Macbeth fiorentini, ieri e oggi.

Questa sera a Firenze e in replica domenica prossima a Ravenna viene eseguito in forma di concerto il Macbeth di Verdi sotto la direzione di Riccardo Muti. Precisiamo che Macbeth vide la propria prima rappresentazione a Firenze nel 1847 in una versione differente da quella che di regola viene proposta nei teatri italiani (ed essendo la versione grand-opéra pensata per Parigi dovrebbe od almeno potrebbe essere cantata in francese). Non solo, ma Macbeth, senza essere opera verdiana di repertorio come sempre rimase Ernani, conobbe un discreto numero di rappresentazioni nel corso del Novecento non fosse altro che per l’interesse che la parte del protagonista destava nei grandi baritoni, in primis Mattia Battistini e il declinante Giuseppe Kaschmann, che nel 1911 affrontarono la partitura al Costanzi sotto la guida di Luigi Mancinelli. Ignoro se in quell’occasione il sostituto di Mancinelli fosse ancora Vittorio Gui, che era già un direttore in carriera benché neppure trentenne. Certo è che la partitura verdiana doveva attirare il coltissimo maestro che nel 1951 al Maggio musicale fiorentino propose il titolo verdiano. Per farci del male ricordiamo che qualche giorno prima di questo Macbeth Erich Kleiber aveva proposto i Vespri con la giovane ed integra Callas. Aggiungo che Vittorio Gui propose più volte nella propria carriera Macbeth (vedi Palermo 1960 con Taddei e la Gencer che debuttava il ruolo) e che poco dopo le recite fiorentine arrivò un ‘ltra esecuzione di levatura storica, ovvero quella scaligera, grande non per la Callas, come oggi si vuol far credere, ma per la direzione di de Sabata. Sarebbe interessante proporre una comparazione fra le due direzioni come fece -magistralmente- Rodolfo Celletti quando uscirono, quasi in contemporanea, le edizioni di Muti ed Abbado.
Una cosa è certa con buona pace di Muti e dei fans del defunto senatore Abbado che i due non hanno scoperto il Macbeth. Altri e del pari grandi lo hanno fatto assai prima di loro. Questo per essere cultori dell’opera e non fans. L’esecuzione di Gui è elegantissima, direi cavalleresca, evoca il medioevo con gli occhi ed il gusto dell’Ottocento, coglie anche l’aspetto grand-opéra sia negli accompagnamenti che nelle danze (che proponiamo a parte) che hanno nel contempo fuoco ed eleganza. Aggiungo che Gui riesce a far cantare in maniera ben al di sopra della correttezza professionale una cantante che con il canto italiano aveva rapporti rari e possiamo anche dire conflittuali. A torto, per essere onesti si può vedere in Astrid Varnay o quanto meno nella preparatissima Varnay di questo Macbeth il modello di professionali strillone che oggi imperversano in Wagner e Strauss, autori le cui indegne odierne esecuzioni i melomani della Grisi non andrebbero a fischiare perché così ignoranti da non andare a sentire quei titoli. Quelli della Grisi saranno ignoranti – teorema tutto da dimostrare vista la elevata quantità di copiature che lucrano i loro pezzi – ma chi scrive simili cazzate è solo un compro sicario. E di questo ne parleremo presto. Per il momento, buon Vittorio Gui.

Verdi – Macbeth
Atto III
Ballo
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, dir. Vittorio Gui (1951)

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