Giovedì sera mamma Rai ha adempiuto a un compito di divulgazione culturale trasmettendo la registrazione dell’Elisir donizettiano, in scena in questi giorni allo Sferisterio di Macerata. Favorire l’accesso alla cultura dovrebbe essere la missione principale della televisione pubblica.
Quanto al livello della cultura, resa accessibile dal tubo catodico, è oggetto di altra e ben distinta valutazione.
E’ andato in scena Elisir e ovviamente l’attenzione mediatica era tutta per l’allestimento, peraltro già vecchio (in ogni senso), in quanto in precedenza proposto a Valencia e Madrid. Autore e demiurgo Damiano Michieletto, che ha scelto di ambientare l’opera in uno stabilimento balneare, fra turisti in costume, ciarlatani che smerciano bevande energetiche e pasticche di droga, un Belcore in tenuta da Love Boat e altri fiori consimili. Domenico Donzelli ha osservato che le pinne, la cuffia e il materassino in dotazione al bagnino Nemorino sembrano provenire direttamente da qualche emporio della riviera marchigiana o ligure, essendo verosimilmente fondi di magazzino anni Settanta/Ottanta, per l’occasione riciclati quali arredi scenici. In effetti in tutta la produzione si respira un’aria stantia, ché la trilogia mozartiana di Peter Sellars (densa di tavole calde, tossicomani e battone) risale alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso e la Belle Hélène di Laurent Pelly (il cui terzo atto si svolge, per l’appunto, in un’assolata spiaggia da Club Med) ha ormai quasi due decenni sul groppone.
Una indigesta minestra riscaldata che ad ogni ribollitura diviene più stantia ed indigeribile.
A disturbare non sono principalmente le incongruenze (si allude alle attività della vita di campagna, come la mietitura, mentre si sta prendendo il sole e ci si dedica a esercizi di risveglio muscolare), ma la bruttezza diffusa, il senso di sciatteria che caratterizza l’allestimento e che trova lo zenith (o il nadir, a seconda dei punti di vista) nelle toilette riservate ai solisti. Passi per Alex Esposito, che tutto sommato porta con disinvoltura il look da buttafuori del Cocoricò, ma strizzare un uomo non molto alto di statura e piuttosto corpulento come John Osborn in canottiere e tutine significa fare di tutto per rendere ancora più disagevole la prova dell’esecutore, il tutto senza nulla aggiungere alla definizione del personaggio, che è ingenuo, buono, candido e non certo lo scemo del paese, con cui Belcore e soprattutto Dulcamara pensano di avere che fare. Idem dicasi per Mariangela Sicilia, che sfoggia la florida complessione della donna mediterranea e che in un allestimento tradizionale non sarebbe costretta a esibire la caviglia diciamo forte e un portamento di insistita goffaggine (Adina dovrebbe anzi essere sempre “padrona” di se stessa, anche sotto il profilo dell’azione scenica, tanto è lucido e per certi versi spietato il suo modo di agire, persino nel momento in cui confessa il proprio amore al protagonista). Ci sono poi annotazioni di sconfinata volgarità, come i ragazzotti che, dopo avere legato a una sedia Nemorino, gli stappano in faccia lattine precedentemente agitate, tenendole all’altezza dei genitali giusto per non lasciare dubbi sul corrispondente reale dell’immagine metaforica proposta, oppure la violenza carnale abbozzata da Dulcamara ai danni di Adina. Davanti a simile trovate le tradizionali espressioni tipo “ca*ata”, “str***ata” sembrano irrilevanti e poco efficaci. Forse sarebbe tempo di rispolverare termini un poco più pregnanti, quali “aberrazione” e “profanazione”, “cattivo gusto”, “pacchianata” giusto per ricordare in primo luogo ai signori sovrintendenti, che simili fenomeni inseguono ed imbandiscono con pervicacia, che a essere offeso non è, in primo luogo, il pubblico, ma l’autore e la sua musica. A maggior ragione se parliamo di uno dei titoli più travolgenti e geniali del compositore bergamasco.
La verità è che, a spettacoli dove la povertà culturale di chi li pensa e di chi li commissiona è tale da cadere nella pagliacciata, il pubblico dovrebbe reagire con serie di sonori fischi, lancio di ortaggi in scena e attese dei responsabili dello scempio all’uscita degli artisti per pareggiare in maniera ruspante, rapida e manesca i conti. Non perché il pubblico sia un’entità superiore, ma per ricordare a questi impostori che il pubblico non è una serie di Nemorino che possono essere intortati dal Dulcamara di turno.
Qui si rischia da parte del pubblico l’orchite cronica. Modo elegante per dire: ne abbiamo i coglioni pieni di tanto gratuito vituperio. Non è la singola pagliacciata o porcata, perché tale deve essere considerata la simulazione della cd “golden shower” (a Milano Michieletto nel Ballo aveva piazzato una gaya trombata sul tetto di una macchina, come se la parte del pubblico più affezionata al regista in entrambi i casi necessitasse di ripassi sulle proprie abitudini sessuali), che disturba, ma il fatto che non ci sia altro e che sia posta nell’Elisir d’amore dove al massimo ci sta qualche etero manomorta. Avessero almeno il coraggio di mettere questi richiami in un titolo come Cena delle Beffe, Nerone di Boito, peccato che anche in questo caso ripeterebbero quanto, almeno dal 1970, la filmografia ha fatto vedere. Tutto questo per dimostrare che sono solo ignoranti e chi dalle pagine dei quotidiani li incensa ignorante come loro e quasi certamente in malafede.
Prova ne sia che il nostro geniale regista ormai frequenta teatri italiani e neppure di primaria importanza perchè, ripetiamo, ormai le sue trovate non trovano seguito. Ed è giusto così perché se per un istante chiudiamo gli occhi o ci limitiamo all’ascolto riemerge, pur eseguita in maniera scadente, come dirò di seguito, la musica di Donizetti cui qualsivoglia michieletto nulla può aggiungere, se mai sottrarre.
E se sulla regia ci siamo dilungati, è perché della parte musicale c’è davvero poco da dire. Francesco Lanzillotta riapre tutti i tagli di tradizione (con l’eccezione di una parte del recitativo che precede il rondò di Adina) e con la sua condotta in pari misura greve e meccanica non riesce a sprigionare che in minima parte il brio e la malinconia che l’opera, sotto la direzione dei vituperati “maestri delle forbici”, non manca mai di esibire. E allora ci si chiede se la riapertura dei tagli sia una sacrosanta conquista del presente o non piuttosto l’ammissione di un’incapacità di comprendere quando, dove e come tagliare. Soprattutto perché il cast, tutto e senza eccezioni, arriva al termine dell’esecuzione esausto e provato, quasi avesse affrontato Ugonotti e non un titolo tutto sommato abbordabile, sotto il profilo della difficoltà tecnica. Addirittura stravolta è parsa la protagonista, che ne “Il mio rigor dimentica” spinge all’estremo i difetti di intonazione e le fissità in zona medio-alta che caratterizzano tutta la sua prova. Il sospetto è che Mariangela Sicilia, che troverebbe in Adina un personaggio più che adeguato alla sua voce di soprano leggero, sia giunta al cimento piuttosto provata da improbabili approcci a ruoli ben altrimenti onerosi (Mimì) e che gli stessi abbiano ormai intaccato anche la freschezza del timbro. Quanto agli uomini, potremmo dire che l’Elisir si è tramutato nell’Armida, atteso che in scena abbiamo tre tenori, uno solo dei quali alle prese con un ruolo in ogni senso confacente alle sue corde. Iurii Samoilov evidenzia fin dal “Come Paride vezzoso” una voce bitumata e poco sostenuta da una corretta respirazione (il torace scoperto è, al solito, impietoso), il che priva il suo sergente (o piuttosto commissario di bordo) di qualunque fascino, che vada oltre l’ovvia esibizione di supposte pose da macho. Alex Esposito bercia, al solito, gli acuti, scambia il sillabato per una sorta di Sprechgesang e punta, anche lui, sulla caratterizzazione ossessiva della nevrosi (tossica, ovviamente) del personaggio, non comprendendo forse (in uno con il regista) che Dulcamara è persino più lucido e presente a se stesso della stessa Adina (il che è tutto dire). Resta John Osborn, che davanti ai compagni di sventura offre una prestazione più che convincente, se non altro perché si sforza sempre di trovare la definizione del personaggio in primo luogo nella musica, e solo in subordine nelle pagliacciate imposte dalla regia. Il cantante statunitense (che di questo e altri titoli simili dovrebbe campare, anziché proporsi sistematicamente quale tenore drammatico o da grand opéra) non ha l’espansione in zona centrale che il personaggio richiederebbe e (soprattutto nelle prime scene) risulta piuttosto incerto nella realizzazione delle proprie plausibili intenzioni espressive (cfr. alcuni suoni non esattamente felici, originati da tentativi di smorzatura al duetto con Adina), ma la recita procede in crescendo e culmina in una buona esecuzione della “Furtiva lagrima”, giustamente bissata a richiesta di pubblico. Notare come proprio in quel momento l’esecutore sia in penombra e nella più assoluta immobilità, come dire, ai margini dell’intelligentissimo allestimento.
34 pensieri su “Fratello streaming: Elisir d’amore da Macerata.”
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Opera abbordabile in tutti i sensi anche per il regista nel senso che se ne potrebbe pure fare a meno. La musica é così evocativa che tutto il resto é in più (ma in questo caso in meno). Ormai abbiamo a che fare con cantanti che anziché essere atleti sembra nuotano ancora con i braccioli.Se opere come é elisir e nozze li sfiancano ovvio che scoppiano. E posso dire che frutta e ortaggi sono il minimo. Però visto il luogo ci può anche stare che non siano allestimenti di prim’ordine il problema é che la RAI se propone dovrebbe farlo con l’intento di istruire non si stordire. Ormai stiamo assistendo a una sorta di globalizzazione della cultura e in peggio nel senso che ormai non c’è più un forte divario tra il tempio e la provincia e quindi sono sempre spettacoli dove al massimo quello che c’è di buono é passabile.
Una bella canzone di Virgilio Savona, dedicata all’allestimento di Michieletto:
https://www.youtube.com/watch?v=1RTJv8sZQ6A
Tutto vero, ma anche no. Tutto sommato siamo ben oltre la sufficienza, e questo grazie a un buon Osborn e a un più che sufficiente Esposito (certamente più come attore che come cantante). L’unica insufficienza vera è per la direzione, questo al netto dell’allestimento che capisco non piaccia, ma in fondo funziona, soprattutto se lo pensiamo nella prospettiva di un pubblico più ampio quale quello dello streaming. Meglio avvicinarsi a Donizetti dal Bar Adina piuttosto che non avvicinarvisi affatto.
Ti sbagli. Il totale fraintendimento della musica di Donizetti è peccato capitale. Barbara Minghetti diettore artistico oggi a Macerata ieri a Como digiuna a quanto mi risulta di studi musicali non capisce nulla e avalla regie orrende proprio perché in totale disaccordo con il clima musicale evocato dal compositore. Ricordo un Capuleti in cui Romeo stuprava Giulietta! Non mi scandalizzano certo pompini o violenze in scena. Ma vanno proposti nelle opere che vanno in quella direzione…..il primo atto della Traviata di Carsen in cui Violetta era rappresentata come una vera puttana era bellissimo e in totale sintonia con Verdi ad esempio.
L’unico stupro (seguito da sgozzamento) in scena è quello del Moses und Aaron: il resto è fuffa per scandalizzare la microborghesia.
Il buon vecchio Michieletto non si smentisce mai! Lui secondo me ha questa tecnica: su un grande tavolo ha disposto a casaccio sulla sinistra Delle ambientazioni (mare, chalet di montagna, aula scolastica, un convento, un bordello, il castello di Dracula), al centro degli oggetti di scena (un martello, una giostra, un’altalena, dei pennarelli, una sega, una zappatrice, degli imbuti), sulla destra dei costumi (uccello migratore, iguana, una maschera da vacca, un cappello con le piume, un costume coniglio). Entra qualcuno nella stanza e dice: domani “Trovatore”…lo bendano e con la mano indica qualcosa…. Dunque… Si potrebbe ambientare in uno chalet di montagna, lui canta la sua aria mentre zappa con la zappatrice accesa e vestito da iguana…. “Traviata”…il castello di Dracula (l’immagine della donna-vampira che succhia il sangue e non solo è potente), il sempre libera con una sega in mano e vestita da vacca… La stagione 2019 è fatta! Attendo con ansia Signorini a Torre del Lago…oh quante cose meravigliose!!!
Caro Lorenzo,
il metodo da te descritto è di gran lunga troppo raffinato.
Molto più semplice è sostituire l’insegna Despina – che campeggia sul diner del goliardico Così di Sellers – con la scritta Adina.
Il risultato di captazioni del genere è uno spettacolo ancor più vecchio e polveroso della Miss Havisham di Grandi Speranze
Violetta-vampira la fece Ponnelle con la Malfitano a Strasburgo nel marzo 1980. Siamo pronti tra breve a festeggiarne il quarantennale.
Per la verità la stura alle Operatic Follies fu data dalla Traviata di Béjart con Franca Fabbri, da me vista a Bruxelles nel 1973.
Devo colpevolmente confessare un gran divertimento, dovuto alla messe di cose demenziali ma non dementi, cose che non si erano ancora mai viste (altri tempi, altre voci, altri fondi schiena, vedi clip linkata in calce).
Ciò a dimostrare che il tentativo (fallito) di risollevare le sorti e le finanze dei teatri d’Opera da parte di manager-usurpatori si basa su una letale miscela di ignoranza e cinismo.
http://www.ina.fr/video/CAF97077690
Lily fosse possibile travasare un po della tua intelligenza cultura e ironia nelle teste dei vari Pereira Minghetti e compagnia avremmo forse salvato la regia d’opera..
Guardi mi ha illuminato davvero e pensavo che alla follia non ci fosse mai fine!!! Io infatti, essendo profondamente curioso dei “moti umani”, cerco sempre di capire come una persona possa partorire cotanta “meraviglia teatrale”… Studierei il cervello, poiché per me ci sono differenze cognitive importanti: per me leggendo Trovatore lo associano all”‘immagine di una mucca, Traviata a una lavatrice…. Se leggono nel libretto “Violetta muore di tisi” leggono “Grenvill ama Alfredo e Annina si spoglia mostrando le sue nudità al vento saltellando da canguro mentre Germont padre si lancia in una Taranta del Salento”… È un mistero che voglio capire ah ah ah
…..occhio che Mattioli o ti copia o ti sponsorizza!!
Caro Lorenzo,
lei, fin da quando mi fece conoscere la Cocorita Impazzita, mi fa ognor sbellicare dalle risate, ma è notte, fa caldo e i vicini si svegliano!
Se tanto mi dà tanto, “Nozze di Figaro”, scena iniziale… in un’aula scolastica, Figaro vestito da coniglio con un pennarello in mano, Susanna con cappello di piume (ci sta nevvero?) e due imbuti in mano?
Billy carissimo,
magari si trattasse solo di regia….!
Con l’affetto di sempre. Lily
La ringrazio e il suo inizio di Nozze è davvero interessante! Proporrei anche Marcellina vestita da iguana che con un martello monta un’altalena dove Basilio vestito da uccello migratore canta la sua aria tirando a casaccio gli imbuti di Susanna che per l’occasione verrà svestita e denigrata in pubblico mentre Figaro zappa all’ interno di una sfera di plexiglas a simboleggiare che lui sta seminando il suo seme di vendetta contro il Conte, noto transessuale spagnolo che in privato si fa chiamare Contessa e che vorrebbe farsi Cherubino, Vaccaro romano in ciabatte e canottiera, richiamato alle armi per una guerra a Gabicce Mare contro il clan della Piadina. Direi che siamo a posto e la trama rispetta profondamente dal punto di vista simbolico l’autore che, secondo recenti scoperte di Giacobbo e Voyager, in realtà si chiamava Berta Mozart, aveva un rapporto incestuoso con il padre e la sorella veniva fatta prostituire con Salieri.
vedete se vi piace questo vademecum ….
COME DIVENTARE UN GRANDE REGISTA “À LA PAGE” IN 26 MOSSE
Un regista per essere considerato “à la page” deve:
1) Ambientare l’opera nel presente con tanto di riferimenti a guerre, nazismo, attentati, condizione terzomondista, inquinamento, malattie incurabili o meglio ancora in uno spazio vuoto o astratto, oppure in una casetta lignea/ferrosa/vetrosa o stile Bauhaus, meglio ancora in un bunker o ospedale, oppure nel consolidato “teatro nel teatro”, oppure proporre la vicenda all’epoca del compositore con riferimenti alla sua biografia o all’ambiente a lui più congeniale: Rossini in gastronomia, Donizetti in un casino, Prokofev nella Mosca del compagno Berja, etc.., smentendo la componente storica del libretto, per essere più vicina al pubblico, ai giovani e “svecchiare le incrostazioni”.
2) La scena è consigliabile fissa, al massimo dotata di mobilio stile “Secessione” e piano ruotante.
3) Fare indossare cappotti di varie fogge, ma di colori neutri o spenti o abiti candidi.
4) Mostrare pettorali, seni, pudenda maschili e femminili, deretani.
Questo è un obbligo morale!
5) Inscenare almeno una sequenza di stupro, un’orgia, una di maltrattamento verso animali e verso donne, trattate ovviamente come buchi da riempire o poco più.
Climax obbligatorio la scena in cui ci si droga o ubriaca.
6) Far capire, lentamente, che tutto ciò che avviene in scena è il sogno, oppure una pura follia, oppure la proiezione psico-freudiana-junghiana del protagonista fragile e complessato.
7) Riconoscere che la borghesia e la chiesa sono le vere piaghe sociali: tutti siamo puttane, spacciatori, ipocriti, sessuomani dai gusti estremi, drogati, infidi, omosessuali, transessuali, maniaci sessuali, serial killer, rissaioli, violenti, mostri schizofrenici, ossessionati dal denaro e dagli oggetti, MA in fondo falsi perbenisti baciapile con un cuore d’oro e crocifisso in tasca vittime della ruota del sistema dipinto come un tirannico regime fascistoide “che schiaccia l’individuo sotto la pesante ruota del totalitarismo armato e guerrafondaio”.
Tutto questo va denunciato e sbeffeggiato.
8) Trasformare, ad un certo punto dell’azione il/la protagonista in una puttana o in un alcolista/drogato; meglio se tutti e tre contemporaneamente.
9) Ergersi a essere pensante superiore e ben più intelligente del librettista e del compositore; QUINDI occorre sovrapporre una propria versione dell’opera a quello che banalmente già si conosce; il finale va ovviamente stravolto.
10) Utilizzare SOLO gelide luci di taglio, oppure al neon in puro stile “asettica corsia d’ospedale” o meglio “sala settoria di anatomia patologica”, oppure di un accesissimo color pastello o stile “corto circuito” da integrare ad un abbondante uso di proiezioni che non c’entrano praticamente nulla con ciò che avviene in scena, e il cui unico scopo è scatenare una guduriosa sega mentale nei fans del regista.
Ancora meglio se la scena piomberà in un buio abissale in cui ognuno possa immaginare ciò che vuole.
L’accensione delle luci in sala durante la recita fa parte degli imperscrutabili obblighi morali di cui sopra.
11) Costringere i cantanti per 2/3 dell’opera a cantare sdraiati a terra, o in posizioni ginecologiche, o da contorsionista, per improvvisa depressione o perdita del controllo delle gambe o schiaffo/pugno/calcio o innamoramento.
12) Rappresentare il coro come un unica massa perversa, omogenea e giudicante il cui scopo è sghignazzare e far rumore durante la musica.
13) Prima dell’opera o di un atto integrare 20 minuti circa in cui denunciare un male della società o ridicolizzare il pubblico attraverso azioni insensate con l’utilizzo di ballerini, mimi travestiti da animali (meglio se esotici o scimmieschi), attori che reciteranno testi astrusi.
14) Risolvere il balletto, se previsto, come un sogno nel sogno, un incubo, una scena di tarantolati oppure con uno spargimento di sangue.
15) Sdoppiare o centuplicare uno o più personaggi attraverso un uso insistito di mimi e ballerini per confondere meglio le idee e l’azione: tutto ciò è molto intellettuale.
16) Inserire almeno una scena con uno specchio gigantesco, dritto o inclinato, che raddoppi e deformi le azioni e “permettere al pubblico di entrare nella scena facendone parte, rispecchiandosi nelle azioni narrate”.
17) Inserire OBBLIGATORIAMENTE un letto in scena che dovrà essere onnipresente e fulcro dell’azione, concentrando su di esso tutte le svolte sconvolgenti dell’allestimento; esso andrà ovviamente tolto allorché il libretto ne preveda un espresso utilizzo.
18) Sostituire le parti recitate nell’Opéra Comique con un testo scritto di proprio pugno il cui linguaggio deve essere crudo, brutale, volgarissimo a abbondare di parole come “Bitch, Putaine, Whore, Motherfucker, Bullshit, Fuck, Cock, Pussy, Asshole, Faggot” e delizie simili, perchè fa gggiovane, iconosclasta e tanto “scandaloso”.
19) Affermare che il testo del libretto sia una zozzeria indecente, che non si comprende il perchè un raffinato compositore sia stato attratto da una robaccia del genere, anacronistica all’epoca e lontana dalla nostra “sensibilità moderna” e giustificare il tutto inventandosi complessi, sindromi e traumi infantili che il poveraccio di turno ha subito da bambino. Il risultato per dare nuova linfa a queste “datate insensatezze”? Il compositore dovrà apparire in scena in maniera goffa, infantile e spaesata e interagire timidamente con i personaggi che ha creato.
20) Sostituire le scene che prevedono ambientazioni naturalistiche vicino a fiumi o foreste con discariche, fogne o strada malfamate e popolate da topi giganti, puttane, trans, gay, pervertiti, spacciatori, boss mafiosi e ladruncoli.
21) Trasformare in feticcio imprescindibile i lampadari, i capelli sporchi, le pistole, i vestiti laceri, le ferite in volto, ma soprattutto gli anfibi per i personaggi “giovani”.
22) Invadere la scena con acqua, che tra uno schizzo e l’altro si trasformerà in una fanghiglia ripugnante, oppure con della sabbia così da impedire ai cantanti ogni più naturale movimento; il che si tramuterà nella mente del critico illuminato come “la materializzazione attraverso elementi naturali della fragilità, delle difficoltà e dell’ inutilità delle umane miserie e delle contraddizioni dell’anima”.
23) Far diventare protagonista assoluto della scena, al pari del letto, un gabinetto (una moltitudine sarebbe ben più auspicabile) il cui significato saranno i critici colti, che vanno in sollucchero per i sanitari, a svelarlo.
24) Permettere ad uno o più personaggi di accedere al palcoscenico entrando dalla platea a opera iniziata; se il cantante lo fa correndo, o sghignazzando, o in stato di delirio è meglio.
25) Tagliare o modificare arie o recitativi adattandoli al proprio allestimento o al proprio gusto personale giustificando lo scempio come “una operazione necessaria e culturale volta a rendere più fruibile, immediata e non distante dal gusto odierno del pubblico una vicenda francamente ridicola, poco credibile, invecchiata e fuori moda”.
26) Beccarsi sorridendo fischi e contestazioni: ciò rappresenta il personale trionfo e la conferma che il pubblico è ignorante, stolto, ipocrita, incivile, ha una sessualità repressa e vissuta in maniera malata, e, peccato mortale, non vive di “seghe mentali”, mentre Egli è secondo per onnipotenza e onniscienza solo dopo al Creatore!
Ma questo vademecum non è, con un numero in più, quello già proposto su questo stesso sito da Frau Marianne Brandt alcuni anni fa?
Cfr. http://www.corgrisi.com/2012/05/come-diventare-un-grande-regista-a-la-page-in-25-mosse/
Un grazie a Don Carlo di Vargas per aver voluto giustamente citare e linkare lo scritto originale (e relativo interessantissimo thread) della grande Marianne, la cui assenza dal CdG non sarà mai abbastanza sentita.
Quel post dovrebbe essere testo obbligatorio in ogni scuola per operatori di Arte Lirica,
Lieto di aver fatto qualcosa di utile, o LilyBart
Tanto per capirci e per vedere come il metodo di cui supra viene messo in pratica, consiglio di vedere qualche recensione del recente orrendo Don Giovanni di Lione, in cui il geniale demiurgo registico di turno, tale signor Marton (parentele con la grande Eva?), abitué de la maison, ha messo in scena l’opera in un orrido scenario unico cementizio, con un letto al centro e con i membri del coro maschile vestiti tutti da donne (ma con la barba, se del caso), trasformando, dopo aver letto un libro in materia, Don Giovanni in un tale prima di tutto affetto da sindrome bipolare. E pensare che queipoveracci di Strehler, Zeffirelli, Ronconi, Squarzina, De Bosio, Chéreau, Menotti, Karajan, Hampe (ma persino il discutibilissimo Kusej!!!) lo vedevano prima di tutto come un donnaiolo impeninente! E come se non bastasse – imponendosi sulla musica e sul direttore (ma a Lione il regista conta!) – nel bel mezzo del secondo atto la musica di Mozart tace e Don Giovanni si mette a fare un bel monologone lungo lungo inventato dal registone su concetti tratti dal librone da lui fagocitato per benone (credo con grande gioia del pubblico…). Io un’idea di dove avrebbero mandato Piero Cappuccilli o Renato Bruson il regista che avesse loro proposto una cosa simile ce l’ho… Per non parlare di cosa avrebbe fatto Muti ad un regista che, seguendo le suea masturbazioni mentali, avesse cercato di fare una cosetta simile…
si veda qui (anche se non si vedono bene i coristi uomini vestiti da donne):
https://www.forumopera.com/don-giovanni-lyon-visions-dun-bipolaire
P.S. Mi è stato riferito da persona che vi ha assistito che nell’edizione lionese, l’esecuzione musicale era decisamente scarsuccia…
si certo è uno scritto che circola da qualche anno…..
l’ho solo postato di nuovo perché ritengo che sia sempre attualissimo
e geniale.
Divertentissimo e geniale! Alla faccia dei critici coglioni e cagasotto. Pronti a incensare acriticamente prima Abbado, quando era la sua epoca, poi Muti poi Barenboim ed infine ,prossimamente, …..Mariotti…ahahahah
Analisi perfetta ma come si fa accettare queste..schifezze facendole passare come..arte!!
Recensione elegantissima . Molto apprezzati i riferimenti urologici.
C’è poco da discutere, Noi appassionati che amiamo l’opera dobbiamo combattere con tutti i mezzi questa “degenerazione”, che ha ormai attecchito in tutti i teatri lirici del mondo e sta diseducando il pubblico alla visione e, di conseguenza al miglior ascolto di quest’arte, che non dimentichiamolo ha profonde radici popolari.
Sono pienamente d’accordo con Antonio Tamburini, cito: ” il pubblico dovrebbe reagire con serie di sonori fischi, lancio di ortaggi in scena e attese dei responsabili dello scempio all’uscita degli artisti per pareggiare in maniera ruspante, rapida e manesca i conti. ” Tanto per non passare sempre da co….ni.
L Italia sta prendendo una brutta piega. Ed è tutta colpa di Salvini. Io credo che bisogna salutare con riconoscenza e commozione questi giganti del teatro moderno, che con le loro regie geniali, dissacranti e autenticamente Kulturali fanno dei nostri teatri d opera dei Kollettivi in cui il pubblico ignorante e represso può finalmente riflettere e Konvertirsi alla modernità. Questi sacerdoti della drammaturgia sono veramente la “zattera della medusa” del ben pensare, l ultimo scampolo di luce che ci è rimasto. Godiamoceli finché durano…..potrebbero presto scomparire con nostro grande danno e dispiacere.
I mali della cultura italiana hanno circa una cinquantina d’anni.
Quello che lei dice è veramente becero e fassista! Al contrario, la kultura è vivissima! Per esempio, mi ricordo di un autentico capolavoro di emma dante (che spero per voi torni presto anche alla scala) che si concludeva con un gruppo di giovanotti nudi che sputavano sul pubblico. Alla fine si masturbavano dando le spalle al predetto sputato pubblico e il rumore degli scroti che sbattevano richiamava il rumore degli applausi. Lo spettacolo si chiamava “cani di bancata” e lo dico affinché sia dato giusto tributo alla geniale regista sicula, arrivata per prima ad ideare siffato capolavoro. Non crede Donzelli che anche la scala meriti tanto? Sarebbe bellissimo trasporre questi capolavori registici anche in un Rigoletto o, che so, una Norma o anche una Boheme. Abbandonate i vostri limiti mentali e convertitevi anche voi alla kultura, siete obsoleti.
Ah, dimenticavo. Ora che la rai è salva, il prossimo attila meneghino, certamente ambientato in un campo profughi libico con annesse torture di attila/salvini e sua uccisione da parte di odabella volontaria di open arms, potrà essere diffuso a reti unificate alle masse, che saranno quindi konvertite coattamente alla vera kultura, con sommi diletto e gioia dei sacerdoti del moderno.
utilizza un termine diverso da obsoleto,ovvero classico. Seguendo il tuo ragionamento, che mi auguro per te essere ironico, arriverete ad inneggiare per un bel piatto di verdure con un mezzo un bello stronzo….. buon appetito a te…dd
La verdura fa male e lo sanno tutti, mentre invece quell altra pietanza è notoriamente salubre e solo per tale altruistica ragione deve essere distribuita alle masse. Che sempre più spesso, infatti, la apprezza. Poi dopo il teatro anche un gustoso piatto di vermi , come suggeriscono da Bruxelles
Bah… Leggo tutto, e capisco tutto ma, purtroppo, a me questo allestimento di Michieletto piace. Ho visto troppi paesaggi e costumi contadini sempre uguali, stereotipati, e le incongruenze ci sono state anche in quei casi. Sarei un po’ più perplesso -rispetto alla media dei commenti- sulle voci e sul ripristino di certi tagli (non conoscendo, mi son trovare a dire: Ma adesso che stanno facendo?).
Quel che non ho trovato commentato è stata la regia televisiva, del tutto inadeguata in moltissimi punti. Esempi: la censura (già ci siamo?!?) di momenti “audaci” (eppure non si dovrebbe parlare di fascia protetta per RAI5), e poi dopo il coro “…non si dirà” non si inquadra l’entrata di Adina che quindi commenta fuori campo il trionfo di Nemorino, salvo poi comparire all’improvviso… Stecca clamorosa della regia, ma oggi chi volete che badi a queste cosucce…
Lunedì riferirò la mia impressione live.
P.S. In una delle versione in rete dell’allestimento de quo sono molto ben valorizzate tutte le doti di Olga Peretyatko: un bel vedere e, perché no, anche un discreto sentire.
Se Michieletto ti piace, è un problema tuo e di molti altri (sempre meno però). Rispetto ad una regia come questa, poco coerente ed anche – come notato giustamente nella recensione – poco innovativa, meglio quella “ammericana” fatta per Palazzo Pitti, volgare finché si vuole ma che almeno ha il pregio di costare poco. Di fronte a cose come queste o come quelle di Lione, continuo a pensare che siano meglio le esecuzioni in forma di concerto o delegate a parenti o amici fidati alla Muti.
visto un pezzetto in tv
i coglioni sono sovrintendenti, direttori e cantanti
che non mandano a cagare questi sottoprodotti registici
Ma essendo dello stesso livello si trovano a loro agio
antico proverbio: il piscio va a braccietto con la m….a!
Marco