E dopo il Riccardo di Tucker è il momento di “ripassare” l’Alvaro di Carlo Bergonzi. Le virgolette si impongono, dal momento che, sebbene il tenore di Vidalenzo abbia sostenuto per circa trent’anni il ruolo del fascinoso indio ed esista una copiosa quantità di registrazioni ufficiali e ufficiose, tutte o quasi disponibili anche su Internet a costo zero, molti ascoltatori non lo conoscono (tacciamo di quelle congreghe, che si piccano di custodire il Verbo verdiano e ignorano i fondamenti della discografia, in uno con il senso del limite e del ridicolo) e qualche giovane collega, che meglio farebbe a tacere e, piuttosto, ripassare o meglio apprendere un poco di tecnica, si permette di dubitare della caratura di Bergonzi esecutore e interprete. Sull’esecutore, in realtà, si può dire qualche cosa (rimando, sul punto, alle annotazioni di Donzelli in sede di presentazione del Ballo di Tucker), ma sotto il profilo dell’interpretazione il sofferto mulatto di Bergonzi risulta davvero difficile da eguagliare, a meno di non fare riferimento ai lacerti a 78 giri. Poco propenso all’espansione amorosa (anche se il duetto con Leonora, particolarmente nell’edizione bolognese con Leyla Gencer, non manca di fascino), questo don Alvaro emerge prepotente nelle scene in cui deve confrontarsi con i parenti dell’amata: a “Pura siccome gli angeli” sfoggia in pari misura fierezza e trattenuto dolore, peculiarità che emergono negli scontri con don Carlo, particolarmente in quello al convento della Madonna degli Angeli, in cui frasi come “ve lo giura un sacerdote” e “no, l’Inferno non trionfi” sono al tempo stesso il compendio e il sigillo del personaggio. Ma forse il punto più alto di questa lettura è dato dal recitativo che precede “O tu che in seno agli angeli”, in cui Bergonzi (che a onta dell’accento spiccatamente emiliano cura sempre in maniera impressionante la scansione del testo poetico) riesce a trovare per ciascuna frase la dinamica e il colore più appropriati, risultando particolarmente efficace nel punto in cui don Alvaro rievoca i propri nobili natali, vera origine delle sue sciagure. Nei giorni in cui leggiamo mirabolanti articoli, che si vorrebbero giornalistici, relativi a prossime esecuzioni della trilogia popolare, ispirate all’improbabile immagine di un Verdi “padre della Patria”, non esiste risposta migliore, né migliore preparazione all’imminente festival parmigiano, della voce e dell’arte di Carlo Bergonzi.
Verdi: La Forza del Destino – Molinari-P., Bergonzi, Cappuccilli, Gencer – Bologna, 1964
Verdi Forza del Destino Scala 7/12/1965
Giuseppe Verdi – LA FORZA DEL DESTINO – Rai Torino, 11.10.1971
Verdi. LA FORZA DEL DESTINO. Bergonzi, Tatum, Colzani, Forst, Roni. Caracas. Abril 28, 1974
Verdi – La Forza del Destino – Bergonzi, Colalillo, Cassis, Mattiucci, Cava, Ceccarini – Excerpt
Tenore – CARLO BERGONZI – La forza del destino (1862) – Qual sangue sparsi