a sproposito in un’opera che non le prevede, ciò deve essere un vizio diffuso in Francia e, in particolare, nel lionese, dato che un tal Marton (parente di Eva?), mettendo in scena all’Opèra cittadina lo scorso anni un orrido Don Giovanni, ambientato fra pareti in cemento, in cui tutti i membri del coro (uomini in primis) erano vestiti da donne, aveva arricchito la partitura mozartiana ed il testo dapontiano con lunghe e noiose declamazioni tratte – mi pare – da un testo in materia di disturbi psichici (cioè quelli che affliggono la maggior parte dei registi e di chi li applaude).
Cfr. https://www.forumopera.com/don-giovanni-lyon-visions-dun-bipolaire
P.S. In Germania, tanto per cambiare, fanno di peggio……
Ridateci Riccardo Muti alla Scala! A pedate nel culo prenderebbe simili pseudoregisti.
…aiuto….su YouTube c’é tutta!! Ho perso circa dieci minuti per guardare qualcosa….da non credere….sono annichilito!! Abbiamo toccato il fondo? Rifateci Muti? Magari!!! Mi accontento dell’orrenda Tosca nella produzione di Bondy: direi Viscontiana rispetto allo schifo assoluto di Aix en Provence.
Ai tempi della Tosca nei luoghi e nelle ore dell’azione, la Malfitano – alla domanda di un giornalista su cosa l’attendesse in futuro – rispose che, dopo essere saltata dalla cima di Castel Sant’Angelo, un tassista sottostante l’avrebbe presa al volo per portarla direttamente in aeroporto (in costume e trucco presumo).
Mi chiedo cosa avrà escogitato questa volta l’anziana cantante-attrice….
Parola grossa cantante attrice per la malfitano
Ricorda quello che diceva la Zinka……
“When you hear ‘singing actress’, watch out – it means: no voice!”
Kudos for La Milanov!