Alla fine siamo andati a vedere questa Manon prima versione. Lo abbiamo fatto non certo nella inutile speranza che lo spettacolo dal vivo rivelasse valori reconditi ed arcani, irrimediabilmente sfuggiti a cagione della scadente ripresa audio e video proposta dalla Rai, ma richiesti dalla cortesia di uno studioso dei fenomeni collaterali al mondo dell’opera quali i loggionisti, cui interessa la Grisi e quello che i nostri disistimatori denominano “grisismo”. E’ giusto ed opportuno studiarci non già per l’aspetto folkloristico, che spesso ed a torto ci viene imputato, ma più semplicemente perché tutto ciò che è prossimo all’estinzione, secondo un attuale e malinteso senso, deve conservato e studiato. E questa Manon ha dimostrato che prossimi all’estinzione sono gli ascoltatori dotati di un minimo di orecchio, ovvero quegli esseri che dall’apertura del teatro al pubblico hanno popolato il teatro d’opera.
Lo spettacolo dal vivo è ancora peggio che nella ripresa televisiva. L’inutile defilé di modelli di treno da quello lussuoso del secondo atto al carro bestiame del terzo atto dove da un opercolo compare il faccione di Maria Josè Siri deportata, sono una inutile superfetazione, come sono epifania di ignoranza e povertà di idee e di conoscenza del dramma il gruppo di persone che salutano le perdute, spedite a finire di perdersi nelle Americhe, come se partisse il Titanic od il Giulio Cesare.
I due protagonisti inadeguati e nella voce, nella tecnica di canto e nella resa scenica. Mi soffermo solo sul penoso ed antimusicale vezzo di Alvarez, che prende sistematicamente fiato prima, durante e dopo un acuto e sulla voce ingolata e quasi afona della Siri nella prima ottava, indietro e spinta nella seconda. Quanto basta per ricordare che certe cose anni fa non sarebbero passate in provincia.
E poi la direzione di Chailly ora asettica, ora pesante e pachidermica. Segnalo la fredda pesantezza delle prime battute orchestrali, del finale primo, quello che affida al coro il tema degli innamorati e che Puccini tagliò, l’inizio del quarto atto dove, attesa la pesantezza e solennità, mi aspettavo l’arrivo delle Norne e non di una diciassettenne puttanella, morente di sete e stenti.
Tralascio la resa asettica del famoso intermezzo. Persino un direttore ritenuto metronomico e rigido nelle scelte dinamiche come Toscanini ha afflato e palpito in questa pagina nel raffronto con Chailly.
Eppure questa esecuzione modesta e, forse, da sonora riprovazione ieri sera è stata salutata da un “grazie maestro” proveniente da un anziano frequentatore del loggione, un tempo dedito alla acritica e rumorosa venerazione dell’altro Riccardo, quello del ventennio scaligero.
Per il gentile studioso del fenomeno loggionisti e loggioni sono, a nostro avviso, i soggetti che vanno esaminati e studiati. E posso dire che l’altra sera può aver messo molto fieno in cascina.
Come vanno studiati gli inutili riti scaligeri per la vendita dei posti in piedi, che servono anch’essi a capire la attuale qualità degli ascoltatori.
Non contenti di appelli, contrappelli, marche e contromarche abbiamo aggiunto il codice cliente, che ciascun acquirente il biglietto deve possedere e comunicare e che se privo deve ricavare dal totem posto in biglietteria e, poi, spettacolo da circo la deportazione. Spiego: appelli, contrappelli, marche e contromarche in già via Filodrammatici, dove un tempo ubicata la biglietteria cosiddetta last minute, poi a gruppi di venti gli aspiranti loggionisti ascendono, accompagnati dai membri della confraternita, incaricata del rito vendita degli ingressi, alla biglietteria per effettuare l’acquisto agognato.
Mi sono chiesto se questo piccolo corteo, che può ricordare i vecchi credenti di Kovanschina o le ragazze Merlin di Manon, non debba anche intonare inni e salmodie. Prima o poi accadrà e mi sono chiesto quali potrebbero essere i prescelti canti.
Propenderei per le arpe angeliche, visto quel che aspetta gli ascoltatori. E non alludo alla Gloria celeste.. .come la scelta dell’esecuzione è congruente a ciò che le orecchie del pubblico colgono ed apprezzano
24 pensieri su “Manon Lescaut alla Scala, dal vivo.”
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Brutta Manon Lescaut. E, come dice Donzelli, si resta basiti davanti a tanta sciatteria e tanta incompetenza vocale. Si resta basiti davanti alle astrusità della regia, insensate e artisticamente oltraggiose nei confronti del compositore che ha pensato e creato l’opera, descrivendo ambientazione e indicazioni sceniche che questi registi falliti e complessati si permettono di adulterare in nome di un’idea artistica. Si rimane basiti di fronte all’incompetenza del pubblico plaudente che attesta soltanto l’ignoranza musicale e della nostra tradizione. Una vergogna. E vergognoso è il direttore che si presta a questa farsa, dirigendo un Alvarez ingolato e antimusicale e una Siri devastata e assolutamente minorata vocalmente, che non è capace di cantare una frase musicale elegante, ma ci propina suoni affossati, mancanti di smalto, di slancio, di bellezza.
E ancora mi viene in mente altro. Che la critica, maggiormente attestata, ha avuto a che dire sull’incisione callasiana di Manon Lescaut, dove il tenore era Di Stefano, e ricordo che la Callas stessa, a lungo ha dubitato sull’opportunità che la sua interpretazione discografica fosse resa pubblica a causa di un evidente affaticamento vocale che nell’estate del 57 era divenuto problematico: era l’estate della lucia di Lammermoor diretta da serafin all’auditorium di Roma, dove in “spargi d’amaro piano” il mib sovracuto è corto ed esile, è l’estate del concerto del 5 agosto in Grecia, dove la cadenza dell’amleto è accorciata per via dell’impossibilità della callas di salire al mi sovracuto (cosa che fece solo in quell’occasione, tornando poi a cantarla già pochi mesi dopo interamente); è l’anno dello scandalo di Sonnambula a Edimburgo, con la recita cancellata per la stanchezza. Insomma era un’estate difficile per la Callas, e in quel periodo incise Manon Lescaut e Turandot: be’…..che dire? si critica la Callas e si permette che oggi canti una Siri. Si criticano i suoni indietro di Di Stefano, il cui canto è comunque sempre una carezza per l’orecchio, e si consente ad Alvarez di massacrare i suoni e le frasi di ogni aria, sortita, duetto??? Ma i direttori cosa studiano al Conservatorio? ma si fanno le ossa sugli ascolti delle composizioni testimoniate in disco o live dai grandi del passato?
Ok, non è stata una grande recita. Io ho ascoltato l’Alvarez immediatamente post broncopatia acuta, certamente la voce è piccola, a tratti si concede sconti, ma il timbro è indubbiamente molto bello. Inficia l’esecuzione tenorile certamente il suo continuo nervosismo,ahimè percepibilissimo. Sulla Siri sono abbastanza d’accordo con voi, la sua esecuzione è stata tremendamente fredda, priva di empatia. La regia povera, priva di intelligenza e con spunti inutili se non fastidiosi, come quelle tremende bambine e ragazze (piccole Manon) che saltellavano in giro ogni tanto. L’orologio ficcato nel deserto nell’ultima scena qualcosa di imbarazzante.
E sì, la coda per i loggionisti è diventata ormai estenuante, ma tant’è…
Filippo M.
Condivido il giudizio molto negativo sui cantanti e il pieno disprezzo per la regia. Il mese scorso a Monte Carlo hanno ambientato il Ratto dal Serraglio su un treno. Una noia infernale, come in questa Manon ( in cui l’idea non era dunque nemmeno originale ). Quando Geronte proclama dal vagone ( peraltro lussuoso ) : “obliaste d’essere in casa mia” significa che risiede in un treno? E comunque le lezioni di minuetto nello sconpartimento sono da consigliare a quelli della Freccia Rossa e di Italo. Non sono d’accordo sulla direzione: all’inizio poche emozioni ma ho trovato il terzo atto diretto molto bene e il quarto in modo davvero emozionante: tra le cose migliori ascoltate quest’anno.
Sono d’accordo, la parte migliore dello spettacolo è stata la direzione di Chailly, seguito dall’orchestra in modo mirabile. E’ una direzione che non lascia spazio a facili sentimentalismi di sorta, chi l’ha definita fredda ha proprio torto. Il problema è che vi era una sorta di divario fra quello che si suonava in buca e quello che accadeva sul palcosenico.
Leggo “persino Toscanini” ha più afflato di Chailly: mi sembra normale, credo che non avrebbe difficoltà lo stesso Chailly ad ammetterlo. Colgo in questa affermazione una certa sufficienza nei confronti di Toscanini : forse si dimentica l’incondizionato entusiasmo manifestato da Puccini in occasione di una direzione toscaniniana di Manon. Se Toscanini in Manon piacque moltissimo al suo autore tanto da superare fortissime ruggini personali…
i rapporti Puccini – Toscanini dal 1893 al 1924 ebbero andamento diciamo sinusoidale. Litigarono sino alla fine dei giorni di Puccini e poi Toscanini pentito ne ospitò la salma per due anni nella sua tomba al Monumentale. L’avverbio nasce dal fatto che per costante e comune (sulla condivisibilità ho qualche dubbio atteso che noi non conosciamo il vero Toscanini, che proprio con Manon riscosse successi e trionfi anche a Berlino) opinione si ritiene Toscanini un direttore poco incline agli affetti ed agli effetti. Ai suoi tempi la direzione di Toscanini era contrapposta a quella di Leopoldo MUgnone i cui tempi larghi le forcelle e la dinamica molto accentuata erano le caratteristiche. Per altro, senza volere fare la storia della direzione d’orchestra italiana dei primordi, dai MApleson anche Luigi Mancinelli , primo esecutore in Italia dell’integrale di Beethoven, dirigeva come Mugnone. Certo non disponiamo di registrazioni di Campanini, Mugnone, Vitale, sino a Faccio .
La migliore definizione dei rapporti fra Toscanini e Puccini l’ ha data Harvey Sachs nella sua recentemente pubblicata biografia toscaniniana. “Erano come due fratelli che avevano opinioni diverse su quasi tutto ma che sentivano anche affetto e rispetto l’ uno per l’ altro”. E lo studioso canadese cita anche la stilista Biki, nipote di Puccini, la quale diceva sempre che forse in cielo i due sarebbero riusciti a smettere di lirigare
credo che ne avessero sempre una costante….in comune.
La mia impressione è che si detestassero e anche assai poco fraternamente ma accolgo con rispetto l’opinione di Sachs, che si è lungamente occupato di Toscanini. Pare che la ruggine tra i due fu anche dovuta, chi conobbe bene Puccini dixit, a una questione di donne. E non è da trascurare la dedizione artistica e umana di Toscanini verso Catalani, fiero odiatore di Puccini, al punto da chiamare la figlia Wally. Comunque, aldilà dei rapporti personali tra i due che interessano fino a un certo punto, molto più interessante sarebbe saperne di più su come fu – ad esempio – l’interpretazione toscaniniana di Manon Lescaut, che trovo’ Puccini tanto entusiasta.
Non so fino a che punto il paragone sia calzante ma ascoltanto il Beethoven inciso da Toscanini negli anni trenta e confrontandolo con quello inciso negli anni cinquanta ci si rende conto di quanto il grande direttore italiano si fosse irrigidito e forse inaridito. Immagino che l entusiasmo di Puccini si riferisse a un Toscanini di cui purtroppo non è rimasta traccia
Lauri Volpi a proposito del finale monco di Turandot alla celeberrima prima assoluta scaligera definì quelle di Toscanini delle “lacrime da coccodrillo”. Il maestro a quanto pare era un vero cafone con Puccini, impedendogli addirittura di ascoltare le prove delle sue opere che si allestivano al Piermarini
più il tempo passa più mi rendo conto che il divino giacomo era il più completo rappresentante del “cicero pro domo sua”.
Dai, non scoraggiamoci, possiamo consolarci con l’incisione incomparabile di Bocelli diretto da Placido Domingo
guarda che esiste la raccolta differenziata!!!!
Certe cose si “godono” solo gratis su Spotify…
In TV c’era una recita con Aronica, non Alvarez. Comunque, penso che nel I Atto il treno ci potesse stare, poi dal 2^ in poi e’ diventato antiestetico e non funzionale. Anche Cavalletti non ha brillato e non lo ha fatto nemmeno in Rodrigo, oggi che e’ andato in TV il Don Carlo di Firenze, ma fosse stato Cavalletti il problema. Beloselskij ha cantato male (mi rendo conto che il verbo “cantare” e’ una forzatura). Ho pensato che la Sua emissione stonata e vociferante fosse larghissimamente inadeguata, e ho continuato a pensarlo fino al monologo compreso, ma poi e’ apparso l’Inquisitore, Mark Halfvardson per la cronaca, e allora Beloselskij e’ diventato uno splendido e raffinato vocalista. Un Inquisitore che mette i brividi ma non solo per quello che rappresentava, nella realta’. Questo non si risparmia nulls : parla, urla, sputa e …. viene applaudito calorosamente, ma forse non in un altro pianeta e neanche in un altro Sistema Stellare ma in un’altra Galassia le cose funzionano cosi’: qui, il peggiore scontro fra trono e altare cui abbia mai assistito. Ma fortuna che fra qualche anno arrivera’ Domingo e dira’ la Sua, perche’ e’ li’ che arrivera’ Domingo, vero ?
ieri ho visto il terzo ed il quarto atto. Una porcheria e ti dirò che al di là dei cantanti (appena decente la Eboli della Semenchuck) il pèunto più basso era la direzioen d’orchestra lenta, pesante, rumorosa e poi abbiamo per anni sentito demolire i don Carlo di Santini o di Molinari Pradelli……ma per favore erano grandi realizzazioni. Per altro queste produzioni servono a riempire la domenica di un pubblico che farebbe meglio (a partire dal proprio portafoglio) a stare a casa ad ascoltare. Perdonate la crudezza.
Si’, la Eboli poteva andare e anche il Frate, direi. Ma mi hai fatto venire il dubbio e ho ricontrollato su Rai Play: Eboli era la Gubanova, non la Semenchuk.
Mi correggo: Eric e non Mark Halfvardson
DOMANDA FORSE FUORI TEMA : MA DA COSA DIPENDE LA FORTUNA ATTUALE DELLA SIRI ? VOCIONA SENZA COLORI, AL MASSIMO DILIGENTE ESECUTRICE
e sei di manica larga a livello sei politico!!!
Dipende dall’agenzia giusta e dalla sordità da chi la vuole sul palco.
Mi pongo la stessa domanda da tempo.