Le prime pagine di tutti i quotidiani celebrano Franco Zeffirelli, morto a 96 anni, ultimo di una generazione prolifica e feconda nella quantità e nella qualità. La regia di Bohème dal 1963, che impera alla Scala perfetta ed insostituibile, la scena ingombra di dame e paggi (vestiti con lo sfarzo della corte di Madrid e secondo una esatta ricostruzione storica) mentre Filippo II apostrofa la moglie con il “perché sola è la regina” sono gli estremi del Franco Zeffirelli regista operistico. Nell’uno e nell’altro senso gli esempi si possono sprecare. Ed in entrambi i casi ammiratori e detrattori del defunto hanno ragioni valide e spendibili.
Non parliamo qui di Zeffirelli regista di cinema o di teatro, limitandoci da profani a osservare che anche in queste esperienze i pregi ed i limiti sono i medesimi e precisando che, soprattutto in Inghilterra, Zeffirelli venne ritenuto un grande e che i maggiori attori anglosassoni accorsero anche per camei e comparsate nei suoi film. A prescindere dalla qualità in specifico di quei films.
Si dice che Zeffirelli fosse un regista classico e di tradizione. Mai un cappotto, mai un nazista in scena,ovvero nessuna concessione al cd teatro di regia, aderenza assoluta al libretto, grande maestria nel muovere masse, costumi sfarzosi ed ambienti consoni al dramma portato in scena. Ai melomani il rimpianto che Zeffirelli non abbia allestito i titoli di Meyerbeer, che offriva al defunto possibilità assai maggiori di quelle del repertorio Zeffirelliano. Al deputato esteta il melodramma più estetico, che la storia dell’opera conosca. Ma al di là dei sogni del melomane restano tanti allestimenti ora più ora meno riusciti, ma sempre di fedeltà assoluta alla tradizione, all’autore ed alla sua estetica. Questa scelta può talvolta non essere condivisa, soprattutto quando Zeffirelli eccedeva, ma gli deve essere riconosciuto, che mai il regista abbia voluto o preteso superare o stravolgere il testo e la sua drammaturgia, mai Franco Zeffirelli ha prevaricato su Verdi o Puccini ed i loro librettisti. Anzi sempre Zeffirelli ha, a suo modo apprezzabile e isolato con il progredire del tempo, onorato ed esaltato il melodramma italiano con dovizia di dettagli, fedeltà all’iconografia ed ove riferimento a corti e case nobiliari con l’esibizione di quel lusso sfrenato, che soprattutto fuori dall’Italia , era ritenuto la sigla dell’italianità…
E non poteva essere differente la parabola umana ed artistica di Franco Zeffirelli, uno degli allievi della de Matteis all’Accademia di Belle Arti come lo furono altri raffinatissimi personaggi del mondo dello spettacolo nell’Italia post bellica come Bolognini e Tosi. Piaccia o non piaccia Zeffirelli ha rappresentato al massimo grado e per oltre mezzo secolo la tradizione italiana di allestimento degli spettacoli dove scenografia e costumi erano gli aspetti preponderanti della parte visiva. All’estero per allestire bene, con sfarzo e precisione storica il melodramma si sono sempre chiamati “gli italiani” sino alla svolta del teatro di regia figlio di altra ispirazione culturale, che inevitabilmente scontra con la tradizione italiana e che a nostro giudizio è assolutamente contraria al melodramma italiano sia esso di cappa e spada, di piccola borghesia e popolo. Questa anche negli eccessi negli allestimenti di mero mestiere, certo aumentati negli anni, ed anche nelle pacchianate (dieci vescovi per un Te Deum) è stata la forza e la grandezza di Franco Zeffirelli.
Leoncavallo – I pagliacci – 1981
Mascagni – Cavalleria rusticana – 1981
Mozart – Don Giovanni – Napoli 1958
Puccini – La bohème – Scala 1963
Puccini – Tosca – Vissi d’arte – Maria Callas – Londra (1964)
Puccini – Tosca – E qual via scegliete? – Maria Callas & Tito Gobbi – Londra (1964)
Tosca, Zeffirelli & Rome – Parte 1 e 2
Puccini – Turandot – Scala 1983
Verdi – Aida – Roma 1993 (allestimento della Scala)
Verdi – Aida – Arena di Verona 2005
Musset – Lorenzaccio – Parigi, Comedie Française (1977)
Pirandello – Così è (se vi pare) – 1986
La bisbetica domata (1968) – Estratto
In queste occasioni più che un bilancio critico è opportuno fare un dovuto omaggio alla memoria. Settembre scorso la ripresa della sua Bohème al Met: ancora capace – dopo decenni di onorata carriera – di strappare l’applauso a scena aperta quando il sipario si apre sul secondo quadro, in cui si manifesta uno Zeffirelli al cubo: più di mille persone in scena con uno sfarzo descrittivo senza inibizioni. Altre sue regie operistiche mi sono piaciute di meno, a volte viranti – ammettiamolo – su un registro francamente esornativo e anche kitsch ( i film, a mio avviso, meglio lasciarli perdere ). Mi ha poi un po’ stupito che certi settori della stampa, che di Zeffirelli vivente hanno detto inderogabilmente peste e corna, ne abbiano iperbolicamente tessuto gli elogi in morte. Forse perché Il coccodrillo deve essere sempre un po’ retorico e nobilitante. Vero, come è stato osservato, che la critica italiana non lo abbia mai amato ma falso che da quella straniera abbia ricevuto unanimi approvazioni. Ho sotto gli occhi critiche – straniere – spietate. Non sempre immeritate.
Intanto, “la Traviata” di ieri sera e’ inascoltabile.