Anna Bolena è diventata opera di repertorio al pari e forse più di Bohème o Trovatore. E per di più con l’abitudine non rara di eseguirla integralmente. Abitudine che un tempo mi sembrava dovere e che, invece, oggi spesso trovo criticabile. Questo non già per la disponibilità di cinque prime parti (il paggio Smeton prevede anche un’aria al quadro conclusivo del primo atto, strumentale a concedere riposo agli amorosi reduci del concertato della caccia e chiamati al duetto ed al grandioso), ma per la poca fantasia di chi allestisca e per la crassa incompetenza di chi dirige e dovrebbe concertare. Comprendo che un sito che si è dato come scopo quello di tutelare il canto ed il belcanto in particolare dovrebbe plaudire la scelta del teatro dell’opera di Roma di eseguire integralmente il drammone donizettiano. Solo che la scelta è velleitaria e discutibile in assenza di cinque prime parti all’altezza dei ruoli e di direttore e dei cantanti in grado di dare senso e significato alle ripetizioni dei numeri ed alla code di ciascun numero .
Or bene la passata sera di mercoledì ogni ingrediente necessario ha latitato dal teatro dell’opera di Roma a riprova che il melodramma italiano del primo Ottocento è difficile da eseguire e da interpretare e che rappresenta in questo senso il vertice massimo. Queste oggettive difficoltà insegna o dovrebbe insegnare che si può pensare e mettere in scena un ‘esecuzione che preveda tagli ed accomodi (si faceva regolarmente nell’Ottocento) per non sfiancare i cantanti, per esaltarne i pregi (se ci siano) e con molto buon senso limitare i danni quando la compagnia di canto non sia quella che le esigenze della partitura imporrebbero. Ed allora diciamo, una volta per tutte, che la signora Agresta dopo un inizio interessante di carriera, credendosi un soprano coturnato e tragico ha inanellato scelte infelici fossero Puritani, Norma, Trovatore e che la Bolena è fra quelle, appartenendo come le altre parti citate al genere cosiddetto tragico e vocalmente del drammatico d’agilità, che era la regola vocale per i soprani sino al 1850. Maria Agresta se cantasse il proprio repertorio, praticherebbe Boheme, Faust, Manon di Massenet, Micaela di Carmen e magari Violetta e Butterfly. Oltre tutto questo repertorio maschererebbe o non metterebbe in evidenza il sempre più evidente limite tecnico della cantante, incapace di gestire correttamente il primo passaggio e siccome la Bolena è scritta per una cantante di voce sontuosa al centro come tutte le parti delle primedonne tragiche (si chiamassero Colbran, Pasta, Grisi, Boccabadati, Ronzi sino alla Lehmann, alla Russ ed alla Raisa ed alla Ponselle, tanto per inquadrare e documentare) abbiamo sentito una protagonista che in tutti i passi di forte accento come l’inizio del duetto con Percy, l’apostrofe “giudici ad Anna”, quella avverso la Seymour, rea confessa, o quella contro Enrico al terzetto non ha accentato nè dato senso alla frase, ma in compenso è stata prodiga di suoni aperti e di sapore verista. E siccome quando un soprano non sa eseguire il primo passaggio esibisce la voce “fuori fuoco” o “spoggiata” in tutta la gamma non si può neppure pensare di trasportare le frasi scomode perchè per conseguneza le cose in alto non vanno bene ed un acuto sonoro a piena voce la signora non lo emette. E per altro per seguire questa prassi occorrerebbero ripassatori di spartito e direttori di una professionalità oggi perduta. Invito coloro i quali dileggiano, anche per Rai, i soprani del primo Novecento ovvero quelli che testimoniano tecnica e gusto romantici a valutare la posizione del suono di Maria Agresta rispetto a Celestina Boninsegna, Maria Farneti (che uscivano dalla scuola della Boccabadati) le prime emettono suoni voluminosi e bronzei senza, però, che gli stessi presentino qualche cosa di volgare e gridato e soprattutto mal messo come accade con Maria Agresta. Non solo ma il fatto di non sapere gestire la voce al centro (zona dove si canta e si interpreta) porta ad esecuzioni meccaniche e scolastiche dei passi elegiaci come la sortita “come innocente giovane” e seguente cabaletta “non va sguardo” il “nei vostri sguardi impresso” del finale, il celeberrimo “va infelice” che deve essere alitato o quasi sino al finale, dove poi stanchezza e limiti tecnici producono un “coppia iniqua” difficoltoso.
Aggiungo: molti soprani lirico hanno affrontato con successo Bolena senza averne la voce, in grazia di tecnica raffinata e scaltrita e di gusto e di adeguata preparazione sono anche riuscite ad essere credibili se non grandi, come ad esempio la solita Gencer, ma anche Renata Scotto e Maria Chiara, mentre il fatto che la cantante esegua la parte integralmente, che nel finale primo arronzi ed attenti le varianti di Joan Sutherland, che sopravviva al do5 dell’altare infiorato non sono sufficiente e la cantante resta protagonista costantemente inadeguata.
Doveroso aggiungere che a differenza di talune mistificatrici di mezzo secolo fa la protagonista della scorsa settimana non ha certo trovato in Riccardo Frizza il sostegno adeguato per una operazione superiore alla proprie forze vocali e tecniche. Eseguire un titolo senza tagli alcuni ripetendo da capo, code e ritornelli senza che gli stessi assumano un significato tragico o di chiaro richiamo acrobatico, non creare alcuna atmosfera, battere la solfa senza un rubato, alternare sonorità da intermezzo napoletano a clangori orchestrali da finale d’atto ponchielliano sono le qualità che sempre Frizza mette in rilievo. Lo sappiamo da un lontana Semiramide a Tolone e ci è stato confermato con le esecuzioni di Semiramide, Elisabetta al Castello ed appunto questa ripresa radiofonica di Bolena. Qualcuno in vena di bontà e facezie mi ha detto che tiene l’orchestra come se per dirigere questi assoluti monumenti (non dimentichiamo che Anna Bolena potrebbe essere un grand-opera) bastasse far andare a tempo e metronomo palco e buca.
E poi ci sarebbero le altre quattro stelle. Carmela Remigio frequenta da tempo parti cosiddette di soprano comodo, che evitano tensioni vocali e sforzi interpretativi. In genere lucra ottimi successi e buoni risultati ad onta di qualche suono gonfio ed ingolfato in basso e di qualche patteggiamento con la scrittura o le interpolazioni, come accaduto con la salita al do5 non previsto nel duetto con Anna raggiunto non scoperto, ma con una volata, che in quel momento vocale e drammatico è discutibile. Corretta sotto il profilo vocale, l’accento e le intenzioni interpretative mancano, ma in questo contesto non si può, anche volendo e potendo offrire di più.
Martina Belli ruolo di Smeton canta bene, anche con intenzioni e gusto. Voce da mezzo acuto in un ruolo di contralto e che deve essere tale per differenziarsi da protagonista e deuteragonista.
Alex Esposito in un ruolo che fu pensato per il declinante Filippo Galli, primo Assur, propone l’idea, errata, di un personaggio truce e assatanato di sangue con scatti inutili e fuori stile “ecco il tradimento”, “ah coppia rea”. Ritengo doveroso ricordare che, almeno in una parte dell’opera, Enrico è un innamorato regale, per giunta, e dovrebbe esprimersi con la morbidezza ed il legato, che dovrebbero essere “prima dei re, virtù”.
Ultima stella dovrebbe essere Percy. E qui va premesso che dalla ripresa Callas Simionato il pubblico pensa ad Anna Bolena come un titolo per le coppie femminili, che vestono i panni di Anna e Giovanna; per il pubblico ottocentesco erano Anna e Percy i protagonisti. A sincerarsi basta leggere le cronache all’indomani della prima dove il dire, il piangere ed il commuovere e far piangere di Giuditta Pasta e Giovan Battista Rubini tenevano il luogo principe e non certo la buona scuola di Elisa Orlandi. E lo si può ben capire ascoltando le melodie lunghe che Donizetti riservò a questo eroe romantico. Della sublime sofferenza, della disperazione e dell’istinto di autodistruzione René Barbera, arrivato in fondo alla parte, ha reso una esangue idea. Oggi ci accontentiamo di sentire le note. Quasi tutte, con diffusi sconti sull’ornamentazione.
sono molto contento di rileggervi!
riguardo Anna Bolena vorrei solo condividere una mia esperienza che riguarda non questa rappresentazione (di cui ho ascoltato l’inizio per radio) ma quella al teatro filarmonico di Verona, circa a maggio 2018. La cosa interessante è che la diagnosi è la stessa: poca fantasia, velleitarismo, cantanti non capaci. Nel ruolo di Anna c’era Elena Mosuc, e ricordo l’orrore che provavo durante la cavatina “come innocente giovine” – io non ho mai sentito cantare così male in tutti i miei anni a teatro, una voce stridula. e ahimè la Mosuc quella volta fece tutto, tutto! vi lascio pensare alle variazioni nella cabaletta finale
curiosamente avevo acquistato il biglietto per quella sera perché come Anna c’era Maria Grazia Schiavo, per poi incappare in questo cambio di cast. Chissà come sarebbe la Schiavo nel ruolo…
Per quanto riguarda l’esecuzione romana voglio dire che a dichiarare conclusa la serata radiofonica dopo la cavatina è bastato l’accompagnamento di Frizza alla cavatina. quei pochi colpi di archi prima dell’attacco della voce erano abbastanza scandalosi. magari era la registrazione, spero che chi era in teatro abbia sentito diversamente…
eppure la cavatina di sortita di Anna brano patetico, languidamente fiorettato e di tessitura comoda dovrebbe essere il passo migliore per un soprano lirico leggero ormai provato come Elena Mosuc. Possibile, mi domando, che non si rendano conto di questo….e non sappiamo trarre il miglior partito dallo spartito e dalle proprie condizioni vocali. Sembrerebbe proprio di no!
poi chissà, magari quella era una cattiva serata per Elena Mosuc – non vorrei sembrare troppo drastico. Tuttavia rispettare l’ipotesi di partenza, e cioè essere consapevoli della complessità di mettere in scena questa opera, avrebbe risparmiato una serata non esattamente felice!
Ho assistito alla recita del 24 Febbraio e penso che la versione integrale sia decisamente prolissa il che giustificherebbe in pieno l’uso dei tagli abituali. Come nel caso della Stuarda data in precedenza sempre qui a Roma, si è deciso di affidare il ruolo della rivale della protagonista ad un soprano, forse per la difficoltà di reperire un mezzosoprano? Tutti gli interpreti hanno cantato e recitato senza risparmiarsi in special modo la Agresta, che ha affrontato la parte con grande dedizione, molto brava nei passaggi più lirici in cui poteva deliziarci con i suoi raffinati pianissimi, ma costretta a spingere oltre misura per dare alla sua voce lo spessore drammatico che non ha. Coppia iniqua praticamente incolore e privo di qualsiasi furia di donna impazzita.
Ho apprezzato infinitamente la bella voce e lo stile di canto di Martina Belli/Smeton e non ultimo il tenore che ha sfoderato bel timbro, facilità di emissione e acuti impervi
ai quali francamente non siamo più abituati perlomeno qui a Roma, poi si potrà pure ragionare sull’interpretazione.
Dopo la Stuarda di due anni fa e la Bolena d’oggi, è ragionevole chiedersi se sia in arrivo anche il Roberto Devereux.