giacomo lauri volpi
adamo didur son lo spirito che nega 1906
adamo didur son lo spirito che nega
adamo didur giovanni zenatello duetto
chaliapin ave signor
chaliapin son lo spirito che nega
La sera dell’8 novembre al Met è ritornato Mefistofele.
Era assente da circa un ventennio allorché venne proposto con e per Samuel Ramey, il basso americano che spesso, partendo proprio dalla porta accanto (ossia la New York City Opera) aveva vestito i panni del diavolo nella realizzazione scapigliata di Arrigo Boito. Mefistofele è opera da basso ed infatti leggendo i nomi di quelli che dal 1883 hanno cantato il titolo nel maggior teatro nordamericano la sfilata dei big è notevole. Possiamo segnalare due assenti ovvero Nazareno de Angelis, che però non calco’ mai le scene del Met ed Ezio Pinza, che, invece, basso ufficiale del Met per quasi un ventennio non fu mai né Mefistofele né Filippo secondo. Forse al Met diversamente che in Italia il lavoro boitiano non era ritenuto un capolavoro e poi l’allestimento era costoso, richiedeva anche un grande tenore (argomento su cui ritorneremo).
Va detto che il lavoro boitiano è talmente intriso di italianità per non dire milanesità che, come molte opere tardo romantiche o veriste, stenta ad essere apprezzato dai pubblici stranieri. In fondo all’estero a parte Puccini, Pagliacci, Cavalleria e Chenier, indissolubilmente legate al mito del tenore, taluni titoli hanno avuto sporadiche rappresentazioni spesso legate alla attualità del titolo o alla elevata considerazione, che godevano presso taluni direttori di orchestra. È sufficiente verificare a quando rimontano al Met le proposizioni di Iris, Loreley, Fedora, Cena delle beffe, Francesca da Rimini, Adriana, Fedora o il lasso di tempo intercorso fra due produzioni. Mefistofele appartiene a questo gruppo, atteso che successivamente alle repliche con Ramey il titolo venne proposto nel 1999.
Di alcuni esecutori del title role, che pure si accostarono al fonografo non abbiamo testimonianza. Ed è un peccato con riferimento a Pol Plancon, famoso soprattutto come diavolo di Gounod e Berlioz; la curiosità è molta perché in un ruolo realista, talvolta prossimo al gratuito effetto ed al parossismo sarebbe interessante vedere che lettura ne desse il raffinato bass-baritone francese. Per altro lo scontro-incontro fra facile effetto e truculenza, da un lato, e linea di canto sorvegliata è realizzato da Feodor Chaliapin ed Adamo Didur.
Scontro slavo, solo che se Chaliapin anticipa scivolate di gusto e di intonazione, che dal 1950 saranno la sigla dei bassi di quell’area e loro epiloghi anche nostrani, mentre Adamo Didur è sempre forbito, nobile ad aulico e se alla ballata del fischio si lascia un po’ forzare la mano al duetto con Faust (Giovanni Zenatello) è elegante, capace di suoni chiari e dolci quasi tenorili perché il demonio quando tesse le proprie trame è bello ed affascinante. Per Feodor Cialiapin il demonio è spesso un istrione. Comprendo che alle prese con la versione boitiana eccedere sia facile ed un peccato assai meno grave che eccedere in Gounod e Berlioz, ma l’eccedere la truculenza, la spavalderia spesso sono monotone e fine a sé stesse. E questo a Feodor Chaliapin accede anche se le registrazioni proposte e relative alla fase finale della carriera mostrano una impressionante dote vocale
Josè Mardones Ave Signore
La dote vocale straordinaria non mancava anzi era il motivo della fama per Josè Mardones. Al protagonista raffinato ed elegante di Didur a quello istrionico di Chaliapin, Mardones oppone la voce straordinaria in ogni gamma dove non esistono difficoltà sia in basso che in alto nei sillabati, nei ritmi puntati, nei cambi di tempo e per giunta con una dizione sempre chiara e scolpita e lo sforzo di essere elegante e magari ironico, ma il vocalista straordinario sembra quasi annullare gli sforzi dell’interprete. Per capire la oceanica distanza fra Chaliapin e Mardones basta la frase “ciò che chiamasi peccato” dove il basso russo spezza le frasi e mostra una scarsa omogeneità di registri all’opposto di Mardones che sale e scende con irrisoria facilità.
Mefistofele fu il personaggio del debutto di Chaliapin, ma Faust nel 1920 quello di Gigli, che pretendeva per i propri debutti il personaggio boitiano. Ovvio la parte scritta nella zona del passaggio della voce metteva in risalto il timbro aureo, la facilità di mezze voce e di colori, se vogliamo la dialettica semplice del tenore marchigiano. Gli assoli di Gigli nel Mefistofele sono pagine che fanno parte della storia dell’opera per chi volesse capire la storia del canto e della corda tenorile e trovare argomentazioni per il fatto che di tutti i tenori del post Caruso (che al Met non cantò il capolavoro boitiano) Gigli è il più famoso e forse anche quello che superò in certi titoli il modello. I titoli erano quelli dove Gigli poteva dispiegare la cantabilità di una voce in natura dotata e supportata da una tecnica di canto esemplare e da un senso infallibile nel cogliere le caratteristiche di certe pagine. Mi spiego Gigli venne sempre criticato per il gusto, per la lacrima, per il singhiozzo, che serviva a “portare su la voce” e spesso specie nelle pagine più roventi l’interprete o latitava o cadeva di gusto. Ma quando le pagine erano di sapore nostalgico elegiaco Gigli faceva centro subito in virtù della generosissima natura. Gli altri dovevano ricorrere ad altri mezzi e magari non centravano personaggio e momento scenico con eguale efficacia ed immediatezza. Questo è il motivo del confronto -ennesimo ed inutile si potrebbe dire- fra Gigli e Lauri Volpi nell’opera di Boito. A parte che il disco di Lauri Volpi del 1922 ritrae il tenore di Lanuvio nel momento in cui l’oscuramento del suono era forse esagerato nel tentativo di trovare le sonorità di Caruso, ma è la ricerca di espressione e di dare il significato ad ogni parola e di essere perfetto i ogni suono che lasciano, in questa pagina, Lauri Volpi dietro a Beniamino Gigli.
Personalmente ho sempre avuto sentimenti contrastanti verso quest’opera e forse uno dei motivi per cui é poco rappresentata é data dal fatto che ha avuto poca presa sul pubblico anche se comunque é una valida testonianza di quel periodo e quindi merita di essere eseguita.
quando la proponevano co Pertile, de Angelis, la Pampanini la presa sul pubblico c’era eccome
Diciamo che erano voci che davano una spinta alla partitura però rimane il fatto almeno dal mio punto di vista che é un lavoro non perfettamente riuscito a volte forse anche un po’ ingenuo però le pagine ispirate ci sono eccome e quindi come dicevo é ingiusto tenerlo nel cassetto. Poi se guardo cosa ha proposto il met negli ultimi anni qualunque cosa scade specie se per fanciulla del west o semiramide propongono i cantanti che abbiamo visto. E devo dire che la scala ha fatto bene al signor Netrebko.
ma sono stato io il più grande Mefistofele del Met!
Anche quello sentito alla Scala con Ramey ebbe molta presa sul pubblico.
Sarà un peccato di gioventù, ma rimango sentimentalmente legato ad un Mefistofele degli anni 50, con uno straordinario Giulio Neri ed un commovente Gianni Poggi .
e chi non commetterebbe quel peccato di gioventù…….