Capita, a dire il vero non così di rado, che un concerto organizzato per rimpiazzarne un altro riesca, se non a superare, almeno a non far troppo rimpiangere l’evento sfumato. Va detto che nel caso di Bologna Festival trovare una sostituzione all’arte di Martha Argerich non era affatto facile. Gli organizzatori sono riusciti ad aggiudicarsi, in esclusiva per l’Italia, la presenza di Maria João Pires, che lo scorso anno aveva annunciato di voler diradare gli impegni e invece pare abbia in vista non pochi appuntamenti nei prossimi mesi, sia come solista sia nell’ambito del Partitura Project (rimando a questo post per maggiori dettagli in proposito). Di questo non possiamo che essere felici, perché a quasi 75 anni di età e forte di una carriera iniziata nel 1948 la pianista portoghese è ben lungi dall’aver esaurito grazia, vigore, entusiasmo e capacità di suscitarlo nel pubblico, anche in quello in ogni senso sonnolento e provinciale della sala felsinea. Nell’esecuzione del primo tempo della sonata beethoveniana risulta evidente come l’esecutrice non sempre riesca a reggere il passo dell’interprete, a tal punto quest’ultima risulta vulcanica, letteralmente esplosiva nell’accumulare le idee e le invenzioni, nell’esporle ed esplorarle con foga, trovando quasi a ogni frase un colore, un’inflessione differente, spesso accentuando con violenza i contrasti timbrici e agogici. Un pianoforte che canta a piena voce, insomma, con un dispiego di energia che induce l’ascoltatore, nei passi più concitati, a una sensazione di affanno peraltro decisamente appropriata al clima della musica. Ma è dal secondo tempo, l’Arietta con variazioni, che l’artista si palesa in tutta la sua grandezza, trovando un tocco al tempo stesso onirico e inquieto, capace di esplorare tutte le sfumature del piano e del pianissimo, con quasi impercettibili variazioni di sonorità che sembrano proiettare nella direzione di Skrjabin e Debussy una pagina di per sé già quasi “profetica” nell’esplorare le possibilità dello strumento. La voce al tempo stesso dolce e implacabile del pianoforte è, nella seconda parte del concerto, la cifra caratteristica di uno Chopin di suprema eleganza, privo di qualsiasi svenevolezza, percorso da inquietudini che sembrano anticipare il pieno Novecento. Tutto questo, ovviamente, senza che vi sia alcuna forzatura, anzi come conseguenza naturale della capacità della pianista di lasciare “parlare” la musica. Il che appare tanto più notevole, se si considera che l’opera del compositore polacco passa, generalmente, per un eccellente veicolo di brillante virtuosismo e (ben) poco altro. Una serata che è un autentico, inatteso tesoro.
BOLOGNA FESTIVAL
Mercoledì 19 giugno 2019
Teatro Manzoni, Bologna
Maria João Pires
pianoforte
Ludwig van Beethoven
Sonata n.32 in do minore op.111
Fryderyk Chopin
Tre Notturni op.9 (nn.1-2-3)
Due Notturni op.27 (nn.1-2)
Notturno op. post.72
Due Valzer op.69 (nn.1-2)
Bis:
Fryderyk Chopin
Valzer op. 64 n.2
Fra le tante volte in cui ho ascoltato la Pires dal vivo, non posso dimenticare un concerto del dicembre 2006 a Ludwigshafen, con Abbado e la Mahler Chamber Orchestra. Un K. 488 di Mozart da sogno, con una trasparenza liquida di suono mai sentita nè prima nè dopo
In più aggiungo che Maria João Pires alle volte è più rifinita rispetto alla argerich che alle volte sembra un pò giocare con lo strumento complice anche una tecnica che le permette di suonare liberamente anche la musica più difficile. Come già detto una volta su un articolo di un concerto di gardiner sempre al manzoni non capisco perché non continuare in altre sedi anche più suggestive perché l’acustica è inesistente.
Concerto molto bello, Chopin in particolare. Grazie.