Alexander Lonquich ha presentato la scorsa settimana a Ferrara e riproporrà, nei prossimi giorni, alla Sapienza di Roma un programma a prima vista mastodontico quanto disequilibrato: diciotto brani di vari compositori (si va da Carl Philipp Emanuel Bach fino ad autori deceduti negli anni Settanta del Novecento, coprendo quindi più di due secoli di produzione musicale), seguiti, dopo una pausa, dal monumento delle Variazioni Diabelli. La natura stessa delle Diabelli, in effetti, dà conto e ragione della natura solo in apparenza disarticolata della prima parte: a tal punto composita, frammentaria, audace nel fondere tratti banali (fin dal tema proposto dall’editore e genialmente “ripensato” da Beethoven) e ardite invenzioni melodiche, contrappuntistiche e di colore, la monumentale serie di variazioni trova risonanze inaspettate nei brani che la precedono, fra un omaggio reso da Theodor Adorno (nell’insolita veste di compositore) all’Arlesiana di Bizet, un tango “degenerato” di Stefan Wolpe (autore di cui è presentato anche un altro, travolgente brano), una raffinata fantasia cromatica di C. Ph. E. Bach cui sembra rispondere uno dei Pezzi lirici dall’op. 54 di Grieg, Klokkeklang (Suono di campane), che potrebbe tranquillamente essere opera di Debussy, Ravel o, perché no, Milhaud, qui presente, al pari di Max Reger, con una composizione “leggera” e deliziosa. Non tutti i brani sono piccoli capolavori (in particolare quello di Bruckner aggiunge davvero poco all’indiscussa gloria del suo autore), ma da tutti si sprigionano microcosmi che Lonquich restituisce con finezza e senza smancerie, distillando un suono di semplice bellezza che riesce però a non ridurre a una marmellata industriale i sapori diversi di ciascun ingrediente. Davvero quella della cucina, o forse del laboratorio, sembra l’immagine più appropriata anche per restituire il senso dell’indagine compiuta sulle Diabelli: quasi in ogni passaggio di questo affascinante percorso sembra di assistere a un’analisi appassionata e viva della struttura, senza che la densità concettuale schiacci la bellezza della resa sonora. Davvero Lonquich sembra, come pochissimi altri (e non solo oggi), padroneggiare l’arte di trasformare ogni concerto in una lezione che non ha, però, nulla di professorale, mantenendo come fine supremo la celebrazione della musica, densa di molteplici, variegate, talvolta contraddittorie bellezze. E nel finale della serata, l’ultima meraviglia: uno Chopin carico di abbandono, ma privo di affettazione, e due miniature mozartiane (tra i bis usuali del pianista tedesco) che aprono squarci vertiginosi sulla “musica dell’avvenire”.
Lunedì 25 Febbraio 2019 ore 20:30
Teatro Comunale “Claudio Abbado”, Ferrara
“AFFINITÀ ELETTIVE”
ALEXANDER LONQUICH
pianoforte
Stravinsky
Circus Polka for a young elephant
Beethoven
Praeludium
Adorno
Adagietto. Hommage à Bizet
Milhaud
Corcovado
Tchaikovsky
Valse à cinq temps
Stravinsky
Etude op. 7 n. 4
Janácek
Malostranský palác
Reger
Humoreske op. 20 n. 5
Schumann
Präludium
Wolpe
Tango
Bruckner
Erinnerung
Grieg
Suono di campane
Rachmaninov
Prelude op. 23 n. 7
Scriabin
Etude op. 42 n. 5
Wolpe
Stehende Musik
C. Ph. E. Bach
Abschied von meinem Silbermannischen Claviere in einem Rondo
Schumann
Albumblatt
Janácek
L’anello d’oro
INTERVALLO
Beethoven
Variazioni Diabelli op. 120
Bis:
Chopin
Improvviso n. 2
W. A. Mozart
Minuetto in Re maggiore K 355
Giga in Sol maggiore K 574