Ogni sovrintendenza e direzione artistica ha le sue passioni culturali o culturalizzanti. La precedente, gestita dal signor Lissner ignorante dell’esistenza di Wally, si era proposta di implementare il livello culturale, spocchiosamente giudicato basso, del pubblico scaligero con massicce dosi di teatro di regia e di Janacek. Spesso il pubblico rispedì al mittente il teatro di regia (e non solo applicato ad Janacek) ed è rimasto tutto sommato indifferente al grande compositore ceco.
El sciur Pereira che con Riccardo Chailly va imitando due figure del capolavoro collodiano, preferisce titoli ed autori sulla carta più accetti e digeribili per il pubblico milanese. Proporre Puccini con quattro battute della prima edizione rimpingua solo le casse di casa Ricordi e proporre, come accaduto ieri sera, il primo Verdi aumenta la voglia di stare a casa. La voglia di starsene a casa è palese dai “forni” nei palchi di terzo e quarto ordine. E non potrebbe accadere differentemente perché riproporre il primo Verdi (osservo assente anche nei progetti il titolo vocalmente più arduo ovvero i Lombardi) non è cosa facile. Ci vogliono i cantanti Verdiani e oggi i cantanti verdiani non ci sono. E se ci sono non sono quelli convocati in Scala sotto la direzione di Michele Mariotti.
Parto dalla Regina Vittoria che, in occasione della prima assoluta a Londra osservò nel proprio diario, che la trama fosse la medesima dei “Briganti” di Mercadante senza la sapienza di scrittura di Mercadante e proseguo con Renata Scotto la quale in una “simpatica” intervista ha definito voce verdiana quella, che canta tutte le note e dà senso ed espressione alle stesse. E con queste due considerazioni lo spettacolo di ieri sera è respinto al mittente. Soprattutto sulla base delle crude osservazioni della Scotto
Mi spiego non è questa la sede per dire se sono belli o brutti, tanto per essere crociani, i Masnadieri, ma quella per dire che sono un titolo che, forse anche in grazia del luogo di prima rappresentazione guarda al passato donizettiano e dove la drammaturgia non ha certo quello slancio bruciante di altri titoli dei cosiddetti anni di galera e, per completezza quando è a corto di ispirazione Verdi fa il verso a Verdi medesimo.
Tutto questo non aiuta direttore in primo luogo e cantanti, poi. Uno dei punti più bassi della serata è proprio venuto da Michele Mariotti. Abbiamo da tempo dimenticato che il direttore d’orchestra sia un concertatore e quindi deve suggerire fraseggio ai cantanti. Ieri sera di fraseggio non ne abbiamo sentito. E non abbiamo sentito le atmosfere e la descrizione di luoghi e situazioni. Ieri sera c’erano due colori e due sonorità. Prima: Il gas, il torpore per i tempi lenti e ne ha risentito in maniera clamorosa il finale del primo atto e tutte le scene declamate in cui ha parte il vecchio Moor; seconda il clangore, la banda per dirlo senza metafore nei tempi veloci in particolare agli ensemble e nelle chiuse di atto. Certamente con cantanti assolutamente carenti e per tecnica e per dote come Cavalletti e la Oropesa il duetto Amalia – Francesco non decolla come pure non decolla la grande scena di Carlo “di ladroni attorniato”. L’opera è sembrata di lunghezza insostenibile e priva di qualunque colpo di scena eppure basta pensare all’annuncio dell’esistenza in vita di Carlo ad Amalia, che piange sulla tomba dello zio, o le apparizioni di Massimiliano sempre più morto che vivo, ma di fatto di fibra robustissima, visto che sopravvive sino al terzo atto.
La compagnia di canto assemblata dalla Scala è da Scala, ma da Scala attuale. Parto da chi l’ha sfangata come Lisette Oropesa. Ricordo che la parte di Amalia venne scritta per Jenny Lind e che erroneamente atteso che la Lind cantava Figlia del reggimento e Sonnambula si crede che Amalia sia un soprano di coloratura. La Lind era famosa soprattutto come Norma, Vestale, Semiramide e quando cantava Meyerbeer vestiva i panni di Alice del Roberto il diavolo e non quelli di Isabella, come ha fatto, per alto in maniera men che scolastica, poco tempo or sono la Oropesa. Oltre tutto quando si prova ad esibire un volume ed una ampiezza maggiore di quella di cui dotati per natura e tecnica si finisce per gonfiare il centro e forzare gli acuti che, suonano sistematicamente piccoli e fissi. La cantante canta senza il vero sostegno del fiato, che consente alla voce anche se piccola o sottodimensionata di galleggiare di espandersi per il teatro. Ora un soprano lirico leggero potrebbe anche essere una decorosa Amalia a condizione di un saldo possesso tecnico che consenta una dinamica varia e sfumata e renda credibili i momenti dramamtici duetto con Francesco, finale primo, cabaletta “carlo vive” in contrasto con le frasi ed i passi lirici. Manca il controllo del fiato, manca la dinamica, manca lo slancio o almeno lo pseudo slancio e il personaggio di Amalia per bocca e voce di Lisetta Oropesa diviene poco più di una soubrette.
Altrettanto male Fabio Sartori. Lo abbiamo già scritto l’emissione è talmente indietro ed ingolata che per sentire il cantante si dovrebbe pensare di praticargli un foro in testa. Questo conseguenza di una voce essenzialmente lirica e in natura estesa, costretta a parti centrali perché non sa “girare” la voce ossia passare di registro. Ne risentono i cantabili che sono piatti e senza colori ( mi riferisco alle due arie “oh mio castel natio” e “di ladroni attorniato”) ne risente l’esecuzione delle cabalette dove a voce risulta quasi inesistente se la scrittura è ubicata al di sotto del do centrale e più ancora i recitati ed il grande declamato del terzo atto “destatevi o pietre”. Se al tenore verdiano togliamo i colori nei cantabili, lo slancio magniloquente e declamatorio di recitativi ed ariosi e cabalette nulla resta e del personaggio e della drammaturgia. Insomma il flop anche se il pubblico non ha riprovato nessuno dei due innamorati.
Le riprovazioni sono giustamente toccate a Massimo Cavalletti che ha esibito voce modesta da baritono lirico ( diciamo Malatesta o Sharpless) acuti falsettati e di volume esiguo , intonazione precaria nessuna idea del personaggio che è cattivo e gelido. Ed il gelo nel melodramma esprime con piani e pianissimi, che servono ad insinuare, non con l’agitar di frustino tipo filmetto sporcaccione del genere sadomaso.
Insignificante Michele Pertusi. Anche qui ripetiamo essere in declino con una voce di basso baritono non fa di Pertusi il cantante dalle infinite possibilità espressive che doveva essere Luigi Lablache, basso profondo o quasi, nel 1847 dopo un quarantennio di celebrata carriera.
Il pubblico ha protestato vivacemente contro l’allestimento di Mc Vicar, incongruente fra letti da ospedale, balconate da saloon, masnadieri sotto la doccia, ma braghettati, costumi da attrezzeria teatrale (Amalia un abito per quattro atti e un velo nero a significare il lutto) , quattro mimi che imitavano i mammutones e poi ci si stupisce dei fischi e si tollerano le contumelie del regista riprovato. Il puro ed indescrivibile nulla. Il nulla che, purtroppo, paghiamo. Quanto alla scelta di portare in scena una figura di mimo, che con ogni evidenza rimanda all’autobiografia del giovane Schiller (cadetto militare che durante il preludio viene fustigato, in una sorta di cattiva imitazione di una celebre sequenza di Barry Lyndon, e per il resto dello spettacolo segue da vicino, o per dirla con minor diplomazia rimane attaccato al cu*o dei personaggi), osserviamo come operazioni analoghe siano già state poste in essere, con ben altra pregnanza e varietà di soluzioni, da registi come Stefan Herheim e quindi non possa, l’invenzioncina suddetta, risultare la chiave di volta di uno spettacolo che resta tradizionale nell’impianto quanto povero nella realizzazione complessiva. Con tanti saluti alla memoria del recentemente scomparso Zeffirelli, cui el sciur Pereira, presentatosi comme d’habitude al proscenio, ha voluto dedicare la première.
5 pensieri su “I Masnadieri in Scala: trionfo di routine”
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Caspita, concordo in pieno. Avevo sentito la Oropesa cantare la Pira ed era stata terribile! Pertusi aveva cantato benissimo il Va’ Pensiero nella Tosca che aveva diretto Toscanini, forse ieri sera non era in forma. Chissà se Arrigo Sacchi come nuovo sovrintendente riuscirà a riportare la Scala ad almeno un briciolo del suo passato splendore. Grazie per le vostre recensioni, Lucapezzolo
Caspita anche io sono d accordo con te
Comunque capisco il periodo estivo sia inclemente per la freschezza e lucidità mentale però non esageriamo nei commenti stile amici miei. Comunque io spesso quando mi trovo a parlare con ragazzi che studiano canto chiedo se conoscano il trattato di garcia o comunque chiedo che tipo di esercizi facciano e poi vedo le masterclass della di donato e basta quindi per farsi un’idea di perché si canti così. Devo dire che le voci per me più inascoltabili sono i bassi quando ci sono e i baritoni che spesso sono giusto per citare dd la caricatura di se stessi. Poi vedo le masterclass della horne e capisco perché la horne è la horne anche se non ho mai capito se è vero che la zinka milanov non apprezzasse il suo modo di cantare (vedi video su YouTube).
Io ho ascoltato ieri su YouTube l’aria di Amalia “Tu del mio Carlo in seno” cantata in Scala dalla Oropesa. A me non è sembrata per niente male.
Donna Giulia, prima di tutto le porgo le mie sentissime condoglianze per la scomparsa del bravissimo Donzelli e le auguro grande coraggio e positività durante questi tempi «interessanti».
Chiedo a lei e a tutti gli altri «Grisini Esecutivi» di condivere ancora con tutti noi lettori i vostri pareri sull’arte canora che dura ancora e che speriamo che duri sempre.
Scrivendo per lasciare un commento sull’appena rilasciato album di debutto dell’Oropesa intitolato «Ombra compagna» e comprendo dieci Konzertarien mozartiane. (Ascoltai il «Vorrei spiegarvi, oh Dio!» che trovai un’esecuzione decorosa ma carente di sfumature: «algidamente corretta».)