Ernani alla Scala, ossia la Gioconda.

tram funebre gioconda musocco maggiore cimiteroPartiamo dalla prima edizione pirata dell’Ernani, 1903, Metropolitan, sotto la guida di Luigi Mancinelli. I famosi cilindri Mapleson conservano un breve lacerto del finale del terzo atto, dove Luigi Mancinelli rispetta tutte le indicazioni dinamiche e agogiche di Verdi ed anzi, in taluni casi, le amplifica, rivendicando per sé e per gli interpreti della serata (Sembrich, De Marchi, Scotti, De Reszke) la qualifica di custode e continuatore della tradizione. Tradizione che, forse, risaliva ai primi concertatori di Ernani, che si chiamavano Donizetti Gaetano e Muzio Emanuele. Dell’importanza di questa esecuzione, naturalmente, avremo altra occasione di parlare a breve, ma ci serve questo alto rispetto della tradizione esecutiva per dire invece dell’infamia dell’allestimento scaligero sotto l’aspetto visivo deludente, tanto quanto era inesistente l’aspetto registico. Ci spieghiamo subito. Iersera el sciur Pereira, chiamando il solito gruppetto di artisti di origine svizzero-austriaca, cioccolatar-biscottara, ha inteso offrire al pubblico scaligero uno spettacolo assolutamente tradizionale, secondo la consolidata prassi (basti ricordare la barca dei guitti di Strehler ne Le baruffe, quindi un’assoluta novità…) del teatro nel teatro. In realtà non era un allestimento tradizionale, aggiungiamo bruttino e scalcinato, ma la deliberata scelta di irridere la tradizione dell’allestimento tradizionale, praticata fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. A riprova siano l’inserimento di gag miserande, come la Giovanna centenaria, claudicante e carceriera di Elvira, una serie di angeli delle dimensioni di Oliver Hardy, deliberatamente goffi, una tomba di Carlo V che sembrava l’ingresso di una chiesetta di campagna, o l’ingresso dell’ex cimitero del Fopponino di Milano, le cancaneuse al secondo atto, i servacci che portano le vivande di cartapesta a mo’ di pochette, sino alle due sguince (le cancaneuse medesime, forse) con il cartello “Invervallo, forse” tra il terzo e il quarto atto. Il cosiddetto allestimento tradizionale è e deve rimanere tale con scene raffinate, costumi congrui al rango dei personaggi, e non già il richiamo a Hellzapoppin’ o le meglio riuscite gag del trio Marchesini-Lopez-Solenghi. E siccome il pubblico non è cretino e facilone, el sciur Pereira e i suoi convocati sono stati salutati da una caracca di fischi alla fine dello spettacolo. Vogliamo ricordare che l’apoteosi dello spettacolo tradizionale fu La traviata di Luchino Visconti, dove il regista milanese portava da Casa Visconti-Erba le tovaglie e l’appareil. Oggi siamo ad una lugubre parodia, offensiva ed umiliante per il teatro, che merita solo fischi e reazioni bombarole ed incendiarie. Se non fosse che sarebbe come sparare contro la Gioconda. Per chi non lo sapesse, la Gioconda non è solo l’opera o il quadro di Leonardo, ma il convoglio funebre che da Porta Romana o dal Cimitero Monumentale portava al neo edificato Cimitero Maggiore, per i milanesi anche “Il tram del dolore”. Oggi qualunque mezzo pubblico si prenda per andare alla Scala è un “tram del dolore”. E poi c’è la parte esecutiva musicale e vocale. Parlando dell’esecuzione vocale cominciamo con il pezzo da novanta schierato dalla dirigenza scaligera, ovvero il soprano Ailyn Perez, già proposto quale Mimì e in predicato per ritornare come Violetta, in questo caso il soprano era chiamata ad esibirsi in una delle parti del primo Verdi che più richiama il melodramma donizettiano, nonostante la signora Loewe non avesse ottenuto dal compositore di terminare l’opera con il rondò. Fin dalla sortita la signora Perez ha dato prova di una voce prossima all’inesistente nella fascia medio grave, ove si registra il proverbiale buco, mentre in alto ha emesso suoni costantemente spinti, spesso fissi e, col passare della serata sempre più stonati, e prossimi al grido. Aggiungiamo che la performance ha iniziato la china discendente terminato il cantabile della cavatina, la cantante si è infatti dimostrata nel suo valore già alle prese con gli elementari e pochi picchettati della cabaletta, miseramente cempennati, trovando i punti di maggiore difficoltà nei terzetti con Ernani e Silva, non riuscendo mai, non solo a svettare, ma ad essere udibile nei concertati (finale I e III). La Perez è stato l’unico membro del cast vocale ad essere pesantemente contestato al termine della rappresentazione. Non che gli altri si siano coperti di gloria.
Luca Salsi, pendolare fra il Festival Verdi di Parma, di cui è in ogni senso un prodotto, e dove l’altra sera ha fatto scempio del Macbeth nella versione pensata per Felice Varesi, e la Scala, è stato tradizionalmente becero e verista (senza la voce dei veri baritoni beceri e veristi) nei primi due atti, e si è un po’ controllato nel terzo, che è in ogni senso l’atto di Carlo, senza peraltro sfoggiare alcuna delle doti, eleganza, legato, chiarezza di dizione, rotondità di suono, che sono indispensabili per essere un plausibile Carlo V. Ovviamente con le caratteristiche negative di Luca Salsi il momento peggiore è stato “Vieni meco sol di rose”, ossia il punto in cui Verdi celebra, more parmense, il baritono donizettiano. Tutto sommato sufficiente, ma non brillante, la prova di Francesco Meli, pure messo alla frusta sia dalla tessitura acuta dei brani amorosi, vedi il duettino con Elvira, dove ha fatto sfoggio di imbarazzanti falsetti, sia dalla tessitura più centrale di passaggi oratori quali “Oro, quant’oro ogn’avido” e “Io son Conte, Duca sono”. Diciamocela tutta, Francesco Meli può anche cantare Verdi, ma del tenore verdiano non ha assolutamente nulla, gli mancano la dolcezza e la morbidezza del suono, lo slancio e lo squillo sugli acuti. Se priviamo il tenore verdiano, sia esso Otello, piuttosto che Ernani, che Don Alvaro, che Rodolfo della Miller, di queste caratteristiche possiamo avere qualcuno che riempie la scena, commenta applausi e fischi del pubblico dal proscenio, ma non può essere un cantante verdiano.
Il migliore in campo (non che la concorrenza fosse agguerrita, né il ruolo particolarmente oneroso) Ildar Abdrazakov, privo della cavata che compete all’autentico basso verdiano (un limite che si avverte in particolare nelle discese al grave), ma esecutore solido e a tratti (cantabile della sortita, che strappa il primo autentico applauso della serata) persino ispirato. Nessun fremito invece, pochi colori, dinamica piatta, incedere meccanico, tanto “casino” nei passaggi a piena orchestra e diversi pasticci specie nelle scene che prevedono l’intervento del coro, per la direzione di Adam Fischer, che se non arriva alle “vette” di certe recenti performance scaligere (su tutte quella del Pirata) è davvero un esempio preclaro di routine nel senso più mortificante del termine. Ricordiamo che la serata era dedicata a Tullio Serafin nel cinquantesimo della sua scomparsa: un tentativo davvero infelice di omaggiare il morto, anzi il caro estinto.
Cedo la parola all’amica Selma Kurz, nell’idioma più familiare al sciur Pereira.

Selma Kurz:
„Giustizia, giustizia, o Sire!“ möchte man mit Verdis Elisabetta nach dem gestrigen Abend ausrufen. – So ungerecht waren die Beifalls- bzw Missfallenskundgebungen bei den Schlussvorhängen verteilt.
„Die arme Ailyn Pérez.“ Dachte man kurz. Dass diese Rolle eineinhalb Größen zu groß geschnitten war merkte man recht bald. – Genau gesagt nach der zweiten Strophe der Cabaletta. Eine lyrische Stimme, abgedunkelt und in die Breite getrieben, wenn auch in Maßen und (noch) recht homogen solange sie in lyrischen Gefilden bleiben kann. Sie legt die Phrasierung breit an und bemüht sich, dramatische Akzente aus der Musik zu setzen, die Stimme kann bei diesen Vorhaben aber nicht mithalten und sie ausfüllen. Sie singt bemüht und engagiert, riskiert auch viel, aber die Elvira verlangt ein anderes stimmliches Kaliber. Unter Belastung wird die Höhe sofort scharf und wo im Mittelteil der Oper stimmliche Dramatik verlangt ist, muss sie bedenklich forcieren. Ihr fehlt für Rollen dieses Kalibers vor allem der feste stimmliche Kern, die gebündelte Kraft im Zentrum des Tones, von dem Birgit Nilsson so eindringlich spricht. „Die Arme“ also? Wer aber hat sie gezwungen, ein so anspruchsvolles Rollendebüt in einem Opernhaus wie der Scala zu geben, ohne die Rolle vorher auszuprobieren? Besser gesagt, hat sie in ihrem Umfeld niemanden, der Bedenken äußert, dass sie über Elvira ihre Fühler auch in Richtung der beiden Verdi-Leonoren austreckt?
Francesco Meli hat im Gegensatz dazu einen mehrfach erprobten Ernani an die Scala gebracht. Nicht nur hat er die Rolle bombensicher „drauf “, sie liegt ihm zusammen mit Gabriele Adorno und Macduff ohne Zweifel auch wesentlich besser als Radames, Manrico oder auch Don Carlo. Was ihm als Ernani etwas fehlt, ist die warm strömende Mittellage eines Carlo Bergonzi, eher geht er in Richtung Gino Penno: hell timbriert, aber mit nicht ganz so durchschlagskräftiger und fester Höhe. Das kann er mit „accento“ und Phrasierung zum Teil wettmachen. Auch wenn er gegen Ende etwas müde klingt – sein Ernani ist im Großen und Ganzen für heutige Verhältnisse sehr solide und zufriedenstellend. Daran gemessen hätte er sich mehr Applaus und Anerkennung verdient. Gesanglich war seine Leistung mit Sicherheit die Beste und Ausgewogenste an diesem Abend.
Ildar Abdrazakov, grundsätzlich zurecht mit viel Applaus bedacht, war ein – wie es so schön und zugleich wenig aussagekräftig heißt – „rollendeckender“ Silva. Keine Riesenstimme, aber substanzvoll und gut geführt – zumindest in der Mittellage und Höhe. Die Tiefe ist in Relation dazu etwas unterentwickelt und blass, auch fehlt ihr echte „Dichte“ ein echtes dunkles Bass-Fundament, wenn man sich im Vergleich dazu Adamo Didur oder Boris Christoff etwa vor Augen führt.
„Warum wurde Simone Piazzolla ersetzt? Wie mag er erst geklungen haben?“ fragt man sich nach der Leistung von Luca Salsi an diesem Abend. Von einer lautstarken Fan-Gemeinde gefeiert, wurde er völlig zu Unrecht mit dem meisten Applaus bedacht. „Laut“ und „robust“ sind die einzig „positiven“ Attribute, zu denen ich mich im Bezug auf seine gesangliche Leistung durchringen kann. Die Stimme ist nicht groß, nicht einmal wirklich „voll“; sie ist laut und breit, schlecht platziert, ohne wirklich festen Kern und schlecht auf dem Atem geführt, unsauber in der Attacke von Phrasen, ungeschliffen was Phrasierung betrifft. Die Höhe oft steif und forciert; wo er nicht frisch drauf losplärren kann, sondern die Stimme versammeln und zurücknehmen und auf dem Atem singen muss („Vieni meco, sol di rose“) versagt er – auch wenn er in der Szene in der Krypta bemüht singt. Die Stimme ist von seiner ungehobelten Art zu singen bereits zu aufgerauht. Unerklärlich, dass sich abgesehen von der Fan-Gemeinde auch Teile des Publikums von reiner Lautstärke ohne Feinschliff derart blenden lassen.
Sven-Eric Bechtolfs Konzept bietet Stehtheater in der Tradition des 19. Jahrhunderts. Angedeutete Bühnenbilder, farbenfrohe Kostüme, eine gewisse unaufgeregte Ästhetik – eine Inszenierung, die zumindest alltagstauglich ist. Mehr fällt Bechtolf zu Ernani nicht ein. – Oder… soll sie eine Art „Kniefall“ oder sogar Verhöhnung des in dieser Beziehung traditionsliebenden Mailänder Publikum sein? Oder soll das Werk in gewisser Weise lächerlich gemacht werden soll? Die lachhaften und sinnlosen „Nummern-Girls“ und Can-Can Tänzerinnen… wozu? Wenn einem Regisseur, der zudem vom Theater kommt, so wenig zur italienischen Operntradition dieser Epoche (und zu Personenführung!) einfällt, warum nimmt man sich eines solchen Werkes an? Um das eigene Portfolio mit einer Scala-Produktion aufzupeppen…?
Die mittlerweile routinemäßigen Missfallenskundgebungen für Regisseure, an denen man sich so gerne reibt, verleihen der übermäßigen Bedeutung, die der Regie in der Oper heutzutage zugeteilt wird, nur noch mehr Gewicht. – Nicht weil der lautstarke Protest unverdient ist, sondern weil er den Blick von dem ablenkt, was die Oper ausmacht und was sie lebendig hält: gute Sänger, charismatische Bühnendarsteller, fesselnde Interpreten. Kein Regie-Konzept kann das aufwiegen. Ernani ist dafür ein hervorragendes Beispiel: diese Oper ist ein Kind ihrer Zeit. Aus dieser heraus muss man sie auch betrachten und behandeln. Dazu braucht es Verständnis, Stilgefühl – und Liebe zur Musik dieses Werkes. Will man sie lächerlich machen findet man dazu genug Gelegenheiten. Aber warum sollte man…?

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12 pensieri su “Ernani alla Scala, ossia la Gioconda.

  1. Seconda recita, ossia quando i fischi servono.
    Premetto con umiltà di non avere competenze e istruzione musicale tuttavia spesso condivido il pensiero del sciur Donzelli. Quindi mi aspettavo uno spettacolo triste e sopratutto un’Elvira impresentabile. Invece a mio avviso la Perez ha cantato bene; precisa fin dall’inizio non ha mai cercato di strafare, niente urla negli acuti è rimasta sempre intonata; in difficoltà nei toni gravi, è andata bene nei terzetti e si è sempre ben udita con il coro. Alla fine questa volta si è presa i suoi giusti applausi. La delusione del cast di questa “seconda” a mio avviso è stato Salsi; nonostante qualche amico osannante in galleria. Il suo atto è indubbiamente il terzo, ma questi verd’anni miei sono piatti, non comunicano alcuna emozione, si adeguano alla pochezza della scena. Nel secondo atto gli è scappata anche una “miagolata” ma son cose che capitano. Bene Abdrazakow, il più applaudito alla fine: purtroppo ogni volta che va con la voce “in cantina” veniva coperto dall’orchestra. E di Mieli che dire… a me non è piaciuto, trovo che abbia poco dell’Ernani; ok, sbaglia poco, canta bene finchè non è messo alla frusta; ma per fare queste parti di Verdi serve di più. Alla fine si è preso anch’egli i suoi moderati applausi autcelebrandosi come se fosse venuta giù la Scala. Contento lui…
    L’orchestra non ha aiutato i cantanti, come già detto tendeva a coprirli e spesso mi è sembrata confusionaria. A tal prosito, ma sul primo”se uno squillo intenderaà, tosto Ernani morirà” non ci sono dei vibrati? Ieri solo piattume.
    Per quanto riguarda scena e regia la parola più adatta sembra essere povera. Povera di idee, di contenuti, forse anche di budget. Il risultato è brutto. Il cartello “intervallo” che tanto era “piaciuto” al pubblico della prima è sparito. Tremendi e fuori luogo gli angeli.
    Molto belli invece per quanto si vede dal loggione i costumi dell’ultimo atto.

  2. Come la Perez non stonava??? Ero presente alla seconda recita. Dopo una sortita imprecisa e goffa , giunta a “Ernani egli è! Gran Dio!” è riuscita ad essere fissa, stonata, urlante….degli altri si taccia tolto alcuni buoni momenti del basso…ma chi ha assistito alla prima non ha avuto la sensazione che qualcuno fra i cantanti fosse smaccatamente amplificato?

  3. recita del 9 ottobre
    si ripete il copione ormai in uso alla scala;
    titolo importante sgretolato dalla pochezza di uno spettacolo al limite dell insulto .ignorante e dozzinale
    si salvano solo i costumi per il resto un accozaglia di idee
    ridicole e irrispettose del libretto la solita zuppa del teatro
    nel teatro;
    la parte musicale direzione e concertazione assente, non pervenuta… attacchi fuori tempo.. col coro e cantanti ..qualche attenzione in più riservata alle star
    ..lette della serata Meli e Salsi.
    Del prim o avete già ampiamente detto e sottoscrivo
    Pessimo timbro e falsettoni ovunque a coprire la mancanza di centri …un bel zac a tutti gli acuti con buona pace di Verdi e della tradizione una prova …per essegere gentili MEDIOCRE.
    il ‘singspiele’ di Salsi :una specie di Bruson fine carriera
    Nucci a confronto è ancora sflogorante !
    Dopo l’Imbarazzante Macbeth di Parma un altra perla
    da aggiungere a medaglia !
    nel Macbeth di Firenze con Muti aveva dato prova migliore…

    L unico applauso riservato all entrata di Abdrazakov…
    comunque assai deludente si faticava a percepirne la voce ,forse capitato lì per caso ,deciso a non coprire
    i colleghi maschi…l unico delle serata ‘musicale’.
    La Signora Perez dotata di esigue risorse e limitati mezzi tenta di attenersi un poco di più alla tradizione con risultati imbarazzanti con variazioni scolastiche e imprecise e qualche gridolino di troppo e qualche nota presa al volo ..
    La noia assoluta salutata da misurati e accennati applausi a chiusura del 2^ atto
    Teatro come al solito mezzo pieno di avventori casuali
    e turisti, palchi sguarniti di clienti GRANDI vuoti nelle gallerie I e II,
    Il ns GroBe sovrintendente in palco di proscenio si gode la serata…tra un uscita e l altra…anche lui fatica a reggere !?
    Uno spettacolo indegno persino l aggettivo ‘provinciale’
    suona irriguardoso…
    Pochezza dei mezzi vocali, nullità registica e concertazione assente ci hanno regalato due ore e passa di noia , imbarazzo e acidità di stomaco.
    Persino il vituperato spettacolo di Ronconi-Muti Scala
    sembra a confronto una squisita leccornia se paragonato a questa cosa …
    e non parliamo di confronti musicale/vocali perchè li si era su un altro pianeta.

  4. Leggermente off-topic, del che mi scuso in anticipo: nessun grisino ha recensito o recensirà il “capolavoro annunciato” di Kurtag? Trattasi di coincidenza oppure di scelta? Nel secondo caso gradirei che uno dei moderatori esponesse il criterio di selezione delle prime operistiche di autore vivente. Non per avviare una polemica ma solo per capire. Grazie e cordialissimi saluti,
    Elizabeth

    • ciao Elizabeth, i grisini preferiscono i capolavori nascosti, che non sono i centoni bartoliani, per intenderci e quindi un “capolavoro annunciato” lo lasciano a quelli che credono a Gesù Bambino!!!!!

      • Caro Donzelli, a Gesù Bambino io invece ci credo perché era stato annunciato da persone serie tipo Daniele e Isaia (“qui locutus est per prophetas”). Non così alle profezie di Elvio Giudici, Enrico Girardi e compagnia attovagliata. Per cui non ci sono andata. Kurtag è un ottimo autore di frammenti da camera, ma se quella è — non dico opera, ma nemmeno Musiktheater modernista — io sono Biancaneve con tutti i sette nani. Grazie a te e a Sorella Radio.

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