Il primo successo del quasi trentenne Verdi fu Nabucco nel 1842. L’opera rimase sempre in repertorio e non solo per il famoso coro del terzo atto, che divenne, forse con un poco di forzatura, l’inno del Risorgimento.
Se dobbiamo citare le riprese del primo ventennio del secolo si deve fare menzione di quella 1913 diretta da Cleofonte Campanini a Parma e che schierava la Russ, de Angelis e nel title role Giuseppe Bellantoni. Della Russ, con Nani, resta una significativa, integrale esecuzione del duetto del terzo atto, come ineguagliabili restano le incisioni delle arie a magistero di Carlo Galeffi e Nazareno de Angelis.
Nell’immediato dopoguerra Nabucco conobbe, come abbiamo anticipato, una ripresa scaligera nel 1946, che inaugurò la prima stagione al Piermarini e della quale non restano tracce come pure non resta traccia della ripresa romana, che vide il tardivo e non del tutto appropriato debutto di Maria Caniglia nel ruolo della virago verdiana. Siccome Nabucco, forse ancora in forza della valenza patriottica stava anticipando la Verdi Renaissance venne proposto nel 1949 a Napoli, diretto da Vittorio Gui che frequentemente nella sua lunghissima carriera diresse il melodramma verdiano. La serata napoletana passa ufficialmente alla storia dell’opera perché coincide con le sole recite di Abigaille cantate da Maria Callas all’inizio della fase aurea 1949-1953, quel periodo in cui la poco avvenente ragazzona greca offrì ineguagliate prestazioni nel repertorio del cosiddetto soprano drammatico d’agilità. Non c’è frase dell’intera parte che non possa definirsi esemplare per la capacità di superare ciascuna difficoltà vocale e dalle stesse ricavare mezzi espressivi e di centrare l’accento del personaggio che può essere ora grifagno, ora ferino ed anche amoroso, come all’apostrofe verso Ismaele all’entrata del primo atto, aiutato qui da un una voce che non essendo in natura amorosa coglie i reali sentimenti di predominio della donna. E lo stesso “centro al primo colpo” la Callas lo realizzerà di lì a qualche anno nei panni di Lady Macbeth. Va anche detto che qui a sostenere la Callas c’è Vittorio Gui come a Milano ci fu Victor de Sabata. La direzione del maestro fiorentino, premesso che nulla si può cogliere anche dalle registrazioni restaurate sulla qualità del suono e su taluni dettagli orchestrali è sempre solenne, nobile a partire dalla famosa sinfonia e dal famosissimo coro (acclamato dal pubblico del 1949 quando non erano ancora in auge nostalgie borboniche e bissato) staccato con un tempo sostenuto, per nulla meccanico ed anzi più vario di come oggi si esegua la medesima pagina. Oggi vanno ascoltati per un modo in cui condotti e sostenuti tutti gli ensemble, particolarmente il finale secondo dove Gui concorre a sostenere un esausto Gino Bechi. L’ingresso di Abigaille al primo atto ed il seguente terzetto che con l’ingresso di Nabucco diviene il finale primo sono una pertinente realizzazione di quello che si dice essere “quarantotteschi”. Aggiungo per chi volesse sentire una autentica voce di basso che affronta la parte di Zaccaria, contate le battute il vero protagonista dell’opera, deve ascoltare Luciano Neroni. Non sarà la perfezione e la varietà delle esecuzioni di Nazareno de Angelis, ma ridicolizza tutti i bassi da grandissimi teatri che hanno affrontato il ruolo del sommo sacerdote verdiano.
Il problema è che quando ascoltiamo l’esecuzione della Rai 1951, snobbata per lungo tempo e per la qualità dei cantanti e sul presupposto falso che le stagioni RAI non potessero competere con quelle dei maggiori teatri, veniamo smentiti a partire da Antonio Cassinelli, che canta Zaccaria e soffre qualche difficoltà egli acuti. Non dimentichiamo che Verdi porta la voce del basso al fa diesis acuto e che al cantante che veste i panni di Zaccaria si richiede canto ampio e stentoreo ed anche fraseggio a fior di labbro nell’assolo “tu sul labbro dei veggenti” con strumento obbligato. Oggi al più Antonio Cassinelli è ricordato per essere stato il marito ed in parte il maestro di Maria Chiara. Fu anche un valente cantante e di buona scuola come questa esecuzione dimostra. Su alcuni elementi di questo Nabucco, che precede la recuperata, indiscussa fama del titolo dobbiamo riflettere. Il primo: in occasione del cinquentenario della morte di Verdi la RAI riusciva ad allestire molti dei titoli verdiani, alcuni noti altri meno, offrendo esecuzioni sempre valide e talvolta assurte a punti di riferimento nella storia o del canto o dell’esecuzione verdiana. Il secondo che le orchestre RAI fossero in grado di suonare con precisione, tocco, suono rotondo e sempre morbido e aggiungo un esiguo numero di prove, atteso che si provava tre o quattro giorni. Basta sentire che in tutta la serata (registrazione captata dal vivo e senza possibilità di correzioni) non si sentano sbandamenti ed insicurezze ed anzi questo Nabucco, forse per merito del direttore Fernando Previtali è sempre elegante e mai volgare e bandistico anche nelle pagine che si presterebbero a questa deriva. E poi i protagonisti ossia la Mancini e Silveri. Caterina Mancini poteva essere facilmente accusata di essere, rispetto alla Callas, vecchio stile ove con tale terminologia si indicano i soprani di voce importante e robusta (di grande qualità aggiungo riferito alla Mancini), soliti a trascurare finezze di fraseggio e canto acrobatico. Allora la Mancini non è nelle agilità la Callas, ma è un vero soprano drammatico di voce sontuosa e spontaneamente nobile, che patisce qualche acuto estremo spinto e duro e che non sa dare, a differenza del soprano greco, sempre senso ai passi di agilità. Eppure il timbro monumentale e di qualità aiuta a rendere, se non l’aspetto satanico e crudele del personaggio, il distacco e l’alterigia. Aggiungiamo, poi, che il gioco di una Abigaille “importante” riesce davvero facile nelle scene in cui si fronteggiano le due sorelle. Gabriella Gatti, a fine carriera, ma stilisticamente appropriata, rende la mitezza e la sottomissione da vittima designata di Fenena e canta con gusto, legato, suoni soffici e galleggianti sul fiato tutti gli assoli della principessa dal duettino con Ismaele all’arietta del quarto atto. Esemplare. Interessante anche il protagonista di Paolo Silveri, anch’esso cantante di buona carriera anche se non di indiscussa fama, per altro in un’epoca in cui la concorrenza c’era ed efficiente. Silveri non brillava per personalità interpretativa, ma il personaggio di Nabucco, piuttosto stereotipato rispetto a quelli successivi ( a partire dal tormentato doge Foscari potente e padre) richiede prima di tutto un cantante anche se le situazioni, il delirio di onnipotenza che porta al peccato di presunzione verso Dio con conseguente punizione e la lamentazione del padre e re umiliato si giovano della facilità vocale e del legato di Silveri, forse non troppo vario, ma efficace ed aderente al personaggio ed al momento scenico e, cosa oggi rara, facile e squillante in alto.
Nabucco
Nabucco – Gino Bechi
Abigaille – Maria Callas
Zaccaria – Luciano Neroni
Fenena – Amalia Pini
Ismaele – Gino Sinimberghi
Abdallo – Luciano Della Pergola
Anna – Silvana Tenti
Il Gran Sacerdote – Iginio Ricco
Orchestra e Coro del Teatro San Carlo di Napoli
Vittorio Gui
Napoli, Teatro San Carlo, 20 Dicembre 1949.
Parte I
Parte II
Parte III
Parte IV
Nabucco
Nabucco – Paolo Silveri
Abigaille – Caterina Mancini
Zaccaria – Antonio Cassinelli
Fenena – Gabriella Gatti
Ismaele – Mario Binci
Abdallo – Licinio Francardi
Anna – Beatrice Preziosa
Il Gran Sacerdote – Albino Gaggi
Orchestra Sinfonica e Coro di Roma della RAI
Fernando Previtali
Roma, RAI, 1951.
Parte I
Parte II
Parte III
Parte IV
Esecuzioni memorabili soprattutto quando c’è Gui! La Callas davvero sembra che quei chili persi le abbiano tolto un po’ di smalto ma ovviamente i motivi sono altri