Il fatto che la Scala abbia proposto lo spartito, eseguito la sera della prima a Torino nel 1893 dovrebbe assicurare, nell’idea di chi ha pensato, patrocinato e realizzato questa proposizione, incondizionato encomio ed estasi al pubblico. Da sempre ed a prescindere dall’edizione, proposta al pubblico, ci vogliono prima di tutto cantanti all’altezza del compito sia sotto il profilo vocale che interpretativo, un direttore che li guidi e sostenga e che sappia e abbia un coerente ritmo narrativo oltre che il buon senso di capire delle forze di cui dispone in buca ed in scena.
L’edizione critica, la scelta di una particolare edizione non può supplire ai limiti dei soggetti convocati e responsabili della realizzazione. Anzi l’invocarla con tanto di richiesta di astensione dall’applauso, come si stesse celebrando un rito ridicolizza e fors’anche sminuisce l’operazione. Preciso che talora scegliere una od altra esecuzione possa avere un significato, come ad esempio per le due versioni di Forza del destino o dei vari opéra comique (Faust, Mignon, Fra’ Diavolo) trasformati in opere all’italiana, ma quando si tratta di una manciata di battute eliminate col senno del poi dall’autore, l’operazione può essere più velleitaria che di reale portata. Con riferimento a questa Manon il finale primo proposto sarà anche arduo da dirigere (anche se non è il Carnevale Romano o il pezzo concertato a 14 voci del Viaggio), ma la breve morale cantata da Lescaut sul futuro di Manon aggiunge molto a tutti i personaggi. Del pari il “sola perduta abbandonata” con un paio di inserimenti -e se proprio vogliamo essere vociomani- tali da mettere in ulteriore difficoltà il prescelto soprano manca rispetto a quello conosciuto di sintesi e di tensione drammatica nell’andar e venire fra presente e passato dell’agonizzante Manon.
Preciso questa è opinione soggettiva, mentre è assolutamente oggettiva la assoluta insufficienza dei protagonisti prescelti.
I protagonisti ricordano nel timbro la senescenza e non la giovinezza e l’eccesso di energie amatorie che sono la loro sigla. La voce di Maria José Siri è la tipica del soprano tecnicamente mal messo ed usurato dal repertorio verista che, a prescindere da pericolose esuberanze temperamentali, richiede voce ricca e sontuosa al centro, capace di slancio ai primi acuti. Quando il soprano di tecnica approssimativa declina si sente esattamente quello che ha offerto la Siri ieri sera: centri chiocci ed inflessioni prossime al parlato nella stessa zona, acuti spinti e ghermiti (esempio il do 5 della gavotta o i si naturali del concertato atto terzo), incapacità quindi di qualunque voluttuosità timbrica e difficoltà a rispettare le smorzature tradizionali come il “non son più la Manon di un giorno”, eseguito con autentica fatica. Fraseggio di una piattezza imbarazzante in un personaggio dove o esibisci voce ampia e sontuosa o fraseggio analitico, se vuoi realizzare le intenzioni dell’autore. Aggiungo: linea musicale rispettata con fatica e prese di fiato abusive. Alla Siri va riconosciuto di aver sostenuto il tempo letargico delle “trine morbide”. Questi tempi sono quelli che si possono praticare con voci sontuose tipo Caniglia, Tebaldi, Stella. E questo è uno dei limiti del direttore. Limite non da poco, preciso. Peggio ancora Marcelo Alvarez, mi risulta fischiato alle singole. Stessi difetti della Siri ed una linea musicale disastrosa come accaduto nella più famosa pagina del terzo atto, che poco conviene per l’accento rovente e scandito ai tenori lirici, salvo che non vantino un registro acuto facile e squillante. Le cose sempre nel genere accento generoso e mano sul cuore sono andate meglio al quarto atto, mentre le schermaglie amorose e il pavoneggiarsi da macho del primo atto, che hanno il torto di stare in zona di passaggio, sono state all’insegna dell’arrabattarsi.
E poi la direzione d’orchestra. Premesso che dall’ascolto radiofonico si può ricavare un dato assolutamente parziale il suono è stato bello e di qualità. Ma non basta o meglio è il punto di partenza per un teatro di prima linea e per un’edizione che non voglia essere di routine. Solo che dirigeva Chailly. Il maestro ha mancato del solido mestiere dell’accompagnatore perché il tempo delle “trine morbide”, la pesantezza degli accompagnamenti delle arie di Des Grieux al primo atto sono di tutta evidenza. Come di tutta evidenza è la mancanza di ritmo narrativo nel primo atto e di levità nel falsoSsettecento del secondo. Il celeberrimo intermezzo è solo ben suonato, ma l’intermezzo di Manon deve strappare l’anima perché è il commento ad una tragedia ben più grande di quella che i due sciagurati amanti possono e sanno sostenere, deve essere quasi cantato più che suonato e la sfilata delle “perdute” nonostante le affermazioni del direttore non ha il colore lugubre che con orchestre di minor rango gli imprime Bruno Bartoletti e fors’anche Veltri. Le cose funzionano meglio al quarto atto nonostante il malcanto dei due protagonisti perché Puccini in quella ventina di minuti ha fatto tutto lui.
6 pensieri su “Sister radio: Manon Lescaut alla Scala”
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Tutto vero, tutto giusto e tutto condivisibile. Non bisognava certo essere Nostradamus per immaginare un simile risultato dopo aver letto il cast prescelto! Dopo il trionfo di Gergiev questo tonfo è ancor più imbarazzante….
come diceva celletti l’arte del canto non é quella della cabala
Io non l’ho sentita, me se è vero quello che scrive Donzelli, soprattutto sui due protagonisti vocali (e quel che ho letto su altro sito solitamente molto, ma mooooolto più “buono” del Corriere mi fa presumere che sia vero), allora questa Manon Lescaut puiò spiegarsi solo in un modo: è il pesce d’aprile che la Scala ha fatto ai suoi spettatori! Allegria!!!!
Nemmeno io l’ho potuta sentire ma non ho mai avuto nemmeno l’idea di andare direttamente in teatro a sentirla e vederla (pur stando a meno di un’ora di macchina dalla Scala) dopo aver letto già tempo fa i protagonisti dell’opera. Spiace molto sentire invece che Chailly abbia “bucato” un’altra volta. E pensare (e lì c’ero) che con Gergiev l’orchestra della Scala pareva un’altra!
Non l’ho potuta ascoltare , ma dai commenti letti e dalla magistrale recensione di D.Donzelli ha capito di aver perduto una esecuzione vocale mediocre ,a dir poco.
E’ andata su rai5 mercoledi’ e la sto guardando in streaming, ma non c’e’ Alvarez: c’e’ Aronica. Gia’ che non e’ uno dei miei titoli preferiti, ma il problema e’ che mi sto annoiando: la poverta’ di emissione dei 2 protagonisti consiglierebbe di smettere …….. Ho visto solo i primi 2 atti e, dal punto di vista visivo il !^ ci sta, il 2^ no: basta con queste carrozze di treno dove non c’azzeccano nulla.