La Chovanščina di Musorgskij – che quest’anno mi pare il titolo più interessante della stagione scaligera – non è certo l’opera più semplice da mettere in scena per un teatro, essendo assai esigente sia per quanto attiene al numero di cantanti richiesto ed alle loro qualità vocali ed interpretative, sia alla messa in scena, sia al coro (impegnatissimo) e all’orchestra, che devono essere di notevole qualità, sia, soprattutto, al direttore.
Alla Scala l’opera è stata diretta, fra gli altri, da maestri del calibro di Panizza, Gui, Dobrowen e Gavazzeni, ed ora ritorna, dopo oltre vent’anni, sotto la bacchetta di Gergiev che già l’aveva diretta nell’ultima edizione in loco, nel 1998.
Conviene dirlo subito: questa è in primo luogo la Chovanščina di Gergiev, perché l’elemento di spicco è proprio lui, come vero concertatore e direttore d’orchestra. L’orchestra scaligera era in gran forma e seguiva perfettamente le indicazioni del podio.
Ottima prova del coro scaligero diretto dal M° Casoni, capace, se occorre, di toccare tutte le sfumature dinamiche dal piano al fortissimo.
Per quanto attiene alla partitura, Gergiev utilizza l’orchestrazione di Shostakovic, con qualche taglio (ad es. la canzone di Kuzka al terzo atto) e modifica; il finale si chiude sul rogo dei Vecchi Credenti, senza l’irruzione delle trombe del reggimento dello Zar Pietro e senza il ritorno della musico del preludio con l’alba sulla Moscova.
L’esecuzione è asciutta, priva di autocompiacimenti, precisa, senza sbavature fra fossa e palco. La bravura del direttore si riverbera anche sui cantanti: anche esecutori di per sé non memorabili (e non c’erano certo voci da potersi paragonare a quelle che avevano cantato nel passato l’opera alla Scala: Journet, Christoff, Rossi Lemeni, Simionato, Barnieri, Ghiaurov, Arkhipova etc.) si inseriscono bene nell’edifico sonoro di Gergiev e fanno la loro figura, sì che, nell’insieme il tutto risulta più che soddisfacente.
I migliori in scena mi sono parsi il mezzosoprano Ekaterina Semenchuk (Marfa) ed il basso Stanislav Trofimov (Dosifej).
Lei, in primo luogo, è un vero mezzosoprano, dotata di un bel colore vocale da mezzosoprano (e non da soprano corto); in secondo luogo sa cantare come si deve – non mi pare di aver udito certi fastidiosi suono più di pancia che di petto che spesso si sentono provenire da cantanti, in particolare slave, che vogliono imitare l’Obratzova senza averne le doti naturali – sa sia cantare piano che forte, sa fraseggiare ed interpretare. Ottima sia nella scena della predizione al secondo atto che nell’aria del terzo (cantata, chissà perché, dentro ad una gabbia). Giustamente è stata applauditissima alla fine della recita.
Più o meno le stesse cose possono dirsi di Trofimov: vera voce di basso, anche se non è un basso profondo scurissimo come certe leggendarie voci russe, ha cantato (e non declamato) tutta la sua parte dall’inizio alla fine, senza cedere alla tentazione di certi ben noti eccessi interpretativi. Nel primo atto e nella preghiera del terzo ha dimostrato di sapere anche usare piani e mezze voci. Un cantante decisamente superiore alla media, che è stato un piacere ascoltare.
L’altro basso, Vladimir Vaneev (Ivan), è un po’ meno rifinito e gioca più sui registri del forte e fortissimo, con un maggior uso del declamato, ma si può dire che è anche la parte che porta a ciò. Senza essere freschissima, la voce ha ancora una sua potenza. Notevole presenza scenica.
Interessante il baritono Alexey Markov (Šaklovityj), dotato di bella voce, potente, tutto sommato usata anche bene, molto efficace interpretativamente.
Dei due tenori, Sergei Skorokhodov (Andrej), forse quello più dotato in natura, non parte in modo esaltante, ma migliora con il passare dell’opera. Evgeny Akimov (Golicyn) ha un volume minore e cerca di essere più insinuante che vocalmente potente.
Il soprano Evgenia Muraveva, fa ciò che ogni Emma deve fare, cioè urlare verso l’acuto la sua paura e la sua disperazione; il timbro è interessante.
Se un appunto si può fare al soprano Irina Vashchenko (Susanna) è che è troppo giovane, bella e bionda per interpretare la parte di una vecchia babbiona bigotta e rompiscatole, tanto più che in scena non era truccata da vecchia (incidentalmente, su questo tema, credo che sarà quasi una vera missione impossibile, il prossimo mese, per i truccatori del Regio di Torino fare passare per una anziana signora la giovane, bionda e bella ms Nicole Brandolino, scritturata come Teresa per “La sonnambula”). A parte ciò, cantava bene, con una voce di una certa qualità, che ben contrastava con quella della Sig.ra Semenchuk nel loro scontro al terzo atto.
Lo scrivano di Maxim Paster ha funzionato meglio nel primo che nel terzo atto.
Fra gli interpreti delle parti di fianco (mediamente più che accettabili) si sono sentite anche alcune voci interessanti, ad esempio fra gli strelzi ad inizio opera. C’è da sperare che, se si tratta di giovani cantanti dell’accademia scaligera, non si rovinino.
Evidentemente quest’anno in Scala vanno di moda le messe in scena con edifici diruti e grigiastri, e con uso di video, in quanto, dopo l’Attila inaugurale targato Livermore, qualcosa di simile si vede anche per Chovanščina, ma con risultati decisamente migliori. Martone ambienta l’opera non nel 1682, ma in una specie di futuro prossimo venturo, che dell’attuale presente conserva tutto il peggio. Scene grigiastre ed imponenti di Margherita Palli, che si aprono su immagini di rovine e lande ghiacciate. Costumi di Ursula Patzak, giocati su toni scuri, con poche concessioni ai colori vivaci (forse solo per Emma). Il tutto, però, non disturba troppo e, alla fine, funziona, anche perché Martone, fondamentalmente, è un registra normale, e porta in scena, pur con questo cambio di ambientazione, né più né meno quanto si legge nel libretto di Musorgskij. Buona direzione di attori dei cantanti e delle scene di massa. Ogni tanto in scena si vedono passeggiare la principessa Sofia con i piccoli Ivan e Pietro, nel libretto dell’opera spesso evocati, ma mai – per ovvie ragioni di censura preventiva da parte dell’autore – fatti intervenire direttamente in scena. Nel finale i Vecchi Credenti non salgono sul rogo, ma la scena viene come sommersa da una palla di fuoco (un meteorite?) che incendia tutto.
Qualche piccolo appunto: perché mettere Marfa in una gabbia nel terzo atto? Perché fare ammanettare il principe Ivan alla fine del terzo atto, se poi all’inizio del quarto è di nuovo nel suo palazzo, ubriaco, a godersi la vita in compagnia di vezzose e discinte fanciulle? Un errore – a mio parere – fare iniziare l’atto con il principe che si dedica alla caccia alle anatre e che, quindi, spara. Quello della fucilata è un suono e, come tale, eseguendosi un’opera lirica, deve essere udito solo se previsto in partitura (esempio preclaro, Tosca atto III).
Nel programma di sala si potevano ammirare le splendide scene disegnate da Nicola Benois per più edizioni scaligere di Chovanščina, ad oltre quarant’anni di distanza fra la prima (con cui mi pare avesse debuttato, con immenso successo, quale scenografo a Milano) e l’ultima. Il mio ideale per l’opera di Musorgskij sono i bozzetti di Benois, coloristicamente splendidi, evocativi e tutt’altro che banali, con costumi storicamente esatti, anche perché Chovanščina, pur concentrando in essa l’autore avvenimenti che si sono verificati lungo circa un decennio, è come poche opera calata in un preciso contesto storico (la ribellione dei Vecchi Credenti alle riforme del Patriarca Nikon, lo stato di sostanziale anarchia dell’impero russo anteriore alla presa di potere da parte di Pietro il Grande, le varie rivolte degli Strelzi, il fallito tentativo dei Chovanskij di conquistare il potere, finito con la loro decapitazione, etc…).
Nel complesso, però, anche la messa in scena di Martone funziona e non disturba, perché si pone, in sostanza al servizio della musica.
Per capire la differenza abissale che intercorre fra la regia di Martone ed una che, al contrario, va contro l’opera ed è solo un mezzo per esternare le …….. mentali ed i deliri che paiono usciti dal trattato del Krafft-Ebing del solito regista “genio” di turno, si faccia il paragone fra la Chovanščina scaligera e l’edizione de “La maliarda” di Čajkovskij in scena a Lione, in cui la povera opera viene affidata alle “amorevoli cure” di quello che sul sito del teatro francese è definito “un metteur en scène hors-normes : Andriy Zholdak”. Invito a cercare su internet delle immagini di codesto signore: sono oltremodo eloquenti. Le foto dell’opera che si vedono su internet, anche a corredo di articoli in cui si cerca di salvare l’operato di tale soggetto non necessitano di molti commenti. Si veda, ad esempio su:
https://www.opera-lyon.com/fr/20182019/opera/lenchanteresse
http://www.operaclick.com/recensioni/teatrale/lione-op%C3%A9ra-de-lyon-lenchanteresse
https://www.forumopera.com/lenchanteresse-lyon-trop-cest-trop-ou-une-occasion-manquee
Un consiglio: prima della visione prendere un antiemetico ed un antidiarroico.
Per tornare alla recita milanese, Scala piena zeppa. Grande successo alla fine dell’opera, con molte chiamate, molti applausi per i cantanti, l’orchestra, il coro ed il suo direttore, con punte di (legittimo) entusiasmo per Ekaterina Semenchuk e il M° Gergiev, che ha anche voluto chiamare (giustamente) con sé, durante le uscite solistiche, il M° Casoni.
L’opera è stata eseguita in tre parti: primo atto (52 minuti), intervallo, secondo e terzo atto (79 minuti), intervallo, infine terzo e quarto atto (60 minuti).
Un’ultima osservazione, non tanto musicale quanto di costume, anzi, molto di malcostume.
Quanti cafoni maleducati frequentano i nostri teatri d’opera!!!
Infatti, benché dicano e lo ridicano in ogni modo che in sala, durante l’opera, si devono tenere i cellulari spenti e non si può fotografare e/o registrare, è pieno di cafoni beoti con il telefonino acceso che fotografano o filmano, provocando anche un evidente fastidio a chi sta loro vicino. In certi momenti in platea c’erano più lucine che in un presepe. E non si può dire che siano solo ragazzi giovani che vengono alla Scala per la prima volta e vogliono farsi il selfie (anzi, i ragazzi giovani che c’erano in sala mi parevano fra i più attenti e compiti)! Ho visto, infatti, fior fiore di sciure che alzavano il telefonino (chissà con che gioia di chi aveva il posto dietro!) per fare la foto ricordino della Scala! Il peggio, però, è dato da chi tiene il telefonino acceso, con la suoneria accesa!!! Infatti, durante l’ultima parte dello spettacolo ci sono stati ben sei interventi di suonerie, non previsti nella partitura di Musorgskij; per di più lo stesso identico telefonino ha “deliziato” il pubblico scaligero per quattro volte. C’è solo da complimentarsi con la vivace e pronta intelligenza del suo possessore che, dopo la prima volta in cui ha suonato, non ha pensato bene di spegnerlo o silenziarlo. Un vero genio.
Don Carlo de Vargas
Abbado Vienna
Reizen dir. Svetlanov, celebre film di Vera Stroeva
Gergiev regia Baratov
Bolshoi Arkipova Nesterenko
RAI Rodzinski con Christoff e Petri
Gergiev 1992
Gavazzeni Arkipova
Cossotto
Karajan
Siepi
La locandina
Chovanščina
Dramma musicale popolare in 5 atti di Modest Petrovič Musorgskij
Nuova produzione Teatro alla Scala
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore
Valery Gergiev
Maestro del Coro
Bruno Casoni
Regia
Mario Martone
Scene
Margherita Palli
Costumi
Ursula Patzak
Luci
Pasquale Mari
Video designer
Umberto Saraceni per Italvideo Service
Coreografia
Daniela Schiavone
Personaggi ed interpreti
Ivan Chovanskij
Vladimir Vaneev
Andrej Chovanskij
Sergey Skorokhodov
Vasilij Golicyn
Evgeny Akimov
Šaklovityj
Alexey Markov
Dosifej
Stanislav Trofimov
Marfa
Ekaterina Semenchuk
Susanna
Irina Vashchenko
Scrivano
Maxim Paster
Emma
Evgenia Muraveva
Pastore luterano
Maharram Huseynov*
Varsonof’ev
Lasha Sesitashvili*
Kuz’ka
Sergej Ababkin*
Strešnev
Sergej Ababkin
Primo strelec
Eugenio Di Lieto*
Secondo strelec
Giorgi Lomiseli*
Uomo di fiducia del Principe Golicyn
Chuan Wang*
*Allievo dell’Accademia Teatro alla Scala
Mi trovo assolutamente in linea con le riflessioni di cui sopra, in tutto e per tutto. Una volta tanto un allestimento (davvero impegnativo) ben confezionato. A mio parere su tutti svettano la direzione di Gergiev (più ancora che la sua musica, è il suo proprio sangue) e, incredibile ma vero, il coro (confesso che non me lo aspettavo). Ottimi anche la Semenchuk (che non mi era affatto piaciuta come Eboli nel Don Carlo di Chung due anni fa) e il vibrante Dosifej di Trofimov (senz’altro il migliore tra le parti maschili e forse in assoluto). La regia ci sta, riesce a farmi in qualche modo digerire anche l’ennesima sfilata di pastrani e giubbotti in pelle…ma tant’è, forse ci ho ormai fatto l’abitudine. Spettacolare e scenograficamente molto azzeccato il finale con quel rogo che si ingrandisce minaccioso e pare travolgere tutto il teatro. Per me un pizzico di fortuna in più: graziata dai “cellularisti” compulsivi e beneficiaria di una visuale migliore dopo la diserzione da parte di alcuni vicini già dopo il primo atto. Si conferma l’impressione che in questa Scala di turisti molti ormai non abbiano la più pallida idea di cosa vanno a vedere (ma, almeno, qualche volta tolgono il disturbo senza infastidire gli altri).
Per me è stata la prima volta volta che ho ascoltato (ho seguito la diretta radiofonica) completamente Khovančina. È un’opera straordinaria, Mussorgsky a guida di Canalletto è riuscito perfettamente e in modo accurato da affrescare due momenti storici fondamentali della storia russa. Chissà come sarebbe stata l’opera si Pugačev?? Sono giovane e prendo questa come scusa, è stata la prima volta che mi sono approcciato a quest’opera e l’edizione della scala mi è piaciuta moltissimo. Condivido in pieno tutte le osservazioni presentate, sperando che il buon Dio illumini Pereira e Chailly e li indica a proporre più spettacoli come questo!
Ero alla prima, e mi trovo su molti punti della sua recensione. Al posto di Vaneev come principe Chovanskij vi era Mikhail Petrenko, che ha dato un’ottima interpretazione della parte.
La regia di Martone (comodamente seduto nel Palco d’onore), ha sollevato qualche dubbio invece, dal loggione ovviamente. Non hanno convinto le escort /schiave persiane che si fanno i selfie con il cadavere del principe; oppure la scarsa contrapposizione, a livello di costumi e mise en scène, di Strel’cy/Raskol’niki vs partito progressista dello zar. Qualche fischio ha infatti accolto Martone alla fine della rappresentazione. Nonostante la palla di fuoco che tanto ha ricordato von Trier ed altre trovate (come la reggente Sofia che danza con l’amante), la regia era un po’ povera di idee, diciamocelo.
Nel complesso tuttavia, le magnifiche direzioni di Gergiev e Casoni hanno – realmente – fatto l’opera.
Filippo M., 23 anni, Milano
Una cosa é certa il fatto che il corriere sospenda la sua attività fa comodo a tanti perché la vostra opinione fa arrabbiare molti che vorrebbero che determinati contesti rimanessero uguali. Quindi visto che non so nulla a riguardo ai motivi per cui silenti vi rinnovo la mia stima di lettore ormai da un po’ di anni visto che vi leggo da sempre. Avete fatto scuola se vogliamo nel modo di recensire e i ripetuti attacchi fanno capire quanto la vostra attività conti. Un caloroso saluto Nicola.
Ma non erano le cronache? Vabbe scherzo comunque bravo Don Carlo mi piace come scrivi. Sull’opera non avendola vista non posso dire nulla, vorrei ma ho già speso per altre cose!
Grazie dei complimenti.
Perfettamente in linea con quanto dettagliatamente scritto dall’amico Don Carlo di Vargas con cui condividiamo spesso telefonicamente e dal vivo commenti alle varie produzioni non solo scaligere ma anche di altri importanti teatri italiani e non. Alla rappresentazione che ho assistito, sono anch’io rimasto molto colpito da Gergiev che già per me era strepitoso prima, ora ancor di più. E, con quanto scritto da Carmencita sopra, sono veramente rimasto folgorato dal coro. Evidentemente, quando le cose si fanno bene, i risultati sono positivi. Sicuramente i migliori Semenchuk e particolarmente Trofimov. Non sarà stata la migliore Chovanscina vocale e allestita ma, visto i tempi, si tratta di una molto buona realizzazione sia canora che visiva pur con i dovuti difetti in entrambi i sensi già segnalati nella recensione e nei commenti di cui sopra. Molto bello il finale dell’opera, deludente la danza delle persiane.