Ieri sera è stata trasmessa in televisione la rappresentazione di Manon Lescaut della Scala, a dimostrare che la produzione scaligera abbia o si vuole abbia rilievo ed importanza. Ci sembra quindi doveroso proporre ai nostri lettori una serie di ascolti del primo capolavoro pucciniano che per differenti aspetti abbiamo quell’interesse e quella rilevanza, che – a nostro modesto avviso- manca alla produzione scaligera.
Deve essere rilevato come il titolo pucciniano, immediatamente famoso, con un estimatore del rango di Arturo Toscanini non trovò nei suoi primi anni interpreti paradigmatici come altre opere del maestro lucchese. Enrico Caruso fu subito considerato un grande Rodolfo ed un Mario Cavaradossi, cantò spesso Des Grieux, ma non venne identificato col personaggio. Del pari la Carelli, la Krusceniski, la Farneti furono subito considerate diverse, ma tutte esemplari quali Butterfly e Tosca, non certo quali Manon. In fondo perché i due sciagurati amorosi vivono situazioni vocali e drammatiche fra loro differenti, che convengono ora a voci liriche ora a voci drammatiche. Questa semplificazione spiega perché la prima coppia adeguata all’opera furono la Pampanini e Pertile. Lei era una interprete essenzialmente lirica per accento e nel fraseggio, ma la voce di straordinaria ampiezza e penetrazione in zona acuta non la vedeva soccombere nei passi del terzo atto, che impongono acuti facili e squillanti. Lui era Pertile ossia il tenore lirico spinto più vario e fantasioso, ad onta di una voce di . modesto timbro che la storia del canto ricordi. Nei prossimi ascolti documenteremo che solo Beniamino Gigli (al di là del censurabile gusto), il fraseggio e la tecnica scaltrita dell’Olivero e di Tucker hanno soddisfatto le esigenze vocali ed interpretative dei due personaggi.
È chiaro che con queste premesse la voce femminile, rotonda, femminile, la dinamica varia ed il fraseggio fedele allo spartito, quand’anche non spinto agli eccessi di una Caballé o di Magda Olivero, fanno di Antonietta Stella una affascinante protagonista. Qualcosa di ben più alto di una esecuzione sicura di una cantante solida per voce e fraseggio. Come, oggi desta stupore e rispetto la definizione autenticamente drammatica quando non tragica di Clara Petrella. Si potrebbe anche dire che talvolta in zona grave e nel primo medium il soprano indulga a qualche vezzo verista, ma la linea di canto nelle trine morbide, lo slancio di tu tu amore, la facilità degli acuti al terzo atto e tutto il brevissimo epilogo del quarto sono esemplari e temono pochissimi confronti.
La serata della Manon di Clara Petrella é una ripresa da Napoli del 1956. Il pubblico partenopeo tumultua, quasi, quando canta Pippo di Stefano, dalla voce generosa e dal grande temperamento. Oggi quasi incomprensibile, non perché i Des Grieux di oggi cantino in maniera irreprensibile, anzi ma perché sino a pochi anni prima i protagonisti maschili cantavano voci sontuose e cognizioni tecniche irreprensibili.
Il vero stupore che desta la serata e’ l’applauso prolungato e la persistente richiesta di bis, che esplode dopo il famoso intermezzo. Dirigeva Vincenzo Bellezza, che era secondo la voga del tempo un accompagnatore di voci, conoscitore del repertorio a lui coevo. Solo che la carriera di Bellezza, assistente di Toscanini alla prima di Fanciulla, direttore di una esecuzione proprio di Manon a Roma che nel 1921 ebbe grande successo presente l’autore. In primo luogo, ad onta della ripresa fortunosa, l’orchestra suona sempre precisa negli attacchi e negli equilibri fra le sezioni. Colpiscono la varietà dell’intermezzo, il tono lugubre del lento incipit del terzo atto e lo slancio (facilone, potrebbe dire qualcuno) delle scene degli innamorati dove, a prescindere dai limiti tecnici del tenore, i cantanti sono travolgenti.
É un modo di cantare e di interpretare Puccini che riesce a coniugare i sentimenti, le sofferenze dei personaggi alla “modernità” al Novecento ormai alle porte. E preciso che a questo modello si attiene la direzione di Mario Rossi, direttore dal repertorio vastissimo, in perfetto equilibrio fra canto e sinfonismo. Scontato dirlo, ma dobbiamo tenere conto che queste serate non avevano pretesa e presunzione di assurgere a serate storiche, ma di essere serate di ordinaria amministrazione e di assoluta onestà nei confronti del pubblico e della musica.
Giacomo Puccini
MANON LESCAUT
Manon Lescaut – Clara Petrella
Des Grieux – Giuseppe di Stefano
Lescaut – Mario Borriello
Geronte – Leo Pudis
Edmondo – Mariano Caruso
Un musico – Anna Di Stasio
L’oste – Aldo Terrosi
Il maestro di ballo – Mariano Caruso
Un sergente degli arcieri – Gerardo Gaudioso
Lampionaio – Piero De Palma
Un comandante di Marina – Giovanni Amodeo
Orchestra e Coro del Teatro San Carlo di Napoli
Vincenzo Bellezza
Napoli, Teatro San Carlo, 1957.
Parte I
Parte II
Manon Lescaut – Antonietta Stella
Des Grieux – Gastone Limarilli
Lescaut – Kostas Paskalis
Geronte – Ludwig Welter
Edmondo – Ermanno Lorenzi
Un musico – Margarethe Sjöstedt
L’oste – Harald Pröglhoff
Il maestro di ballo – Hugo Meyer-Welfing
Un sergente degli arcieri – Franz Bierbach
Lampionaio – Fritz Sperlbauer
Un comandante di Marina – Hans Christian
Orchestra e Coro della Wiener Staatsoper
Mario Rossi
Wiener Staatsoper, Ottobre 1964.
Parte I
Parte II
In effetti , al sergente che decretava “via, mozzo v’affrettate”, Gigli eispondeva “grazie, capitano”. Sic. Comunque, visto che siamo nel finale III, io rifernerei l’attenzione anche su Lauri Volpi.
Se vogliamo nelle edizioni proposte lo scoppio di pianto di Clara Petrella é un po’ sulla lunghezza d’onda di gigli
Travolgente è la parola che mi viene in mente per la Manon Lescaut di Napoli, semplicemente travolgente, come testimonia l’entusiasmo del pubblico!
Altri tempi.