E finalmente siamo arrivati alle riflessioni sulla ripresa al Met, che ha molto impegnato i fans dell’opera in questo periodo. L’opera è stata pensata perché c’è la diva. Alcune divine, capitanate da Maria Callas, ricusarono il personaggio, sul presupposto che altre divine erano le carismatiche Adriana del momento. Oggi non abbiamo una diva, ma una pseudo diva ritenuta diva da pseudo pubblico, pseudo agenti e pseudo critici. Tralascio la scalcinata scena del richiamo dove è evidente che Anna Netrebko abbia pedissequamente copiato la ben poco recitata e divistica scena del richiamo di Mirella Freni. Tanto fedele al CD che ha comprato e copiato che all’inizio mi sono chiesto, una volta percepiti accenti emiliani, se avesse studiato con Laura Betti, che mai rinnegò accento felsineo anche recitando il Goldoni, trasformato nella “Sgnaura Catreina”. Nessuno, oggi e con ragione ricorda Laura Betti quale Mirandolina.
E poi c’è il canto. Non è il caso di armarsi del bilancino del farmacista e più ancora dello spartito per rendersi conto del gioco di colori e di legature omesso a partire dalla sortita e che trova il suo momento più alto (in senso assolutamente negativo) nella raffinata pagina del quarto atto, che deve essere alitata e sospirata con un controllo assoluto del fiato. Bastano i fiati presi a caso che spezzano le frasi, l’intonazione periclitante, acuti duri e ghermiti alla sfida con la principessa secondo i più tipici canoni del bieco verismo della più negativa accezione del verismo. Che Anna Netrebko non abbia mai ed in alcun personaggio brillato per doti di accento e recitazione è fatto noto, ma l’esecuzione è sciatta ed insignificante anche sotto il profilo vocale.
Siccome si deve ritornare agli ascolti comparati che sono esemplificativi ed educativi oltre ogni parola a connotare questa mediocre Adriana basta e non è una facezia il finale terzo del modello ossia di Mirella Freni, che non è mai stata ad onta dei peana di Elvio Giudici una plausibile esecutrice del capolavoro di Cilea.
Peraltro gli ascolti comparati “mettono in riga” anche gli altri interpreti di questa Adriana. Anni fa, una decina circa, ascoltando Anita Rachvelishvili ai primi passi era facile presagirne una buona carriera che sarebbe stata ottima, perché tale si appalesava lo strumento vocale, se avesse cantato ruoli di soprano drammatico.
La signora ha continuato a praticare il repertorio del mezzo (che non è Carmen, che può cantare qualsiasi voce femminile o quasi) ed il risultato è la tipica voce del mezzo rotta in due tronconi fra loro slegati e con i suoni al centro (“arbore dormente” alla sortita della principessa) già fiochi e pallidi. Anche qui negli ultimi abbiamo dovuto sentire propalare la tesi che la voce di mezzo deve essere ROTTA IN DUE TRONCONI, per giustificare i successi di autentiche principianti della vocalità. Propongo l’ascolto della voce Falcon di Elena Nicolai (Ortruda, Santuzza, Bouillon, e persino Brunilde) veramente sontuosa, veramente aggressiva e veramente femminile per spiegare che l’eccesso verista può anche essere tollerato, ma non deve essere sinonimo di malcanto e interpretazione generica e forzata come quella sfoggiata al Met da Anita Rachvelishvili.
E forse anche il vociferante Maurizio di Beczala e il piatto Michonnet di Ambrogio Maestri meriterebbero per esemplificare la loro pochezza ascolti comparati, senza ascendere l’empireo dei grandi Maurizio (ossia Pertile, Gigli, Corelli) e fermandosi si fa per dire allo zuccheroso e lagnoso Ferruccio Tagliavini, che chiaramente si inspira a Gigli.
Solo che Tagliavini mette la voce in un posto (la cosiddetta maschera) che non è la gola dove la mette Beczala che non ha colori e forza e sfinge dalla prima nota in poi.
Rimane, apprezzabile la direzione di Noseda. In questi ultimi tempi il direttore italiano nelle prove operistiche torinesi ha brillato per precisione orchestrale coniugata con piattezza di colori orchestrali e tempi velocissimi. Insomma nulla oltre una professionale precisione. In questa Adriana forse perché taluni cantanti hanno imposto tempi comodi il direttore non ha impresso all’opera andature folli ed anzi ha evidenziato il languore e la grazia di questo falso settecento contrapposte alla tensione drammatica soprattutto dello scontro Adriana-Principessa sia al finale secondo che al repentino e bruciante finale terzo.
Beh ormai il Met non si fa mancare nulla sembra di assistere al fanta opera ma fatto veramente. Beczala si vuole sfasciare la voce perché così con la saracinesca chiusa non emette un suono come si deve
Amo pensare ad Adriana Lecouvrer come opera dal verismo raffinato ed elegante. Purtroppo il cast della recita al Met l’eleganza vocale non sa dove stia di casa.
Condivido l’accurata recensione di Domenico Donzelli.
grazie! dd
ma che voce Aragall del 1971!
Veramente interessante ascolto, il Metà? Magari fosse una parodia, temo piuttosto comico involontario orrore. Ma Grisini cari, perché tanto lungo silenzio? Sono in perversa astinenza, A presto, mi raccomando. Vale
ciao si ricomincia!